L’esperto di tasse Alberto Rocchi spiega la situazione reale delle entrate fiscali in Italia e indica le policy che si potrebbero realizzare. Intanto il tax gap pone l’Italia ai primi posti della classifica dell’evasione dei tributi in Europa.
Proseguiamo con Alberto Rocchi la nostra carrellata di interviste ad esperti e studiosi ai quali stiamo chiedendo una valutazione sulla possibilità di introdurre nuovi sistemi di prelievo e di redistribuzione. In particolare Rocchi ci ha risposto a queste domande di fondo:
Quanto pesa sulle entrate fiscali nazionali il fenomeno dell’evasione e dell’elusione fiscale? Se lei dovesse impostare una campagna di sensibilizzazione su quali valori punterebbe?
“Evasione” è soltanto una parola che comprende tutta una serie di fenomeni molto diversi tra loro: dall’occultamento di imponibile fiscale, al mancato versamento di imposte regolarmente dichiarate; dalle frodi fiscali, all’utilizzo improprio di strumenti agevolativi; il problema può essere osservato da diverse angolature e finisce per intrecciarsi con quello dell’economia sommersa e illegale.
Anche le attività illegali potrebbero generare materia imponibile? E vanno considerate nella perdita di gettito?
Un approccio universalmente accettato dalla letteratura economica, parte dalla misurazione del divario tra gettito fiscale teorico e gettito fiscale effettivo (tax gap). Questo indice, va a sua volta scomposto in due parti: 1) La differenza tra quanto il contribuente avrebbe teoricamente dovuto versare e quanto ha effettivamente dichiarato (assessment gap): è una misura dell’occultamento dell’imponibile attraverso condotte illecite; 2) La differenza tra quanto il contribuente ha dichiarato e quanto effettivamente ha versato (collection gap): restituisce la parte di imposte che non sono state pagate per le più disparate motivazioni (difficoltà ad adempiere, errori, ecc…).
In questo tipo di approccio, si prescinde completamente da cosiddetto policy gap, ossia la sottrazione di imposte operata attraverso comportamenti elusivi volti ad aggirare obblighi fiscali senza esplicite violazioni di norme al fine di ottenere illegittimi risparmi di imposta. Ben più gravi, poi, le frodi fiscali dove all’occultamento di base imponibile, si affiancano atti o fatti finalizzati a sviare l’attività di controllo.
E le attività illegali?
Come noto, tutti i Paesi europei devono considerare nella contabilità nazionale i redditi derivanti dalle attività riconducibili al commercio di stupefacenti, all’esercizio della prostituzione e al contrabbando si sigarette e alcool. Devono essere considerate queste attività nel calcolo del tax gap in termini di gettito che potenzialmente ne potrebbe derivare? Anche su questo punto ci sono molte discussioni; alla fine, il principio che viene prudenzialmente adottato nelle stime è quello di includere nella misura del tax gap soltanto il mancato gettito che deriva dall’occultamento parziale o totale di attività svolte da soggetti autorizzati, che producono e vendono beni o servizi la cui produzione, vendita o consumo sono considerati leciti. In definitiva, sigarette e, in misura non significativa, alcool. Diverso è invece l’approccio per l’economia sommersa, dove le stime del tax gap recepiscono le misure calcolate dall’Istat nell’ambito dei conti economici nazionali.
Ma quali componenti alimentano questo tax gap?
Queste componenti sono essenzialmente quattro: il volontario occultamento di imponibile; il mancato versamento del dovuto; la parte di tassazione imputabile all’economia sommersa; la parte di tassazione imputabile all’economia illegale
Ne consegue che una corretta contromisura deve associare, a ciascun elemento scatenante l’evasione, una leva specifica, con la consapevolezza che, in alcuni casi, gli strumenti potrebbero anche confliggere tra loro. Ad esempio, l’introduzione di norme più stringenti per far emergere una parte di imponibile sommerso, potrebbe comprimere i versamenti in seguito alle maggiori difficoltà riscontrate dagli operatori nell’adempimento degli obblighi normativi.
Il Tax gap negli ultimi anni è calato, anche se non di molto, in Italia, attestandosi comunque su valori assoluti intorno ai 100 miliardi. Si è molto discusso sulle cause di questa riduzione. Sul punto interessanti indicazioni possono essere ricavate dalla Relazione sull’evasione fiscale e contributiva allegata alla Nadef e pubblicata nel novembre 2022 dal ministero dell’Economia.
