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Sanità, ambiente, fisco, welfare, energia, Sud, infrastrutture: i fronti su cui la politica è chiamata a intervenire nel post-Covid sono molti. E tutti richiedono interventi radicali, con un taglio netto rispetto alle scelte del passato. Sarà capace di farsene carico l’attuale maggioranza di governo?

Le sfide che stanno di fronte all’Italia (e al mondo) sono enormi. Non si può tornare al passato, grandi cambiamenti si impongono. Ce lo ripetiamo in tanti, ma un’ansia, sempre più diffusa, si accompagna a questa convinzione: chi e come porterà al nuovo ordine? Saprà assolvere a questo compito un’Europa che, nata per fare da contraltare a quel potere, ne è stata invece un baluardo? Potrà invertire la rotta un governo nazionale nato quasi per caso, privo di un progetto (e di una cultura) cui ispirarsi?

Abbiamo rilevato in precedenza (sulla scorta di una riflessione che Sbilanciamoci! ha il merito di aver alimentato) i segnali di novità dall’Europa che nei prossimi giorni si spera trovino conferma. Ma le incertezze del quadro nazionale continuano a destare preoccupazione e alimentano l’ansia. Inoltre, questa pandemia ha rivelato una verità che finora non era evidente. Posto che negli ultimi decenni il dominio di un potere economico/politico quasi incontrastato ha dato modo a chi entrava a farne parte di accumulare ricchezza a scapito dell’equilibrio ambientale e delle condizioni di vita del restante degli esseri umani e delle generazioni future, appare sempre più chiaro che quel potere è ben consapevole degli enormi squilibri che prova a negare, ma mette in conto che saranno gli esclusi a pagarne le conseguenze. E punta a impedire a chi ha la forza dei numeri di tradurla in forza di coercizione e di usarla per fermarlo, pareggiando i conti: con l’ambiente e con l’umanità, di oggi e di domani.

La pandemia è stato l’ultimo campanello d’allarme in ordine di tempo. Poiché sappiamo per certo che quelli a venire sono destinati ad avere un impatto sempre più pesante, quell’insieme di squilibri va sanato prima che sia troppo tardi. Ora il quadro globale è in movimento, le elezioni negli Stati Uniti saranno un passaggio chiave. Ognuno dei teatri di cui quel quadro si compone meriterebbe di essere analizzato. Ma resta infine la domanda: e noi, in quel quadro, come siamo messi?

Sappiamo come sia illusorio ritenere che la maggioranza degli eletti in Parlamento sia convinta del cambiamento necessario e si senta investita del compito di portarlo a compimento. Si può sperare, forse, che non vi sia una maggioranza contraria solo perché una buona parte di loro non ritiene che la politica debba rispondere a queste sfide ma obbedisca a tutt’altre ragioni. Certo, tra chi ha compiti di guida, nel governo e nei partiti dell’attuale maggioranza, non mancano uomini e donne che aspirano al cambiamento. Ma il problema con cui dobbiamo fare i conti è che non pochi tra coloro che hanno quei ruoli hanno avuto parte attiva nella deriva da cui dobbiamo uscire.

Pensiamo alla questione del momento, la salute. Se la Lombardia è la regione con la più alta mortalità per abitante al mondo (e Stati Uniti, Brasile e India vantano il primato tra gli Stati) non è solo una coincidenza e solo il lockdown ha scongiurato fin qui l’esplosione della pandemia nelle aree in cui il sistema sanitario è più debole. Di questi tempi non c’è una sola voce che non si levi a condannare le scelte fatte nell’ultimo quarto di secolo in questo campo in Italia. Eppure, nel corso dell’ultimo decennio, quando si è disinvestito nella sanità, fino a scardinare la riforma che alla fine degli anni Settanta aveva dato vita a un sistema nazionale, articolato su base regionale, totalmente pubblico e universale al posto di quello mutualistico ereditato dal fascismo, erano solo voci nel deserto.

Ora, Medicina Democratica, Sbilanciamoci! e altre associazioni hanno prodotto un documento unitario sul tema della salute, organico e articolato al tempo stesso, ponendo in cima alla lista, con l’universalità del Servizio, l’adeguatezza della spesa e il Ministro Speranza ha fornito una cifra (40 miliardi) che sembra rispondere alle valutazioni d’insieme (in linea di massima) in rapporto al Pil (diamo per certo che l’assonanza con la disponibilità MES sia solo una coincidenza). Ma dove vanno indirizzati? Con quali obiettivi, quali scelte strategiche nel rapporto mezzi-fini, quali vincoli?

