Con la collaborazione di docenti, ricercatori e ricercatrici della Scuola Superiore Sant’Anna, dalla lotta del collettivo degli operai e delle operaie della fabbrica ex Gkn arriva un piano per la reindustriualizzazione del sito produttivo di Firenze. In un libro, qui la prefazione.
L’entusiasmo è tangibile, ed è quello che traspare dalla lettura del documento “Un piano multilivello per la stabilità occupazionale e la reindustrializzazione del sito produttivo ex-GKN” a cura dei docenti, ricercatori e ricercatrici dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna e del gruppo di ricercatori e ricercatrici solidali. L’entusiasmo è tangibile, ed è quello di chi ha seguito e vissuto sulla propria pelle il percorso che ha portato all’elaborazione del Piano, mettendo a disposizione risorse materiali ed intellettuali affinché un piano potesse esistere e il piano, così come lo leggiamo nelle pagine che seguono, prendesse forma. Un entusiasmo che deriva dal poter segnare una discontinuità rispetto all’esito di vertenze analoghe sul territorio nazionale e, quindi, dal dover e voler tracciare un precedente giuridico, politico e sociale diverso. Un entusiasmo che nasce dall’aver messo i propri corpi nella vicenda GKN, ormai ex-GKN, dall’essere stati dentro la fabbrica, dall’aver visto con i propri occhi, dall’aver condiviso con i lavoratori e con le lavoratrici la quotidianità del non lavoro, dell’incertezza, della disperazione, della lotta e della speranza. Aver partecipato al percorso di elaborazione politica che ha portato alla redazione del piano ha già di per sé un valore unico poiché trasforma le soggettività coinvolte e dimostra che è ancora possibile mettere in atto pratiche di solidarietà. Si tratta di una «trasformazione silenziosa» delle soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici, ma anche dei ricercatori, delle ricercatrici e di tutti coloro che hanno animato e continuano ad animare la vertenza (nota 1).
D’altronde la vicenda dello stabilimento GKN Driveline di Campi Bisenzio, a prima vista, non sorprende: acquisizione, fusione, smembramento, depotenziamento produttivo e chiusura. A sorprendere sono piuttosto la tenacia, la caparbietà e la voglia di trasformazione del collettivo.
Si tratta di un’esperienza di protagonismo dei lavoratori e lavoratrici che presenta analogie con quella delle imprese recuperate in altre parti del mondo. Tra queste vi è il caso più noto delle empresas recuperadas in Argentina che rappresentano una versione più radicale dei cosiddetti workers buyout. In quest’ultimo caso, i lavoratori e le lavoratrici di imprese che hanno dichiarato il fallimento subentrano nella gestione dell’azienda avvalendosi della Legge Marcora (Legge 49/85) – e poi Nuova Marcora –, che definisce un regime di crediti agevolati per i lavoratori che rilevano l’impresa in crisi sotto forma cooperativa, attingendo anche al proprio TFR (nota 2).
In Sudamerica, in particolare in Argentina, si registrano invece numerosi casi di imprese recuperate che nascono da un susseguirsi di tappe (nota 3). La prima coincide solitamente con lo svuotamento degli impianti, quando ancora l’impresa è sotto la gestione della vecchia proprietà. La seconda tappa è quella in cui l’impresa entra in una fase di césacion de pagos, ovvero sospende i suoi pagamenti verso fornitori e lavoratori; si profilano dunque i presupposti per l’apertura del concordato preventivo, che consente all’azienda in crisi (o presunta tale) di negoziare i pagamenti con i creditori. Ed è in questa fase che potrebbe entrare in scena un terzo interessato all’impresa, il quale può farsi carico di pervenire ad un accordo con gli altri creditori. A questo punto, terza fase, matura la dichiarazione di fallimento, quando ormai gli impianti risultano svuotati e la capacità produttiva dell’impresa depotenziata. Gli stabilimenti vengono solitamente chiusi, mentre i lavoratori e le lavoratrici assurgono a creditori privilegiati, in un procedimento fallimentare che non riuscirà quasi mai a indennizzarli completamente.
Questo schema-tipo presenta non poche analogie con la vicenda GKN, una su tutte l’azione diretta dei lavoratori e delle lavoratrici, volta a impedire lo svuotamento e il depotenziamento ulteriore della capacità produttiva dell’impresa, a ostacolarne la chiusura e ad assicurare continuità nella produzione attraverso una fase di occupazione degli stabili. In alcuni casi è lo stesso curatore fallimentare che può deliberare la continuità produttiva qualora la chiusura possa arrecare danni ulteriori ai beni. Quello che è spesso avvenuto è che i lavoratori e le lavoratrici abbiano continuato a produrre, chiedendo contestualmente allo Stato o alle sue articolazioni locali (per esempio, al governo della città metropolitana di Buenos Aires) di espropriare la vecchia proprietà e provvedere al suo indennizzo. In questo modo i lavoratori godono di una forma di comodato d’uso dei mezzi di produzione e dello stabilimento, mentre iniziano il processo di acquisizione vero e proprio, versando a poco a poco allo Stato e/o al governo locale l’importo anticipato per l’espropriazione.