Che cosa ci dice quella Relazione?
Prima di tutto che aumenta la propensione all’evasione degli autonomi: La relazione individua la categoria dei «falsi minimi», formata da contribuenti che hanno potuto beneficiare della flat tax solo grazie alla sotto-dichiarazione del fatturato. In altri termini si tratta delle partite Iva che hanno scelto di non dichiarare più di 65mila euro per sfruttare la super agevolazione rappresentata dalla tassa piatta del 15%.
La riduzione dell’’evasione osservata nei dati definitivi 2019 è trainata dal calo di oltre 7 miliardi del tax gap Iva colpito da fatturazione elettronica e spilt payment, misure che hanno sortito i loro effetti in questo specifico campo.
Sono interessanti anche le conclusioni raggiunte dal documento sugli effetti della cedolare secca sugli affitti. In questo caso un impulso antievasione c’è, perché il regime agevolato ha fatto emergere nuova base imponibile che ha prodotto un recupero di gettito da 724 milioni di euro. Tuttavia la Commissione effettua un’analisi comparativa ipotizzando gli effetti di un’eventuale abolizione della cedolare: pur con un ritorno alla vecchia propensione all’evasione, le entrate aumenterebbero di 1,43 miliardi.
L’analisi delle tax expenditures, cioè la marea di agevolazioni più o meno settoriali riconosciute dal Fisco, conduce a un censimento di ben 592 unità per un costo di 82,57 miliardi quest’anno. È un balzo del 21% rispetto ai 68,1 miliardi del 2021, mentre per il 2023 si stima una flessione a 78,14 miliardi che sarà però cancellata dalle nuove misure fiscali sull’energia.
Da tutti questi dati possiamo dedurre delle conclusioni analitiche generali?
Quelli citati sono solo una piccolissima parte dei tanti dati forniti dal Ministero. Tuttavia, anche sulla base di questi dati parziali, si possono provare a trarre alcune conclusioni.
Le misure di contrasto all’evasione sono tutte concentrate sull’attivazione di strumenti telematici che, anche se in parte efficaci (come la fatturazione elettronica), hanno la pretesa di sostituire la presenza fisica degli uffici i quali, parallelamente, vengono smantellati e depotenziati. Ecco quindi che l’evasione (e gli evasori) si “spostano” su altri ambiti meno presidiati;
Le mini riforme dell’Irpef adottate negli ultimi anni hanno di fatto prodotto l’effetto di allargare le disuguaglianze tra i vari redditi da lavoro (come nel caso della flat tax sulle partite iva) e di avvantaggiare i rentier (come nel caso della cedolare secca sugli affitti).
Infine le cosiddette tax expenditures hanno chiari effetti regressivi e costituiscono un modo per agevolare quasi sempre i più ricchi. Da questo punto di vista, la norma sul 110%, pur partendo da un presupposto giusto (lo sconto fiscale deve andare anche a chi non ha reddito) ha finito per agevolare la speculazione sia a monte (i lavori sono stati fatti dai possidenti, soprattutto sulle seconde case) sia a valle, con la creazione di un mercato dei crediti d’imposta che sopravviverà alla scomparsa della misura.
Per concludere, diamo uno sguardo generale all’Europa. Evidentemente l’Italia, per quanto attiene all’evasione fiscale, non è messa per niente bene…
Nonostante i dati disponibili non siano precisi, è abbastanza certo che in Italia il tax gap sia tra i più alti in Europa. Alcune stime ci collocano al quinto posto, alle spalle solo di paesi periferici come la Romania. Inoltre occorre considerare che negli ultimi 10 anni la maggior parte dei Paesi europei ha iniziato lentamente ad abbandonare la politica di riduzione delle tasse. Infatti si osserva una inversione di tendenza da questo punto di vista che è spinta soprattutto dalla considerazione dei divari reddituali crescenti. In Italia invece, nonostante l’allargamento delle disuguaglianze, si continua a preferire una politica redistributiva basata sui bonus (bonus Renzi e varianti) o sul reddito di cittadinanza, senza mai toccare al rialzo la tassazione sui redditi più alti. Eppure il clima sociale non sarebbe del tutto ostile a una simile svolta, se adeguatamente supportato da un idoneo progetto politico. Ovviamente la direzione intrapresa anche in questo 2023 dal governo in carica è esattamente opposta, e ne avremo a breve la conferma con la diffusione della prima bozza di riforma fiscale che circolerà da metà marzo.