La riforma dal decreto legge 112 al “collegato lavoro”: breve compendio dell’azione del governo Tremonti-Gelmini sulla scuola pubblica. Taglio per taglio
La riforma della scuola targata Gelmini-Tremonti è stata avviata con il decreto legge 112/2008, che richiedeva l’incremento graduale di un punto, entro il 2011/12, del rapporto alunni/docenti e la riduzione del personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) del 17% in un triennio, per un risparmio complessivo di 456 milioni di euro per l’anno 2009, 1,650 miliardi per il 2010, 2,538 per il 2011 e 3,188 dal 2012. Il decreto indicava come obiettivo la migliore qualificazione dei servizi scolastici e la piena valorizzazione professionale del personale docente, ma prevedeva di reinvestire nella scuola solo il 30% dei risparmi. Di fatto poi questa quota è servita in parte a compensare l’ulteriore taglio alle spese di personale previsto con la manovra dell’estate scorsa (decreto legge 78/2010).
L’attuale governo ha sottolineato la continuità con i tentativi di riforma di quelli che lo hanno preceduto, giustificando in questo modo l’ampiezza della revisione ordinamentale operata per finalità di contenimento della spesa e di razionalizzazione.
Da qualche tempo in Italia si era diffusa l’idea dell’urgenza di un intervento incisivo sulla scuola pubblica. L’ “emergenza educativa”, per dirla con Girolamo De Michele (La scuola è di tutti, Minimum fax, 2010) era motivata dall’individuazione di una serie di carenze, a cominciare dal basso livello medio di istruzione in comparazione internazionale. Il dibattito si è incentrato sui risultati disastrosi dell’indagine internazionale Programme for International Student Assessment (Pisa), trascurando per lo più altri test più “favorevoli” all’istruzione italiana, soprattutto quella primaria; si attribuiva alla scuola tutta la responsabilità della scarsa mobilità sociale (dimenticando i rapporti di forza particolarmente squilibrati tra classi e gruppi sociali) e dell’insufficiente formazione di lavoratori qualificati nel settore scientifico-tecnologico (dimenticando le caratteristiche del mercato del lavoro italiano, con la domanda fortemente orientata verso le qualifiche medio-basse). A fronte di tutto ciò, si sottolineava l’alto rapporto costo-efficacia della spesa, rilevato tra l’altro dal Quaderno bianco sulla scuola dei ministeri dell’economia e dell’istruzione e università del 2007 e dal Rapporto 2008 “La revisione della spesa pubblica” della Commissione tecnica per la finanza pubblica. In realtà la spesa pubblica per la scuola in rapporto al Pil, misurata sui dati Ocse (Cfr. Education at a glance, 2006, 2010), non è elevata in confronto con gli altri paesi (3% nel 2007, contro il 3,5% della media Ocse), tuttavia il Quaderno bianco segnalava un costo per alunno più alto, pari a 7.754 dollari nel 2003 (7.024 al netto del ciclo di istruzione più lungo e del maggior numero di ore di insegnamento), contro 6.278 in media Ocse. Si può osservare che in seguito il gap si è ridotto (circa 200 dollari nel 2007). Il Quaderno bianco comunque considerava necessario riequilibrare il rapporto docenti/studenti, rivedendo e centralizzando le procedure di determinazione degli organici, che erano decentrate a livello di plesso, e reinvestire nella scuola le risorse recuperate (nell’edilizia scolastica, nei servizi agli studenti e nel sostegno a quelli in difficoltà, nella valutazione, nell’istruzione degli adulti).
L’impostazione sulla riduzione della spesa per il personale è stata accolta, ma a tal fine la riforma Gelmini-Tremonti ha puntato principalmente sulla riduzione di orario e sull’eliminazione della compresenze (-54.903 unità di personale), da realizzare, secondo il Piano programmatico previsto dal decreto legge 112/08, nella scuola primaria con la riduzione dell’orario obbligatorio, nella secondaria di primo grado con la riduzione dell’orario obbligatorio e la revisione del sistema del tempo prolungato, nella secondaria di secondo grado con la revisione dei curriculi e dell’orario di lezione per circa 3 ore settimanali in media nel 70% delle classi. Effetti più limitati sarebbero derivati dall’incremento del numero di alunni per classe, pari a 0,4 nel triennio (-12.800 unità) e da altri provvedimenti, tra cui la riduzione degli insegnanti specialisti di inglese nella primaria (-19.700 unità).