Pensiamo solo ai grandi capitoli (prevenzione, diagnostica, farmaci, ricoveri, riabilitazione), al rapporto tra indirizzo unitario e articolazione gestionale, a quello tra pubblico e privato. Su ognuno di questi c’è una lunga storia di scelte politico-amministrative – dal livello centrale a quello regionale fino a quello locale/aziendale – in cui il Partito Democratico ha avuto, nella maggior parte dei casi, un ruolo guida. Possiamo confidare in un’inversione di rotta che traduca quella disponibilità di risorse (dandola per acquisita…) in una serie di scelte come quelle indicate dal documento citato? Il problema sta tutto nel silenzio che regna sull’argomento. Si è parlato dell’emergenza, del suo superamento, del vaccino, degli obblighi e delle libertà; degli eroi, del civismo. Ma quale sarà il ruolo dei privati, che fine faranno le RSA, i ticket, gli screening, la domiciliare, l’incompatibilità, il numero chiuso, la telemedicina l’innovazione tecnologica…? Pagheranno meno di tasca propria (welfare aziendale compreso) i cittadini, senza rinunciare alle cure? Tornerà a crescere l’aspettativa di vita?

Pensiamo alle infrastrutture: qui siamo nel cuore, Autostrade, aeroporti, tunnel. Sembra non bastino neanche la Corte dei Conti e la Consulta per espellere il capitalismo parassitario (definizione appropriata adottata nell’ambito della scienza economica per definire la tipologia di impresa di Autostrade-Aspi, Adr, SAE). Concessioni di durata spropositata con procedure abnormi (alla faccia del “libero mercato”), contenenti manleve criminogene per utili comparabili solo con quelli dei giganti del web e del narcotraffico. Si risale a Di Pietro ma si collezionano firme che vanno da Monti a Del Rio, fino alle ultime perle della De Micheli. Che scrive una lettera il giorno prima della sentenza della Consulta, il cui contenuto non era difficile immaginare e la giustifica come atto dovuto. Che proroga la concessione per i tre grandi aeroporti che hanno accumulato miliardi (non milioni) di utili negli ultimi anni e prova a riesumare una fantomatica quarta pista a Fiumicino (affare del secolo per i Benetton che sarebbe costato come due Ponti sullo Stretto), ignorando (?) che era stata definitivamente bocciata da tutte le autorità competenti interessate, compresa la Regione Lazio (il cui presidente dovrebbe conoscere). Mentre a Chiomonte va avanti un cantiere di cui è già sancita – dall’Europa e dalla Francia – la fine ingloriosa, non prima di aver alimentato devastazioni ambientali, profitti record e intromissioni criminali.

Si punta sul Sud, in questo campo come per l’innovazione tecnologica: come dimenticare la cruda realtà delle cifre per l’andamento degli investimenti da decenni a questa parte e i protagonisti (al MISE, all’Economia, al MIT) di quelle scelte? È di queste ore l’annuncio di un mega-investimento TIM le cui prime due localizzazioni sono al nord; ci si augura che il Ministro per il Sud orienti ora la terza.

E che dire dell’ambiente? Perché incentivi e penalizzazioni non siano puro “greenwashing” occorre andare al cuore del problema: servono a uscire dal fossile o a mascherare la continuità? Le trivelle, in val Padana e in mare, vedono regioni a guida PD in primo piano. L’ENEL a Civitavecchia è pronta a de-carbonizzare … ma per passare al gas (e far arrivare il TAP fin in Sardegna, se non oltre). E quanto al dossier acciaio (collegato) si può convertire ILVA come previsto da gran tempo (non affidandosi a chi va in direzione contraria, nel mondo o da noi, come Marcegaglia e Riva) e si può rilanciare un’eccellenza come l’AST. Togliendola a chi se ne era impadronito solo per eliminare un concorrente scomodo e vincolando la produzione a parametri ambientali rigorosi. I legami da recidere risalgono tutti a referenti politici ben individuati, dell’attuale maggioranza.

Si parla infine di riformare il fisco (progressività, lotta all’evasione). Di introdurre il salario minimo e sostituire le misure di facciata per gli invisibili (lacrime sprecate, li hanno resi visibili Aboubakar e il suo movimento) con altre più incisive. Di rivedere alla radice gli ammortizzatori sociali (ancora per lo più su base mutualistica), di finalizzare meglio il reddito di cittadinanza, rafforzandolo. Di ripristinare la giusta causa. Non serve fare nomi, le responsabilità del passato sono scolpite nel marmo.

Ecco, per farcela – e per lenire l’ansia – non conviene stare a guardare. Avanzare proposte, azzeccare i destinatari, distinguere amici da contro-rematori. Essere in campo.