Dopo la troika/La partita in atto tra Atene e Bruxelles è durissima, ma fondamentale. Per la Grecia e per tutti noi che vorremmo un’altra Europa. Finalmente la grande questione di cosa voglia dire essere una comunità è stata posta sul tappeto. E non si potrà più nasconderla sotto
“Gliela faremo pagare”. In questa frase che le cronache sull’ultima riunione dell’Eurogruppo ci rimandano c’è tutto il “caso greco”. Al di là di ogni questione di merito è evidente che a Bruxelles si sta giocando una partita politica di massima importanza e che ci riguarda: bisogna punire chi, per la prima volta in 58 anni di storia, ha osato sfidare i vertici dell’Unione Europea e ha messo in discussione i criteri di conduzione di quella che dovrebbe essere una comunità. Questo è quel che conta: non deve più accadere, chi ci ha provato deve essere punito. Guai se si aprisse un varco alla politica. E cioè alla condivisione.
E perciò il signor Jeroen Dijssebloem ha alzato il ditino per dire no, sette riforme non ci bastano, ne vogliamo venti. La prossima volta diranno 25, chissà.
Contro Varufakis diciassette robot che continuano a chiedere al governo Tsipras, forte di un appoggio popolare senza precedenti, di pagare per le malefatte accumulate da chi sarà pur greco, ma quel che più conta non è la nazione di appartenenza, ma il fatto che sia compagno di partito, e di casta, proprio di chi vorrebbe impartire lezioni di moralità: i ministri del governo Samaras. Proprio nelle stesse ore in cui questa scena andava in onda uno di loro, anzi il più importante perché ministro delle finanze, Gikas Hardouvelis, veniva scoperto reo di ver esportato illegalmente 450 mila euro in un paradiso fiscale inglese. “Volevo mettere al sicuro il capitale per i miei figli” – si è scusato. Poveretto.
Non sono passati neppure due mesi da quando inediti personaggi , diversissimi da chi da sempre aveva comandato il paese, hanno preso le redini della Grecia trovandosi a dover gestire un immane disastro economico e ormai umanitario. Ma la meravigliosa Europa non è disponibile a dargli tempo affinché possano riparare e riavviare lo sviluppo del paese, nonostante sempre più numerosi siano gli avvertimenti di economisti europei ed americani, che invitano Bruxelles a ragionare anziché ad emettere editti imperiali.
La partita in atto è durissima. Del resto sapevamo che così sarebbe stato. Ma è stato fondamentale avere accettato la sfida. Per la Grecia e per tutti noi che vorremmo un’altra Europa. Finalmente la grande questione di cosa voglia dire essere una comunità, che è cosa diversa da un mercato, è stata posta sul tappeto. Non si potrà più nasconderla sotto. E sarà stridente ascoltare, dopo questa vicenda, ripetere le retoriche invocazioni sull’Europa che ha portato pace e prosperità. Anche questa in corso è una guerra. Con le sue vittime umane.
Ci sono perplessità, e anche critiche per come Varoufakis e Tsipras hanno condotto le cose? Sì, certo. Provenienti dal loro sesso partito e Consiglio dei ministri. È comprensibile. Credo però che esse siano ingiuste. Si tratta di una guerra di lunga durata, non di una rapida e conclusiva battaglia. destinata a conoscere arretramenti e passi in avanti, per molti versi di una vera guerriglia. Ma bisogna tenere i nervi saldi: i risultati non posso esser misurati nell’immediato, è già una vittoria aver imposto un nuovo discorso, aver aperto contraddizioni (che nonostante l’apparente unità del fronte di Bruxelles già emergono), aver forse, anche questo per la prima volta, animato un movimento popolare davvero europeo in solidarietà con Syriza, su un tema che riguarda tutti. È già molto. Ci ha dato coraggio a tutti. Per questo ringraziamo i compagni di Syriza e li invitiamo a continuare.
Tsipras non è un ragazzotto decisionista e rottamatore che crede di poter fare quello che vuole soltanto perché è giovane. Sebbene qualcuno da noi così abbia tentato di descriverlo per impadronirsi di un po’ della sua popolarità. Non disprezza il passato, né irride la vecchia sinistra. Pochi giorni fa, aprendo i lavori del difficile Comitato centrale del suo partito, cui ha spiegato le difficoltà del cammino intrapreso e l’impossibilità di imboccare una strada diversa da quella fin qui percorsa, ha dedicato tutta la prima parte del suo discorso proprio ai vecchi combattenti comunisti della Grecia. Se il 25 gennaio abbiamo vinto – ha detto – è molto per via delle loro lotte e dei loro sacrifici. Altrimenti non saremmo riusciti ad arrivare fin qui. Non sono davvero le parole dei giovanotti del nostro governo.