Tra gli elementi più interessanti relativi ai processi di recupero delle imprese in America Latina va sottolineato il ricorso all’esproprio, che rivela il riconoscimento dell’utilità pubblica della tutela del diritto al lavoro e il prevalere di un interesse collettivo. Questo provvedimento è stato ampiamente criticato sia da destra – lo Stato dovrebbe tutelare gli interessi di tutti e non di particolari gruppi sociali, sostengono alcuni – che da sinistra – i lavoratori dopo la legge d’esproprio rimangono fortemente indebitati, rimarcano altri.
Ci sono poi alcuni casi di intervento diretto da parte dello Stato, che assicura un minimo salariale equivalente a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale di categoria e si costituisce come il principale committente della nuova impresa recuperata. Si tratta di esempi di estatización bajo control obrero (statalizzazione sotto controllo operaio) – meno del 3% del totale delle imprese recuperate. Il vantaggio è chiaro: mentre una cooperativa è totalmente esposta alla concorrenza del libero mercato ed è facile imbattersi in forme di autosfruttamento da parte dei lavoratori-soci-nuovi proprietari, nel caso di estatización bajo control obrero è lo Stato che partecipa direttamente al finanziamento e alla capitalizzazione dell’impresa. Tutto ciò può avvenire quando quest’ultima opera in settori strategici per lo sviluppo industriale del paese e per il benessere collettivo.
Quali sono gli elementi che sembrano accomunare queste esperienze di recupero delle attività produttive e di salvaguardia del lavoro alla vertenza GKN?
In primo luogo, la presenza di un management inadeguato, in alcuni casi parassitario e fraudolento. Si legge nel Piano di «un management lacunoso, che non ha coordinato efficacemente il processo di produzione e non ha predisposto la manutenzione dei macchinari».
In secondo luogo, la conoscenza del processo produttivo che i lavoratori e le lavoratrici nei processi di recupero detengono e valorizzano. È questo know-how specifico delle fasi di lavoro a consentire continuità nella produzione. Esattamente come in ex-GKN, dove il collettivo di fabbrica ha sempre sottolineato che la produzione sarebbe potuta ripartire in qualsiasi momento se solo gli operai l’avessero voluto.
Terzo, la necessità di un capitale di funzionamento per acquisire le materie prime e avviare il ciclo produttivo. Si tratta del tallone d’Achille delle imprese recuperate. Dal punto di vista dell’assetto proprietario, il Piano qui presentato prende in esame diversi scenari, tra i quali il possibile coinvolgimento del Fondo di Salvaguardia Invitalia.
Quarto elemento, la solidarietà, tra le lavoratrici e i lavoratori, nei confronti delle altre fabbriche in lotta sul territorio e non solo, ma anche quella proveniente dalla comunità che si è raccolta attorno alla vertenza. Nell’esperienza di recupero delle imprese, per la sua natura di processo aperto e collettivo, così come nella vicenda GKN, il sostegno psicologico ed economico della comunità è fondamentale cosi come nella vicenda GKN. Da questo punto di vista, il Piano chiama in causa il ruolo-chiave delle competenze interne alla fabbrica, e di quelle proprie del mondo universitario: la sinergia tra queste è fondamentale nel progetto di reindustrializzazione. Nasce (o rinasce) la relazione Fabbrica-Università, vitale anche per le imprese recuperate d’Oltreoceano (nota 4).
D’altra parte, l’esperienza ex-GKN e soprattutto il Piano presentano anche importanti elementi di discontinuità rispetto alla traiettoria di molte imprese recuperate. Alcune rilevanti difformità potrebbero contribuire a un esito di successo, a differenza di alcuni processi di recupero che invece hanno condotto al fenomeno di auto-sfruttamento dei lavoratori già menzionato (nota 5).
Il Piano esposto nelle pagine che seguono prevede diverse traiettorie di riconversione ecologico-produttiva e pone al centro in modo lungimirante il ruolo dello Stato. L’individuazione di un finanziamento e di un’attività di indirizzo di natura pubblica così come la chiara esplicitazione della relazione GKN-Stellantis-Stato, sono cruciali per la credibilità della proposta.
In dettaglio, il Piano individua due traiettorie di riconversione produttiva. La prima è di tipo incrementale e ruota attorno all’individuazione di una produzione in continuità con quella di GKN, vale a dire manifattura di componenti meccanici per sistemi di trasmissione dei veicoli e componenti meccaniche trasmissive di potenza (per mobilità pubblica e sostenibile).
