La crisi del coronavirus avrà un impatto enorme sui concetti di lavoro e socialità. Il libro “Lavorare è una parola” riunisce molti contributi per il futuro a partire dal mezzo secolo della legge 300 e dalla sua rivoluzione.
Chi ha perso un familiare, chi ha perso (o perderà) il lavoro, chi ha perso una bella fetta di reddito, chi ha perso libertà di muoversi, di vedere amici o andare in libreria. Il conto del Coronavirus è salato, ancorché provvisorio. Ma paghiamo anche il conto dei nostri errori. Ne abbiamo avuto più d’una conferma nella recente e presente vicenda della pandemia (e non solo per la stucchevole polemica sulla apertura delle fabbriche e i codici d’identificazione delle produzioni essenziali). Perché se c’è una premessa da fare è che ad essere essenziali sono solo i lavoratori e le lavoratrici, a partire dalla loro salute. Perché essenziale, ancor più oggi che lo tsunami Covid 19 si sta ritirando, è il lavoro. E tra i tanti errori commessi, e di cui abbiamo avuto drammatiche riprove, il primo è la svalorizzazione del lavoro teorizzata e perpetrata nel corso degli ultimi decenni.
Perché il lavoro è tutto. Cosa c’è di più bello, di più importante, di più gratificante del lavoro? Cosa c’è che dia più senso di libertà, che più si leghi a valori quali dignità, stima e considerazione dello svolgere il proprio lavoro?
E allora, perché il lavoro e i lavoratori valgono ancora così poco, pesano e spostano sempre meno? Parole desuete come datore di lavoro e prestatore d’opera sono uscite dal lessico corrente ma restano intatte nella realtà materiale delle persone. La conquista dello Statuto dei lavoratori fu un grande momento di affermazione di diritti e di democrazia, per le persone e per il Paese. In questi cinquant’anni si sono accese molte speranze e abbiamo registrato molte sconfitte, più autunni che primavere per intenderci. Ma, proprio per questo, un anniversario così importante può essere visto e sentito come l’occasione per una riflessione collettiva sul tempo trascorso ma soprattutto sull’orizzonte di oggi.
E’ questo lo spirito del libro. Nell’ultimo mezzo secolo il mondo è molto cambiato e di conseguenza è molto cambiato anche il lavoro. Resta tuttavia per noi ineccepibile il principio secondo cui è il lavoro che cambia il mondo, ovvero ne definisce e ne delinea la natura emancipatoria, di progresso, di affermazione di diritti e di cambiamento. Ecco allora la necessità di affrontare con lucidità, passione e pensieri lunghi cosa significhi “lavorare” in questo passaggio storico così particolare e complesso, dove il nesso lavoro-libertà-democrazia sembra finito in un cono d’ombra.
Proprio le trasformazioni che ne hanno segnato l’evoluzione in questi convulsi decenni richiedono una analisi attenta quanto di parte: parole quali mercato, condizione operaia, occupazione e investimenti, nuove modalità di produrre necessitano, per essere riempite di contenuti, di un principio di partenza e di una visione di insieme, per intenderci il principio secondo cui è nel lavoro che si realizzano le persone ed è esso che ne determina la condizione materiale, sociale, culturale.
Si tratta di interrogarci della qualità della vita dei lavoratori e delle lavoratrici, delle persone che il lavoro ce l’hanno ma senza che questo ne sancisca una diversa e migliore affermazione personale e professionale, di quanti cercano nel lavoro il superamento delle loro difficoltà, di chi dal proprio lavoro non riceve sicurezze e riconoscimento, quella infine di chi vive una condizione di negazione dei diritti e di nuovo sfruttamento.
Globalizzazione e precarietà, finanziarizzazione dell’economia e rottura del patto capitale-lavoro, digitalizzazione e migrazione, e financo gli squilibri climatici, hanno prodotto un aumento esponenziale delle ingiustizie e delle diseguaglianze, sotto qualsiasi punto di vista le si consideri, da quelle di genere ed educative, a quelle territoriali e salariali in primis, senza peraltro dimenticarci che nel 2019 l’uno per cento della popolazione deteneva il doppio della ricchezza dell’89% del globo.
Specie l’Europa e l’Occidente hanno così visto aprirsi nuove ferite e seri problemi sugli stessi principi della democrazia e degli equilibri tra i poteri. In Italia, come in gran parte dei paesi avanzati, la classe operaia e le sue rappresentanze – sindacali e politiche – sono state di fatto travolte e rimaste pressoché inermi di fronte a questo tsunami, producendo e lasciando spazio a pericolosi stati d’animo di solitudine, abbandono, perdita di solidarietà in larghe fasce di lavoratori dipendenti, nei ceti popolari e tra quelli che hanno pagato più di altri la crisi, il blocco dell’ascensore sociale e delle politiche redistributive, prosciugando aspettative di cambiamento e di affermazione sociale.
L’ambizione dei materiali proposti è quella di sottoporre alla discussione un quadro generale della condizione lavorativa attraverso le riflessioni e le considerazioni di personalità del mondo della cultura, dell’economia, giuslavoristi e filosofi, accademici, sindacalisti ed esperti chiamati ad affrontare singoli momenti dell’arcipelago lavoro. Lo strumento scelto è quello del vocabolario: per ciascuna lettera dell’alfabeto si è individuato un particolare aspetto da approcciare e sviluppare con l’obiettivo di offrire al lettore uno specifico momento di approfondimento per orientarsi e districarsi nella complessa realtà che oggi contraddistingue il mondo del lavoro.
Un contributo collettivo, speriamo utile, di sicuro originale e non di carattere celebrativo, che cerca di raccontare “il rosa, il grigio e il nero” di un mondo, quello del lavoro, soggetto ed oggetto al tempo stesso di straordinari mutamenti con le loro ricadute e le loro conseguenze, molte di certo positive ma spesso anche negative. Per ricordare il varo della legge 300 del 1970 (“con lo Statuto la democrazia entra in fabbrica”) e riannodare percorsi di emancipazione e liberazione che non si possono relegare al Novecento ma vivono e si impongono anche nella società attuale. Lo vogliamo fare aggiornando analisi e ragionamenti, intrecciando il passato, il presente e il futuro. Sempre e comunque dalla parte del lavoro, dei lavoratori e delle lavoratrici, senza se e senza ma.