Dell’introduzione del maestro unico e della messa in discussione del tempo pieno alla primaria si è già detto molto. Quanto ai regolamenti che hanno riordinato la secondaria di secondo grado, innanzitutto si è chiuso il periodo delle sperimentazioni, con cui in passato si era cercato di adeguare la scuola, in assenza di interventi complessivi di riforma, potenziando alcune materie e/o aumentando il numero delle discipline, e con le quali si era incrementato l’orario di fatto (in genere fino a 34/35 ore nei licei, ad esempio, rispetto alle 25/30 di ordinamento). I nuovi regolamenti mirano a sistematizzare e ridimensionare gli indirizzi (in cambio sono stati concessi un. aumento della quota di autonomia e, negli istituti tecnici e professionali, anche alcuni spazi di flessibilità da usare nell’articolare gli indirizzi).
Dopo le critiche esplose in seguito ai risultati di Pisa, si è stabilito che gli obiettivi specifici dell’apprendimento dovranno essere valutati periodicamente dall’Invalsi, ed è stata dichiarata l’intenzione di rafforzare l’area matematico-scientifica e la lingua straniera, ma le ore dedicate a queste discipline, seppure aumentate rispetto al quadro ordinamentale, sono diminuite rispetto a molte sperimentazioni. Inoltre, grande enfasi è stata posta sul rafforzamento dei laboratori – anche per rispondere alle richieste del mondo delle imprese – istituendo in alcuni indirizzi un apposito Ufficio tecnico, ma al contempo si è deciso di ridurre almeno del 30% le compresenze del docente tecnico-pratico. Per i licei e i tecnici è stato previsto l’insegnamento, agli ultimi anni, di una disciplina non linguistica in lingua straniera (due al linguistico), ma questo dovrebbe avvenire senza aumenti di organico e di spesa. I tagli alle risorse pongono insomma più di una incognita sul raggiungimento degli obiettivi declamati.
È stato fortemente enfatizzato il ruolo dell’alternanza scuola-lavoro, degli stage e dei tirocini. La legge 183/2010 (cosiddetto “collegato lavoro”) consente addirittura di assolvere l’ultimo anno dell’obbligo di istruzione nell’apprendistato, aggirando l’aumento a 16 anni dell’età minima per l’accesso al lavoro stabilito con legge 296/06 dal precedente Governo. Eppure gli effetti del ritardato aumento dell’età dell’obbligo in Italia già si riflettono sui bassi livelli di istruzione. Il rafforzamento dei collegamenti con il territorio – e dunque con il mondo produttivo che vi si trova inserito – potrà passare tra l’altro per il coinvolgimento di figure esterne, provenienti anche dal settore privato, nell’ambito di appositi Comitati tecnico scientifici, nelle commissioni per la valutazione periodica e gli esami di stato, attraverso la stipula di appositi contratti.
Una parola d’ordine della riforma era il rilancio dell’istruzione tecnica, ma le iscrizioni ai licei nell’anno scolastico 2010-11 sono aumentate del 3,1%, mentre sono in calo quelle ai tecnici e professionali (Il Sole 24 Ore, Luigi Illiano, La campanella suona l’ora della riforma, 6 settembre 2010). Qualcuno ha suggerito di intervenire sull’orientamento dei giovani per contrastare la “licealizzazione” (si veda ad esempio l’intervista su Il Sole 24 Ore del 12 maggio 2010 di Attilio Oliva, Presidente di TreeLLLe). A nostro avviso, sarebbe auspicabile una crescita del numero dei diplomati tecnici e professionali ottenuta a spese della dispersione scolastica, non dei licei.