Lehman Brothers, fino al giorno prima, aveva un’ottima “A”. Fannie Mae e Freddie Mac ne avevano addirittura tre. E prima ancora c’era stato l’ottimo voto per Enron. Ma l’oligopolio che dà le pagelle mondiali – Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch – ancora è lì. Impunito
Imparziali, corrette, affidabili. Per anni le agenzie di rating hanno insistito nell’imporre al mondo questa visione di se stesse. E il mondo – per lo meno quello dell’alta finanza – gli ha creduto. D’altra parte, sarebbe stato paradossale il contrario, visto che di conflitti d’interesse, di controllori che sono anche i controllati e di consulenti che sono anche recensori, il mondo delle agenzie di rating è davvero stracolmo. Quello degli istituti che hanno il compito di verificare lo stato patrimoniale delle principali aziende pubbliche e private di tutto il mondo, dei sistemi economici nazionali e della finanza mondiale è infatti un ambiente chiuso. Le grandi agenzie che operano nel settore sono pochissime. Colossi privi quasi completamente di concorrenza. Tanto che – nonostante il terremoto dei mesi scorsi e una serie di clamorosi errori – Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch (i tre principali istituti del mondo) sono ancora sulla cresta dell’onda.
Vale la pena di ricordare qualche episodio degli ultimi anni. Piccola premessa: le classi di valutazione, note a chiunque operi nel settore ma meno al piccolo risparmiatore, equivalgono ad una serie di giudizi. Standard & Poor’s, ad esempio, concede il punteggio massimo (la “tripla A”) alle aziende o agli enti con “elevata capacità di ripagare il debito” oppure “A” ha quelli che garantiscono “solida capacità di ripagare il debito” che, però, “potrebbe essere influenzata da circostanze avverse”. E così via fino al peggiore rating: “D”, ovvero “società insolvente”. Allo stesso modo Moody’s utilizza una scala che va da “Aaa” (le aziende con “livello minimo di rischio”) fino a “C”.
Il problema non è certo nella classificazione, ma nel modo in cui questi giudizi vengono assegnati. Era il 2001, quando il sistema finanziario americano veniva scosso dall’implosione del colosso dell’energia Enron. Fino a tre giorni prima del crack, il rating dell’azienda era assolutamente positivo. E anche nelle ore immediatamente precedenti al clamoroso default, sebbene declassate, le valutazioni erano comunque rassicuranti. Due anni dopo, stessa storia, che stavolta ha riguardato l’Italia da più vicino. Le obbligazioni Parmalat, alle quali era assegnata una valutazione “BBB-“, ovvero di “società non speculativa”, non erano sufficienti a mettere in guardia i 50 mila risparmiatori che videra in un attimo i loro risparmi andare in fumo.
Ma gli errori più clamorosi sono quelli recenti. Il 6 settembre del 2008, negli Stati Uniti, le due aziende semi-governative specializzate in mutui, Fannie Mae e Freddie Mac, chiedevano un intervento pubblico d’urgenza. Una vera e propria nazionalizzazione, operata con 200 miliardi di dollari dei contribuenti americani, con l’obiettivo di salvarsi da un fallimento praticamente certo. E le agenzie di rating, anche in questo caso non si erano accorte di nulla. Anzi, la valutazione dei due colossi dei mutui era addirittura la migliore possibile: a entrambe era assegnata la “tripla A”. Pochi giorni dopo, il gigante bancario Lehman Brothers, la quarta più importante banca statunitense dichiarava bancarotta. E fino a poche ore prima era valutata con un’ottima “A”.
L’autodifesa delle agenzie di rating è degna del miglior arrampicatore di specchi. Numerosi dirigenti, nei mesi scorsi, si sono affrettati a spiegare che le “valutazioni” non sono “previsioni”: le società si limitano quindi a dare un giudizio sulla situazione attuale delle aziende, non sugli sviluppi futuri, che sono legati alle fluttuazioni del mercato. Domanda: conosciamo tutti le innumerevoli storture del sistema finanziario globale, ma è davvero possibile che un’azienda passi da uno stato eccellente alla bancarotta in una giornata?
Piuttosto, il problema è proprio legato ad una urgente riforma delle agenzie di rating. Sembra averlo compreso (finalmente) la Commissione europea, che ha recentemente proposto, nel quadro di una serie di misure volte al superamento della crisi, una nuova regolamentazione del settore. Anzi, ad una “prima” regolamentazione. Le agenzie, infatti, non sono ancora sottoposte ad una normativa specifica: il loro unico obbligo è quello di sottostare ad un codice di condotta. Volontario. Bruxelles ipotizza invece tre passaggi obbligati: la registrazione presso le autorità di regolamentazione europee (il che significa anche sottoporsi alla vigilanza delle autorità nazionali); la pubblicazione delle metodologie di valutazione del rischio; una serie di modifiche alle regole interne alle agenzie volte a prevenire i conflitti d’interesse.
Gli errori “storici” delle agenzie di rating |
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Azienda / Ente / Investimento |
Data |
Valutazione assegnata |
Lehman Brothers |
Settembre 2008 |
A2, A, A+ |
Fannie Mae / Freddie Mac |
Settembre 2008 |
AAA |
Parmalat |
Dicembre 2003 |
BBB- |
Enron |
Dicembre 2001 |
Baa1 |
Bond Argentina |
Dicembre 2000 |
B1, BB |