In questa proposta di riconversione, denominata incrementale, viene enfatizzato il ruolo del public procurement, quindi il tema della crucialità dei mercati di sbocco e dell’importanza della domanda nell’influenzare le scelte di investimento delle imprese. Al netto degli indubbi vantaggi di questo orizzonte, ovvero poter sfruttare le competenze esistenti senza riorganizzare radicalmente il processo produttivo, chi sono gli altri produttori di componenti operanti sul mercato? È possibile sfruttare una rete di clienti già consolidata? È possibile superare la committenza da parte del gruppo Stellantis? Nel documento si sottolinea la rilevanza del tema alla luce degli investimenti previsti nel PNRR e delle risorse a disposizione. Da questo punto di vista, diversi autori hanno sottolineato l’esistenza di possibili colli di bottiglia nell’attuazione del PNRR legati ad aumenti dei costi dei materiali e alla forte crescita dell’import quando le opere pubbliche (previste) andranno a regime. Potrebbe esserci un’impennata di domanda di mezzi pubblici rispetto alla reale capacità delle imprese italiane di produrli. Ecco, quindi, che la ex-GKN potrebbe posizionarsi come fornitore di componenti per trasporto pubblico: in particolare nel Piano viene individuato un possibile committente proprio in Industria Italiana Autobus.
Nello scenario della riconversione cosiddetto radicale si ipotizza invece un ruolo della ex-GKN nella filiera toscana dell’idrogeno. Ci si domanda se sia possibile prevedere un coinvolgimento di risorse europee a partire dai piani delle Smart Specialization Strategies 2021-2027, che, sulla carta, prevedono il rafforzamento della competitività regionale e lo sviluppo di attività innovative e hanno portato alla formulazione della Strategia regionale di specializzazione intelligente per la Ricerca e l’Innovazione. La stessa Regione Toscana ha approvato il 6 aprile 2022 la versione preliminare della Strategia Regionale 2021-2027 siglando il documento Azioni a sostegno dell’innovazione e della transizione industriale. Quale azione più concreta se non quella prevista nel Piano per valorizzare competenze e rafforzare il sistema produttivo regionale?
La ristrutturazione neoliberista degli ultimi decenni ha portato a un’ulteriore asimmetria nel rapporto tra capitale e lavoro. «La delocalizzazione e chiusura di GKN – scrivono gli autori del documento – è di fatto l’ennesimo cratere in un paese caratterizzato da una vulnerabilità estrema in termini produttivi, scivolato nella specializzazione in settori a basso contenuto tecnologico, popolato da piccole imprese spesso poco produttive». Nel Piano sono delineate proposte di intervento ben definite e, soprattutto, si chiama in causa un intervento pubblico che non sia solo legato all’erogazione di incentivi, ma allo svolgimento delle sue prerogative fondamentali di politica industriale, peraltro in un settore chiave per l’economia quale quello della mobilità sostenibile e della produzione di energia pulita.
Sarebbe dunque un’occasione preziosa per segnare una discontinuità rispetto agli ultimi quarant’anni caratterizzati da processi di deindustrializzazione, finanziarizzazione e impoverimento del lavoro e dei territori. Accogliere questa proposta potrebbe essere il segnale concreto di volontà di inversione di rotta, maggiore protagonismo dello Stato nell’attività di indirizzo dell’economia, in una cornice macroeconomica che offre spazi di azione e richiede interventi nuovi. D’altronde, come affermano le autrici e gli autori, «non esiste alcun meccanismo spontaneo di rigenerazione delle attività produttive. Se viene a mancare un presidio di competenze tecniche localizzato sul territorio, si crea semplicemente un vuoto che non verrà più colmato». Mobilitiamoci affinché questo non accada, di nuovo.
NOTE:
Nota 1 – La locuzione ‘trasformazione silenziosa’ è tratta da Magnani E. (2003) El cambio silencioso, Buenos Aires, Prometeo Ediciones.
Nota 2 – Secondo i dati pubblicati dalla Cooperazione Finanza Impresa – CFI – che finanzia gli interventi previsti dalla legge Marcora, nel periodo 2011-2020 in Italia ci sono state 82 iniziative, con un valore della produzione di quasi 300 milioni di euro e un’occupazione di 1.855 addetti. Secondo Coopfond spa, che gestisce il fondo mu- tualistico Legacoop, nel periodo 2008-2020 risultano 65 iniziative; un fatturato com- plessivo di 308 milioni di euro; 1.650 addetti di cui 1.414 soci lavoratori.
Nota 3 – Il Registro Nazionale delle Imprese Recuperate dell’INAES – Instituto Nacional de Asociativismo y Economía Social – in Argentina raccoglie informazioni sulle imprese recuperate. Sono circa 400 e occupano 15000 lavoratori/lavoratrici: https://www. argentina.gob.ar/inaes/registro-nacional-de-empresas-recuperadas.
Nota 4 – Molteplici sono i programmi universitari a sostegno delle recuperate in Argentina come in altre parti del mondo. Fra i tanti si ricorda il Programa Facultad Abierta dell’Università di Buenos Aires che ha proprio la sua sede all’interno della tipografia recuperata Chilavert.
Nota 5 – Alcuni autori critici – fra i quali Agustín Salvia – pur riconoscendo nelle esperienze delle imprese recuperate la natura del conflitto sociale e quella di potenziali labora- tori politici, hanno parlato di “economia della povertà”, proprio per evidenziarne il carattere originario di lotta per la sussistenza, associato ad una modesta possibilità di sostenibilità e crescita futura in un contesto economico di tipo capitalista.