Post-liberismo/Come affrontare il post-liberismo? La sfida, dopo questi anni di ascesa del neoliberismo, è quella di costruire un modo di pensare e di sentire nuovo che consenta si unificare diverse battaglie e di connettere le persone coinvolte in ciascuna di esse. Un manifesto per uscire dalla dottrina politico-economica dominante
Il termine crisi può essere sovrautilizzato. Tuttavia, la situazione in cui ci si trova a vivere oggi possiamo descriverla come uno stato di crisi perenne. I programmi e i discorsi che dominano la politica in Gran Bretagna e, più in generale, in Occidente, sono inadeguati rispetto agli obiettivi che si prefiggono di raggiungere. L’austerità non è una soluzione a problemi quali l‘instabilità dei sistemi economici, le diseguaglianze o la scarsa crescita. Allo stesso modo, l’allargamento della Nato e la messa in atto di una nuova guerra fredda nei confronti della Russia capitalista non è una risposta alle problematiche connesse alla sicurezza dell’occidente. O, ancora, il supporto e il finanziamento di gruppi paramilitari in Medioriente, nel tentativo di ottenere cambi di regime finalizzati a garantire l’approvvigionamento delle materie prime energetiche all’occidente, tende esclusivamente a peggiorare le situazioni (si tratti di combattere il terrorismo, di garantire al sicurezza energetica o di salvaguardare i diritti umani) che si tenta di stabilizzare per quella via.
Nei prossimi cinque anni potremo verificare invece che strategie opposte – di riconciliazione e scambi commerciali come quella avviate tra gli Stati Uniti e Cuba – tendano a garantire risultati di gran lunga migliori di quelli ottenibili mediante ostracismi, sanzioni e assedi come quelli portati avanti nei cinque decenni precedenti. Un simile cambio di rotta dovrebbe essere assunto anche nelle relazioni con Iran e Russia. E’ necessario che molte voci si levino, per quanto scomode esse possano apparire, per smascherare le incongruenze tra i parametri che guidano le politiche ufficiali e la situazione reale. Solo a quel punto alcune patologie dei sistemi politici contemporanei (quali le mobilitazioni contro i migranti o contro l’Islam in Europa) potranno essere riconosciute come tali.
Gramsci ha definito in modo memorabile la differenza tra ‘guerra di movimento e ‘guerra di posizione’. La prima definisce quell’insieme di circostanze per cui un cambiamento radicale dei rapporti forza politici è ottenibile in un’unica ed immediata soluzione. Egli aveva in mente condizioni politiche propriamente rivoluzionarie, ma la medesima definizione potrebbe attagliarsi anche alla situazione che ha visto l’ascesa al potere dei Laburisti nel 1945 o della Thatcher nel 1979. Una ‘guerra di posizione’ è invece una situazione in cui tale cambiamento nell’equilibrio dei poteri non è ottenibile in modo immediato, ma in cui è comunque possibile acquisire posizioni utili in una prospettiva di lungo periodo.
Oggi ci troviamo in una situazione di guerra di posizione. Il valore di una vittoria del Labour o di un governo a guida laburista nel Maggio 2015 non trasformerà, di per sé, la politica o la società ma potrebbe contribuire a creare le condizioni per cui un nuovo pensiero e un nuovo tipo di azioni politiche siano nuovamente possibili. Fenomeni cruciali dell’ultimo trentennio come la trasformazione in senso individualistico della società, l’instaurazione delle privatizzazioni e del consumo di massa come paradigmi dominanti, non sono processi invertibili nel giro di cinque o dieci anni attraverso le politiche estremamente caute e compromissorie proposte dalla socialdemocrazia. Ma, in questo contesto, perlomeno potrebbe essere un po’ più probabile che lo spazio per nuove organizzazioni, nuovi centri di potere, nuove identità e forme di resistenza al mercato si creino, fornendo le basi per la costruzione per un rinnovato e migliore ordine sociale. Noi crediamo che in questa fase sia estremamente necessario adottare un visione di lungo periodo (…).
Consideriamo alcuni aspetti chiave del quadro che abbiamo di fronte. Il nostro lavoro ha messo in luce come la socialdemocrazia sia, oggi, definitivamente morta. E non per quanto riguarda le strutture formali – rimarranno in piedi, per quanto fortemente trasformati, lo stato sociale così come alcuni meccanismi di redistribuzione. Piuttosto, sono scomparsi l’ethos e lo spirito della socialdemocrazia; si tratta della rottura e della frammentazione di ciò che la socialdemocrazia ha significato per il ‘senso comune’, di quanto il nostro linguaggio è stato trasformato. Siamo ad un punto dal quale non è possibile tornare indietro (…).
Oggi al centro c’è la finanziarizzazione. Questo è il cuore delle diverse dinamiche attraverso cui si dispiega oggi l’egemonia neoliberista. È la parte che tiene assieme il tutto. E’ il ‘nemico comune’ di conflitti apparentemente animati da obiettivi diversi. È possibile, dunque, che l’opposizione alla finanziarizzazione divenga l’elemento chiave capace di legare tra di loro battaglie diverse, capace di costruire una frontiera politica comune, una cosiddetta ‘alleanza contro la finanza’? Un’alleanza di questo tipo è ciò che viene proposto nel ‘Green New Deal’(…)
Il tema delle diseguaglianze e dell’effettività dei sistemi democratici sono centrali nella contestazione del potere e della legittimità del neoliberismo inteso come sistema. Qualunque vincolo troverà di fronte a sé un futuro governo britannico alternativo a quello attuale, la sua capacità di ridurre le diseguaglianze e di rafforzare il funzionamento degli strumenti democratici rappresenterà la vera misura della sua efficacia (…).
I temi dell’ambientalismo non sono essenziali solo per quel che riguarda la nostra sopravvivenza futura; essi sono parte integrante del nostro discorso politico complessivo, un’arena nella quale una miriade di nuove frontiere politiche possono essere aperte (…).
La sfida, dopo questi anni di ascesa del neoliberismo, è quella di costruire un modo di pensare e di sentire nuovo che consenta si unificare diverse battaglie e di connettere le persone coinvolte in ciascuna di esse. C’è bisogno di rispetto per la diversità, per le specificità di ciascuna sfera della vita, ed il riconoscimento di quelli che debbono essere i concetti guida fondamentali come la giustizia, l’eguaglianza e la democrazia profonda. L’obiettivo è quello di creare e sostenere un rinnovato consenso attorno a questi valori, facendo sì che, nel tempo, i governi eletti trovino la fiducia necessaria a rafforzare i medesimi valori attraverso le loro decisioni.
(Traduzione di Dario Guarascio)
Presentiamo qui alcune parti del capitolo conclusivo “Displacing neoliberalism” del volume “After neoliberalism? The Kilburn Manifesto (Lawrence and Wishart, 2015) curato da Stuart Hall, Doreen Massey e Michael Rustin. Si tratta di una delle migliori analisi e proposte su come uscire dal neoliberismo, una versione italiana è in preparazione. Il testo completo è scaricabile gratis da http://www.lwbooks.co.uk/journals/soundings/manifesto.html