Il nano armato/Un modello non violento, fondato sulla partecipazione. Perciò serve una mobilitazione che dia il segno che il servizio civile europeo è fattibile
La proposta di dare vita a un servizio civile europeo, di recente rilanciata da diverse personalità, europee e italiane, ha attraversato la storia del ‘900. Nata dopo la Prima Guerra Mondiale per spinta dei pacifisti nonviolenti francesi e tedeschi, da cui nacque il Servizio Civile Internazionale, è stata ripresa dopo la Seconda Guerra Mondiale, è istituzionalizzata oggi dall’Accordo intergovernativo fra Germania e Francia e raggiunge alcune centinaia di giovani ogni anno.
Come frutto dei Trent’anni d’oro, l’idea è migrata a due dimensioni della pace, l’istruzione e la mobilità. I programmi Erasmus e Servizio Volontario Europeo hanno inverato questa nuova dimensione fondativa.
Questo quadro ha subito con la seconda metà del decennio passato una doppia sfida. Da una parte non sempre i due programmi sono stati in grado di essere inclusivi delle diverse figure e realtà giovanili dei diversi Paesi e dentro i Paesi stessi. Dall’altro lato non erano attrezzati per rispondere alla crescente crisi di legittimazione delle istituzioni comunitarie.
Una crisi di troppa selettività proprio mentre esplodeva la disoccupazione giovanile, l’impoverimento materiale drammaticamente stridente con un accesso all’informazione senza precedenti.
Questa miscela è uno dei propellenti dell’adesione giovanile ai movimenti ecologici, sociali ma anche ai movimenti xenofobi, violenti. Ed è ben magra consolazione rilevare che se i movimenti civici mobilitano in modo pacifico e pubblico decine di migliaia di giovani, i numeri dei giovani nei movimenti violenti sono inferiori. Nella società della comunicazione non è il numero che fa la differenza.
Poi, come sempre, c’è la gran parte di giovani che vorrebbero metter su famiglia, lavorare, avere tempo libero per divertirsi, viaggiare, ascoltare musica lontano dalla politica.
In questo contesto sono emersi i richiami al servizio civile europeo, come esperienza concreta di partecipazione civica su scala europea, richiami iniziati con il manifesto apparso su diversi giornali europei a prima firma di Cohn Bendit nel 2012, poi rilanciati da diverse personalità, sia del mondo universitario che del sindacato e della politica, come di alcuni organi di informazione.
Da alcuni attori sociali è stato rilanciato il servizio civile europeo come processo parallelo alla costruzione della difesa militare comunitaria, riprendendo quindi l’originario impianto culturale di costruzione in modo nonviolento della gestione e soluzione dei conflitti.
Un primo indicatore, che può essere utile per passare dalla fase del richiamo a quello della proposta di attuazione, riguarda l’esistenza di dispositivi legislativi (internazionali, comunitari, nazionali, regionali, comunali) disponibili nei Paesi dell’Unione. In Italia ci sono alcune leggi di servizio civile regionale che prevedono l’impegno aperto anche a cittadini stranieri, e che non dicono nulla sul possibile invio all’estero dei giovani.
Per quanto riguarda la legislazione nazionale, in ambito comunitario Francia e Germania hanno già oggi dispositivi che possono permettere, a condizioni di reciprocità, di fare il servizio civile nell’altro Paese. Soluzione simile in Lussemburgo. La legislazione italiana prevede l’invio all’estero ma non l’accoglienza di giovani stranieri. Dopodiché ci sono programmi che dal punto di visto delle finalità e/o dell’organizzazione sono simili ai servizi civili ma sono libere iniziative delle formazioni sociali.
Non è un caso quindi che molti di coloro che hanno rilanciato il servizio civile europeo, almeno in Italia, non abbiamo fatto cenno all’esistente Servizio Civile Nazionale.
Può essere la spinta alla legittimazione delle istituzioni comunitarie e alla costruzione di un civismo multiplo, che aggiunge alla dimensione locale e nazionale, anche la dimensione europea, un propellente politico talmente potente da iscriverlo nell’agenda di Bruxelles?
Ci sono oggi queste condizioni nelle grandi famiglie politiche europee che hanno governato il Parlamento e formato le Commissioni? La risposta dovrebbe essere scontata, soprattutto di fronte al populismo e all’antipolitica (non alla nuova politica) che emerge sempre più prepotente.
È lecito avere molti dubbi, visto che le impostazioni economiche di reazione alla crisi economico-sociale sono diverse e che alle proposte avanzate da alcuni intellettuali di riforma delle istituzioni comunitarie si è risposto con il fiscal compact e altre misure che hanno mortificato i Parlamenti e le società civili nazionali.
Eppure serve una nuova mobilitazione che, facendo base sulla generazione Schengen dia subito il segno che il servizio civile europeo è fattibile. Come? Introducendo anche nel Servizio civile nazionale italiano l’accesso agli stranieri e la previsione che nell’anno di servizio in Italia sia possibile trascorrere qualche mese in altri Paesi dell’Unione.