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Tav, perché i grandi progetti falliscono

I grandi progetti sono spesso destinati al fallimento, con costi lievitati, scarsi ricavi, gravi effetti ambientali e sociali. Il Tav rischia di diventarne l’esempio pù clamoroso

Premessa

Si possono certamente discutere gli argomenti di chi vuole che la linea ad alta velocità Torino-Lione vada avanti e di chi invece non vorrebbe. Molti aspetti della questione sono in effetti avvolti nel dubbio e nell’incertezza. Quelle che appaiono più difficili da contestare, in tema di grandi progetti, sono invece alcune conclusioni, in qualche modo parallele al dibattito in corso, cui sono giunte nel tempo un gran numero di ricerche internazionali. Una letteratura ormai consolidata (si veda in proposito Flyvbjerg, Bruzelius, Rothengatter, 2003), mostra che la gran parte dei grandi progetti avviati nel mondo non raggiungono alla fine gli obiettivi prefissati. Le previsioni iniziali sono spesso, anche clamorosamente, smentite dalla realtà, sia per quanto riguarda la valutazione del costo dell’investimento, sia per il livello dei ricavi, oltre che per i tempi di realizzazione e per le necessità di risorse finanziarie; i problemi legati alle tematiche ambientali e sociali vengono altrettanto sostanzialmente sottovalutati. Il caso italiano può essere considerato l’esempio più evidente e forse estremo, almeno nell’ambito dei paesi sviluppati, di tali tendenze negative.

Il caso della Tav

Un caso da ricordare è proprio quello del sistema Tav, sviluppato dal 1991 in poi dalle nostre ferrovie. Già secondo i dati pubblicati dall’agenzia NuovaQuasco nel 2006 (Bocca, 2007), i costi di investimento per l’intero progetto erano stimati allora, quando l’opera era lontana dal completamento, a più di sei volte le cifre previste nel 1991 e le possibilità di ulteriori lievitazioni di apparivano plausibili. Anche se prendiamo in considerazione i tassi di inflazione registrati nel nostro paese tra il 1991 e il 2006 la differenza appare molto rilevante. I tempi di completamento di una linea ferroviaria erano normalmente calcolabili tra i 6 e gli 8 anni in Spagna, Francia, Giappone, mentre raggiungevano gli 11-13 anni in Italia. Se prendiamo infine in considerazione il costo dell’investimento per chilometro di linea, le cifre apparivano da tre a sei volte più elevate da noi che nel caso di progetti simili portati avanti in Francia, Spagna, Giappone. Uno studio più recente svolto da alcuni ricercatori del Politecnico di Milano (Reitano, 2011) si concentra invece su un’analisi costi-benefici del progetto. Così, per quanto riguarda la Torino-Milano, costata 7,7 miliardi di euro, per raggiungere il pareggio di bilancio la linea avrebbe bisogno di 14 milioni di passeggeri annui, mentre oggi sono al massimo 1,5 milioni. Per quanto riguarda la Roma-Napoli, oggi conta 3 milioni di passeggeri, mentre per raggiungere il pareggio ne servirebbero 8 milioni.

Le ragioni dei fallimenti in generale

Ci si può chiedere quali possano essere le ragioni più importanti dei fallimenti dei progetti nel mondo. Le ricerche a livello internazionale sono arrivate da tempo a conclusioni abbastanza precise. Alla radice della questione, si possono individuare almeno quattro categorie di problemi: 1) architetture istituzionali molto carenti; 2) insufficiente analisi e controllo dei rischi; 3) procedure inadeguate di programmazione e gestione dei costi e dei ricavi; 4) esistenza di fattori esterni imprevedibili. Soffermiamoci prima di tutto sui progetti pubblici, o con un forte coinvolgimento pubblico. Molti degli errori di previsione di tali iniziative non possono essere spiegati soltanto con le difficoltà di previsione, con errori di gestione, o con il verificarsi di eventi esterni catastrofici ed imprevedibili. Le analisi mostrano, in effetti, che la ragione principale delle distanze tra piani e risultati effettivi risiede nel fatto che coloro che propongono un certo progetto – politici, costruttori, altri gruppi di interesse – manipolano molto spesso i dati previsionali in maniera che essi appaiano più convenienti, o anche molto più convenienti, di quanto siano nella realtà. Tutti questi soggetti, a partire dai politici, disinformano i Parlamenti, l’opinione pubblica, i mezzi di informazione, gli stessi investitori, per riuscire ad ottenere che i progetti che a loro interessano, per ragioni di potere, di prestigio, di interessi economici personali, vengano alla fine comunque realizzati. Va peraltro sottolineato che la manipolazione dei dati di costi e di ricavi non appare una prerogativa esclusiva dei progetti pubblici. Essa può essere rilevata molto di frequente anche nelle grandi imprese private. Per quanto riguarda sia i progetti pubblici che quelli privati, bisogna ricordare una seconda ragione dei fallimenti, di frequente connessa alla prima: la sottovalutazione dei rischi. Molto spesso, in effetti, gli studi di fattibilità dei progetti presumono che le cose andranno secondo i piani, laddove invece appare chiaro che di fatto il mondo dei progetti è altamente stocastico e che le cose vi avvengono soltanto con una certa probabilità; solo di rado si svolgono come originariamente previsto. Sono ignorate o poco usate le sofisticate tecniche, che pure esistono, che aiutano a valutare e a governare meglio i rischi.

