Il modello d’Europa definito dai trattati europei appare assai migliore rispetto all’effettiva gestione che alla comunità europea stanno dando gli organismi investiti del governo dell’Ue
L’articolo di Etienne Balibar “La Grecia e noi” (10.07.2015) – sul cui contenuto concordo – contiene due affermazioni non corrette: «La volontà popolare di una nazione non può prevalere sui trattati»; «Tsipras, con il suo governo e il suo popolo, [vuole] la rifondazione dell’Europa».
Sono piuttosto la gestione dell’UE e quella della BCE a non rispettare i trattati europei.
Con riferimento all’UE, i “valori” sono innanzitutto evidenziati nel preambolo della Carta dei Diritti Fondamentali: «I popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. […] Sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, […] nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa nonché dell’identità nazionale degli stati membri e dell’ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale. Essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali nonché la libertà di stabilimento».
L’Art. 3, comma 3, del Trattato dell’Unione Europea ribadisce i principi fondamentali del governo dell’Europa: «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli stati membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo».
Le parti sopra evidenziate in corsivo definiscono gli obiettivi, in campo economico e sociale, dell’UE, non distinguendo però chiaramente fra obiettivi finali e obiettivi intermedi. Invece è proprio su questa distinzione che si gioca la bontà o meno del modello economico-sociale europeo.
Una lettura attenta porta, a mio avviso, all’individuazione, quale obiettivo finale dell’Unione, della realizzazione dello «sviluppo sostenibile dell’Europa basato su:
1) una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi;
2) un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale;
3) su un elevato di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente».
Ora, le tre “basi” non si presentano sullo stesso livello di finalità. Se il valore di fondo sta – come evidenziato sopra – nella “dignità della persona”, pare evidente che il livello più avanzato di finalità sta nella “piena occupazione e nel progresso sociale” (che si realizza “combattendo l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuovendo la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione Europea” – successivi due capoversi dello stesso comma) e che la crescita economica equilibrata, la stabilità dei prezzi, l’economia sociale di mercato fortemente competitiva, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, il progresso scientifico e tecnologico, la giustizia, la protezione sociale, la parità fra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni (e perché non anche fra le persone della stessa generazione?), la tutela dei diritti del minore, la solidarietà tra gli stati membri, e, ancor più, la creazione di un mercato interno e l’istituzione di un’unione economica e monetaria (la cui moneta è l’euro) siano, con diversi livelli di prossimità rispetto all’obiettivo finale, obiettivi intermedi o meri strumenti operativi.
Con un’espressione di sintesi, alla luce dei trattati dell’UE, l’enfasi va posta sulla dimensione sociale piuttosto che sulla dimensione dell’elevata competizione di mercato. Infatti il sintagma “economia sociale di mercato fortemente competitiva” viene specificato con l’indicazione “che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. “Piena occupazione” e “progresso sociale” sono così gli unici obiettivi esplicitamente indicati, mentre tutti gli altri sono presenti in quanto caratteristiche di àmbito necessarie affinché si possano realizzare i due obiettivi finali predetti.
Il continuo martellamento della Commissione Europea e del Consiglio dell’UE nonché del Presidente della BCE (e di quest’ultimo non vedo la competenza in merito!) nei riguardi delle “riforme”, che quasi tutti i paesi dovrebbero introdurre in tempi brevi – e dal conclamato o supposto imbocco di processi di realizzazione delle quali viene fatto dipendere il riconoscimento dello status di paese virtuoso o di paese vizioso, con conseguente applicazione di bonus o di malus nei rapporti economici, finanziari, o anche solo fiduciari, fra il governo centrale dell’UE e i singoli stati – risente della presenza di un modello di valutazione e di comportamento non in sintonia con gli obiettivi finali fissati nei trattati europei.
Si tratta di riforme, in parte, non del tutto chiare nei loro contenuti, che garriscono al soffiare di venti di origine non ben chiara, ma che richiamano generici odori di efficienza – disgiunti da considerazioni circa l’efficacia in termini di bene comune per la collettività – di oscuri equilibri di lungo periodo, difficili da monitorare, di vaga solidarietà intergenerazionale ecc. In parte, di riforme che chiaramente tendono a smantellare il Welfare State e il sistema di relazioni industriali create in Europa – specie a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – riducendo i diritti, le garanzie e le condizioni dei lavoratori, subordinandoli agli interessi dei proprietari del capitale. La motivazione sta nella difesa della capacità dell’economia dell’UE di competere con il Resto del mondo in termini di prezzi; a beneficio di quella parte del mondo imprenditoriale europeo che, per sopravvivere, punta sulla capacità di competere in termini di prezzi, non essendo capace di competere in termini di qualità, nei confronti della quale capacità la presenza di un robusto sistema di protezione sociale, di giustizia sociale, costituisce invece un importante atout.
D’altra parte lo statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea dice che «obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi [che è la situazione attuale], esso sostiene le politiche economiche generali dell’Unione, al fine contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’art. 3 del TUE. […] Còmpiti fondamentali assolti tramite il SEBC sono […] promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento». Anche la politica in atto di strangolamento delle banche greche – che risulta a sostegno di una certa soluzione dell’attuale disputa fra Governo dell’UE e Grecia – non è affatto rispettosa di quanto dovrebbe essere il comportamento della BCE, alla luce del suo statuto.
In conclusione, la gestione attuale dell’UE risulta non rispettosa degli obiettivi finali contenuti nei trattati europei. Alla luce dei valori e principi etici che presiedono il contenuto di bene comune, il modello d’Europa definito dai trattati europei (da ultimo, il Trattato di Lisbona del 2007) appare assai migliore rispetto all’effettiva gestione che alla comunità europea stanno dando gli organismi investiti del governo dell’Unione Europea.