Sono stati pubblicati i dati dell’Istituto SIPRI relativi al 2015: il totale dei fondi destinati ad armi ed eserciti è cresciuto dell’1% in termini reali. Dopo tre anni di relativa stasi riprende la crescita iniziata nel 2001.
Una nuova ripresa della spesa militare a livello mondiale. E’ questa la situazione suggerita dai dati pubblicati dell’Istituto SIPRI di Stoccolma. Dopo tre anni di relativa stasi la crescita misurata nel 2015 si attesta circa sull’1% in termini reali. L’ammontare complessivo delle spese militari è stimato dai ricercatori svedesi in 1.676 miliardi di dollari, equivalenti al 2,3% del prodotto interno lordo mondiale. Nel complesso i primi 15 paesi di questa speciale classifica spendono per gli eserciti e le armi almeno 1.350 miliardi di dollari, equivalenti all’81% del totale. In testa alla classifica come sempre gli Stati Uniti d’America che da soli investono poco meno di 600 miliardi di dollari e contribuiscono al 36% della spesa militare complessiva (quota minore del recente passato grazie alla crescita robusta di altri Paesi). Dietro di loro la Cina, che ha visto una crescita annuale del 7,4% (complessivi 215 miliardi di dollari) e poi, superando anche la Russia, l’Arabia Saudita che ha fatto crescere la propria spesa militare del 5,7% (ad oltre 87 miliardi di dollari). Una crescita dovuta soprattutto agli investimenti diretti per la guerra in Yemen che coinvolgono anche acquisti di bombe italiane. Pur superata dal budget Saudita la Russia ha comunque incrementato la propria spesa militare del 7,5% (oltre 66 miliardi di dollari totali).
“Come al solito dobbiamo considerare questi dati soprattutto dal punto di vista dei trend generali, perché non è mai semplice valutare fino in fondo le effettive spese militari pubbliche – commenta Francesco Vignarca coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – le indicazioni sono però chiare sia per quanto riguarda il mondo nel suo complesso sia per quanto riguarda l’Europa occidentale: dopo qualche anno di rallentamento causato dalla crisi finanziaria è all’orizzonte una ripresa degli investimenti militari”.
Una tendenza, quella del 2015, probabilmente stimolata e giustificata agli occhi dei decisori politici dagli eventi terroristici in Europa ed in Occidente e che continua quindi nel solco delle scelte sbagliate di questo millennio. Va ricordato infatti come la spesa militare mondiale sia stata in continua e robusta crescita dal 2000 in poi, con un aumento di oltre il 50% in termini reali proprio a seguito della “guerra al terrore” dichiarata dopo l’11 settembre 2001. Una “risposta armata” che però non ha contribuito a risolvere i problemi, come appare chiaro dalla cronaca di questi temi, ma è servita solamente a far crescere i fatturati delle aziende a produzione militare.
Non va infine dimenticato che tali cifre sono relative ai bilanci statali, da cui sfuggono i valori relativi alle forniture di armi a titolo gratuito (si pensi ad esempio a tutte le milizie coinvolte nei conflitti aperti) e ai traffici clandestini di armi piccole e leggere, che alimentano conflitti in varie are geografiche. “Riteniamo poi significativa e preoccupante anche l’impossibilità esplicitata da parte dei ricercatori del SIPRI di valutare nel complesso la spesa militare del Medio Oriente data la situazione d’instabilità diffusa e la difficoltà nel reperire dati affidabili” commenta inoltre Maurizio Simoncelli vicepresidente di Archivio Disarmo.
Per quanto riguarda il nostro Paese, il SIPRI stima una spesa militare di poco inferiore ai 24 miliardi di dollari, segnalando un brusco calo nell’ultimo decennio, ponendo l’Italia al dodicesimo posto a livello mondiale (per una quota pari al’1,4% del totale). Dati che però non devono trarre in inganno poiché, proprio a causa dei meccanismi opachi di finanziamento della spesa militare italiana che da tempo anche Rete Disarmo denuncia, probabilmente a Stoccolma non sono riusciti a valutare appieno la complessiva spesa militare italiana. Mettendo in fila i dati ufficiali dell’ultima Legge di Stabilità si raggiunge infatti un totale di 23,12 miliardi di euro corrispondenti (con cambio medio 2015 di 1,1) ad oltre 25 miliardi di dollari e non a meno di 24 miliardi come valutato dal SIPRI. Il motivo della differenza sta forse nei fondi “extra bilancio” (in particolare dalle missioni militari e dal Ministero per lo Sviluppo Economico) su cui la Difesa può contare e i cui dati non sono facilmente rintracciabili, soprattutto per quanto riguarda osservatori stranieri.
La Rete Italiana per il Disarmo è soprattutto preoccupata della possibile ripresa della spesa militare mondiale ed europea (vanno ricordate infatti le recenti ipotesi della Commissione Europea di non considerare nel deficit la spesa armata) che continuerebbe solo a drenare negativamente risorse altrimenti utili e necessarie a costruire una vera sicurezza basata su uguaglianza, diritti, lavoro, welfare.
Per questo motivo la Rete Italiana per il Disarmo partecipa all’iniziativa della “Global Campaign on Military Spending” promossa dai propri partner europei e coordinata in particolare dell’International Peace Bureau (organizzazione premio Nobel per la Pace 1910). Anche quest’anno, come avviene dal 2011, si celebrano infatti proprio dal 5 aprile i “Global Days of Action on Military Spending” con iniziative che si protrarranno fino al 18 aprile.
Visita il sito della Rete Italiana per il Disarmo.