Alcune specificità del caso italiano

Tutte le possibili ragioni di fallimento dei progetti prima elencate sono applicabili in larga misura al caso italiano. Peraltro, nella penisola si possono anche trovare delle motivazioni abbastanza specifiche, il che rende l’Italia un caso certamente particolare.

a) ragioni avanzate dalle parti interessate

Imprese di costruzione, manager delle ferrovie e della società autostradali, nonché molti uomini politici, tendono a sottolineare tre ragioni per quanto riguarda i problemi sopra citati:

1) per dare il consenso ai progetti che interessano il loro territorio, le autorità a livello di comuni, province, regioni, chiedono in compenso la realizzazione di qualche infrastruttura di interesse locale. Una ulteriore questione, collegata alla precedente, fa riferimento al fatto che almeno una parte del territorio italiano ha una densità di popolazione più elevata che nel caso della Francia e della Spagna;

2) il sistema italiano dell’alta velocità, al contrario che quello di altri paesi europei, è previsto per trasportare non soltanto passeggeri, ma anche merci;

3) la conformazione del territorio del nostro paese, in confronto a quello di Francia, Spagna o Germania, presenta mediamente più montagne e colline.

Ma dobbiamo ricordare che anche nel caso di progetti senza montagne né colline da noi si registrano problemi rilevanti a livello di costi e di tempi di esecuzione. Certo, i progetti di trasporto italiani possono costare più che altrove in ragione delle particolarità citate, ma pensiamo che le ipotesi avanzate riescono a spiegare una parte di frequente limitata della questione e che bisogna aggiungere altre analisi per comprendere le vere cause del problema.

b) le altre ragioni

Ci sono due aree tematiche specifiche, la prima legata alle questioni politiche e all’organizzazione della pubblica amministrazione, la seconda al comportamento delle imprese. Per quanto riguarda il primo tema, possiamo elencare le seguenti ragioni:

4) l’inefficienza della pubblica amministrazione ai livelli nazionale, regionale, provinciale, comunale e le relazioni di frequente perverse che esistono tra questi differenti livelli;

5) il fatto che l’idea di nuovi progetti incontri frequentemente una dura opposizione da parte delle popolazioni interessate è anche legato alla cattiva gestione politica;

6) il livello della corruzione, che in Italia appare in media più alto che negli altri paesi sviluppati;

7) il forte peso del crimine organizzato;

8) il fatto che i lavori pubblici sono di frequente una fonte di finanziamenti occulti del sistema politico.

Se prendiamo ora in considerazione la seconda tematica, possiamo ricordare:

9) la grande litigiosità esistente nel nostro paese tra l’amministrazione pubblica e le imprese partecipanti alle gare d’appalto. Va poi segnalata la ricerca continua, in corso d’opera, di modifiche a proprio favore dei termini originali dell’iniziativa da parte delle società vincitrici e la contestazione dei risultati delle gare da parte delle imprese perdenti;

10) per altro verso, si verificano di frequente delle intese oligopolistiche per spartirsi gli appalti e spuntare un prezzo e delle condizioni più favorevoli alle imprese; anzi, si può pensare che nel nostro paese viga da molti decenni un sistema occulto di spartizione tra i principali protagonisti del settore per quanto riguarda almeno l’assegnazione dei grandi progetti. La mancanza di una vera concorrenza mantiene molto basso il livello di efficienza delle imprese. Una variante della questione fa riferimento al perverso sistema del “general contractor”.

Conclusioni

Abbiamo elencato molte delle ragioni che spiegano perchè in Italia i progetti nel settore dei trasporti presentino il più delle volte dei rilevanti problemi. Non esistono molte ricerche che provino a quantificare il peso di tali differenti problemi. Perciò appare difficile valutare l’importanza relativa di tutte le ragioni sopra elencate. Il cuore della questione sembra comunque da rintracciare nelle forti pressioni esercitate dalle imprese di costruzione sul governo e sugli apparati pubblici, insieme all’inefficienza e alla corruzione della pubblica amministrazione e di molti politici; anche il crimine organizzato ha il suo peso rilevante. In ogni caso, per quanto riguarda la Torino-Lione, le stime di costo oscillano oggi tra gli 8,0 e i 25,0 miliardi di euro, a seconda delle scelte progettuali specifiche che venissero effettuate. Si può essere ragionevolmente sicuri che, a consuntivo, tali cifre verranno superate di molto e che i tempi effettivi di realizzazione dell’opera, se mai sarà completata, saranno molto più lunghi di quanto ufficialmente stimato.

Testi citati nell’articolo

Bocca R., Alta voracità, L’Espresso, 4 gennaio 2007

Flyvbjerg B., Bruzelius N., Rothengatter W., Megaprojects and risk. An anatomy of ambition, Cambridge University Press, Cambridge, 2003

Reitano P., Il flop dell’Alta velocità, Altreconomia, marzo 2012