L’aria che tira/Siamo sicuri che i problemi dell’Italia derivino dalle opere bloccate e non piuttosto dal fatto che la gran parte di quelle opere, progettate e eseguite, sono inutili o sbagliate?
Genova 2014, ancora un disastro annunciato ed il premier Renzi, con consolidata abilità, ha colto l’occasione per far passare su media e pubblica opinione un’equazione perfetta: la colpa è del Tar e con Sbloccaitalia si risolve tutto. Ma siamo sicuri che è proprio così? Siamo sicuri che i problemi dell’Italia derivino dalle opere bloccate? E non piuttosto dal fatto che la gran parte di quelle opere, progettate, avviate, eseguite, sono o inutili o sbagliate? Nel caso poi di frane e alluvioni è ormai assodato che le ragioni stanno nel consumo di suolo e nel governo del territorio che ha fatto della speculazione edilizia e della cementificazione (accompagnata da una politica autolesionista di sostegno al traffico privato su gomma) l’unica religione di sviluppo.
Al di là della campagna mediatica, il Dl Sbloccaitalia ripropone vecchie ricette per situazioni nuove. Non c’è snellimento delle procedure e delegificazione ma solo deroghe, commissariamenti, accentramento delle decisioni e un po’ di risorse, recuperate da soldi non spesi. Esautorati enti locali e regioni si torna al modello Bertolaso, che ha prodotto la corruttela che sappiamo. Lo dicono alla Commissione Ambiente Cantone, denunciando i rischi di riciclaggio, e la Banca d’Italia, che parla di ripercussioni negative su tempi e costi e della «vulnerabilità ai rischi di corruzione». Ma soprattutto impressiona la tipologia degli interventi sbloccati (www.legambiente.it/sblocca-futuro).
Per la mobilità il 50% delle risorse va ad infrastrutture stradali e extraurbane, mentre attraverso la defiscalizzazione si rilanciano autostrade inutili come la Orte-Mestre. Per la gestione delle risorse idriche si cerca per l’ennesima volta di aggirare i risultati del referendum ed inoltre si affida l’unitarietà (indispensabile) delle politiche di gestione all’ente gestore e non, come sarebbe giusto, all’ente d’ambito territoriale. Per il rischio idrogeologico la progettazione affidata alle società in house dei ministeri, la «sistemazione idraulica» dei fiumi in aree urbane, i commissariamenti, gli accordi di programma tra regioni e ministero dell’ambiente favoriscono i grandi appalti e gli interventi sulla testa dei territori a discapito della pianificazione ordinaria a scala di bacino, senza dire nulla sull’urgenza delle delocalizzazioni e sugli interventi che favorirebbero l’ampliamento dell’effetto spugna sul territorio.
Si insiste con i commissari anche per fognature e depurazione, nonostante gli evidenti fallimenti di questi anni (ad es. in Calabria). Anche per gli interventi in edilizia, che pure presentano risvolti positivi, si favorisce la deregulation agli strumenti urbanistici e nei cambi di destinazione d’uso, mentre la tipologia di interventi per il termico è ancora troppo stretta. È poi demagogico pensare che si sblocca il paese aggirando le competenze delle Sovrintendenze; vanno caso mai create le condizioni affinché il parere sia dato nei tempi e nei modi opportuni. E ancora: che senso ha creare il doppio binario, nella classificazione per le bonifiche, tra Siti di interesse nazionale e Aree di rilevante interesse nazionale affidate al solito Commissario? Con in più la possibilità di disporre varianti in corso d’opera, la causa scatenante della lievitazione dei costi delle opere pubbliche. E ridare ossigeno ai termovalorizzatori, nella speranza (giusta) di impedire le esportazioni verso il nord Europa? Una tecnologia rigida, in un sistema saturo, incapace di adeguarsi al mercato della raccolta differenziata, in continua e veloce evoluzione.
Servono impianti di digestione anaerobica per l’organico (inseriti dalla Commissione Ambiente) e serve una politica nazionale di sostegno alla differenziata e al riciclo, uscendo dalla dittatura delle discariche. Infine, la ciliegina sulla torta, mentre tutto il mondo si sta interrogando su come uscire dall’egemonia del fossile, si autorizzano e rilanciano ricerche, trivellazioni ed estrazioni ovunque, con royalties irrisorie, senza obbligo di ripristino in caso di incidente, e con l’estromissione delle Regioni dalla Via per i giacimenti a terra, compensate dalla possibilità di sforare il patto di stabilità nel caso si goda di entrate superiori a 100 mln derivanti dai giacimenti petroliferi. Mai avevamo assistito ad un intervento legislativo così organicamente antiambientale e così carico di interventi sbagliati, all’opposto del sostegno ad un’economia circolare e low carbon. Misure che ripropongono un’Italia vecchia, arteriosclerotica, incapace di stare al passo con i tempi. A quando il premier Renzi, dopo aver rottamato le persone del Novecento, vorrà rottamare anche queste idee di sviluppo del Novecento?