Sciopero/«Coinvolgere parlamenti e parti sociali» e «sviluppo sostenibile»: le condizioni del movimento sindacale europeo e anche americano
“Se i negoziatori non perseguono questi obiettivi, i negoziati dovrebbero essere sospesi”. È la premessa al documento “Il Ttip deve funzionare per le persone, altrimenti non funzionerà affatto”, che la Confederazione Europea dei Sindacati (Ces) e la confederazione sindacale statunitense Afl-Cio hanno diffuso congiuntamente nel luglio scorso.
Il movimento sindacale europeo e quello americano – tradizionalmente non contrari agli accordi commerciali – hanno posto chiare condizioni alla Commissione Europea e all’Amministrazione Obama. Per poter proseguire, il negoziato Ttip dovrebbe garantire un pieno processo democratico, inclusivo dei parlamenti e delle parti sociali, sia nella fase di negoziato, come nell’implementazione e nel monitoraggio di un eventuale trattato; garantire che il capitolo sullo “sviluppo sostenibile” (norme ambientali, sociali e del lavoro) abbia la stessa forza ed esigibilità delle norme commerciali; proteggere lo spazio di legiferazione degli stati, l’interesse pubblico e il “principio di precauzione”; proteggere la privacy delle comunicazioni e informazioni personali.
Al contrario, secondo Ces e Afl-Cio, il Ttip non dovrebbe contenere alcun meccanismo di risoluzione delle dispute investitore-stato (il famigerato Isds); ostacolare le regole di controllo sui servizi finanziari; mettere in pericolo i servizi pubblici essenziali – che vanno esclusi dal negoziato; pregiudicare l’accesso ai farmaci e alle cure sanitarie; pregiudicare il principio di applicazione delle norme del paese ospitante per i lavoratori distaccati; contenere norme sull’immigrazione, che devono essere definite fuori dagli accordi commerciali, nelle sedi istituzionali idonee, come l’Ilo, e nell’ambito di un approccio basato sui diritti.
Ces e Afl-Cio confermano che, se queste condizioni non saranno rispettate, l’opposizione al negoziato non potrà che farsi via via più forte e numerosa, nel mondo del lavoro, come nella società civile delle due sponde dell’Atlantico.
Il rallentamento del negoziato ha consentito il moltiplicarsi delle prese di posizione di sindacati nazionali e delle categorie europee che, da IndustriAll (industria) ad Epsu (servizi pubblici), da Effat (alimentaristi e turismo) a Etf (trasporti), hanno chiesto la sospensione del negoziato. Tanto più dopo la firma del Ceta tra Europa e Canada, giudicato dalla Ces negativo in sé – tanto da chiedere al parlamento europeo e a quelli nazionali di votare contro la sua ratifica – e un vero e proprio “cavallo di Troia” rispetto al Ttip. Nessuna delle principali condizioni poste dai sindacati è stata rispettata. Il Ceta contiene un meccanismo Isds, include i servizi pubblici – per di più col sistema della lista “negativa” (tutto a mercato, salvo quanto esplicitamente negato), non prevede alcuna reale esigibilità dei diritti del lavoro.
Come noto, di fronte alla contrarietà dei governi tedesco e francese, la Commissione ha aperto una consultazione pubblica sull’Isds – senza ancora farne conoscere i risultati – e la Ces e i sindacati europei hanno espresso formalmente la loro contrarietà a questo meccanismo di arbitrato extragiudiziale che mette gli Stati alla mercè di multinazionali e investitori stranieri.
Ma, tanto più alla luce dell’ormai ventennale esperienza del Nafta, Afl-Cio ha avanzato serie preoccupazioni sui livelli occupazionali e sulla qualità dei posti di lavoro decantati dai sostenitori del Ttip, incontrando – da questa parte dell’Atlantico – analoghe preoccupazioni della Cgil, della Cgt, degli spagnoli, del Tuc inglese che hanno “trainato” su una posizione fortemente critica il sindacato tedesco e quelli nordici, tradizionalmente più “aperti” verso gli accordi commerciali. Del resto, un recente studio della Tufts University ribalta le previsioni – positive, per quanto limitate – degli studi di impatto commissionati dall’Unione Europea sulle prospettive per i posti di lavoro in Europa. Dal Ttip non deriverebbe alcun vantaggio occupazionale al vecchio continente, anzi un’ulteriore perdita di occupati, particolarmente nei paesi mediterranei. Così come aumenterebbero le distorsioni interne: aumenti nell’export verso gli Usa sarebbero pagati con la sostituzione di importazioni da oltre Oceano di una parte delle importazioni oggi provenienti da altri paesi europei. Le condizioni poste dai sindacati, dunque, sono tutt’altro che campate per aria e non saranno certo mitigate dalla parola d’ordine sulla trasparenza dei negoziati, lanciata dalla nuova Commissaria Cecilia Malstrom, mentre il governo italiano si intesta la medaglia della desecretazione del mandato negoziale. Come se ciò fosse sufficiente a mettere sullo stesso piano i sindacati – che hanno accesso ai brevi briefing informativi tra una sessione negoziale e l’altra – e le lobby finanziarie ed industriali che stilano norme e regolamenti con la Dg Trade o con lo staff del negoziatore Usa Froman. E se gli “strateghi” del Ttip, tra cui il nostro Vice Ministro Calenda, vedono nel trattato l’ultimo treno per agganciare gli Usa, irrimediabilmente rivolti all’Asia con il negoziato Trans Pacifico (Tpp), la Confederazione Internazionale dei Sindacati (Csi-Ituc) e 14 sindacati dei 12 paesi coinvolti hanno anch’essi chiesto – con motivazioni molto simili ai loro colleghi transatlantici – uno stop a quel negoziato.