Dibattito/1. Una lettura critica del libro “Sbilanciamo l’economia. Una via d’uscita dalla crisi” di Giulio Marcon e Mario Pianta. Molti suggerimenti sono utili, gran parte delle critiche condivisibili, ma l’estrema sinistra pensante non pensa abbastanza a fondo agli effetti imprevisti, ma prevedibili e non di rado perversi, delle politiche che suggerisce
Nelle prossime righe eviterò commenti sull’attuale situazione politica ed economica italiana, che, se il duo Letta-Napolitano non troverà le forze per un colpo di reni, si trascinerà tra una micro-crisi e l’altra fino a quando non verrà abborracciata – se mai accadrà – una legge elettorale, e il Parlamento potrà essere nuovamente sciolto.
Vorrei invece prendere in considerazione un breve ma denso libretto che ho letto nel fine settimana (Giulio Marcon e Mario Pianta, Sbilanciamo l’economia. Una via d’uscita dalla crisi , Laterza, 2013): un’ottima rassegna su che cosa pensa l’estrema sinistra pensante, riprendendo il termine dal titolo di un bel testo di Salvatore Biasco. Le cinquanta pagine iniziali, che costituiscono il primo capitolo, contengono un’analisi della crisi mondiale ed europea che in buona misura condivido: Mario Pianta è un economista competente, e in questo caso ha il vantaggio di giudicare la situazione col senno di poi, col benefit of hindsight, direbbero gli inglesi.
Il resto del libro riguarda anzitutto le proposte per contrastare la crisi nel caso in Italia riuscisse a prevalere un governo di estrema sinistra (secondo capitolo, Sette strade per uscire dalla crisi), e descrive soprattutto i modi per costruire il “blocco sociale post-liberista” – così è definito – che potrebbe sostenere quel governo (terzo capitolo, La politica che ci vorrebbe, probabilmente scritto da Giulio Marcon, il coordinatore del movimento “Sbilanciamoci”). Dopo una premessa critica su ciò che passa oggi per democrazia, questa seconda parte del libro è un lungo, dettagliato e appassionato resoconto sulla democrazia dal basso nel nostro Paese e sui movimenti riguardanti temi di politica e di economia che combattono il pensiero neoliberista prevalente, da quello per l’acqua pubblica ai no-Tav. Anche in queste pagine alcune proposte e analisi sono condivisibili da chi ha una visione diversa di quella che dovrebbe essere la politica idonea al nostro paese: lo sforzo di documentazione degli autori è notevole (anche se in prevalenza limitato a una letteratura radicale), e da parte mia confesso una spontanea simpatia per chi cerca di sfondare il muro delle opinioni dominanti alla luce dei valori di democrazia, solidarietà ed eguaglianza presi sul serio. Detto questo, purtroppo, alcune cose non tornano, e sono relative a questioni importanti. Mi limito qui a segnalare le due che si scontrano con molte delle proposte di riforma avanzate da Pianta e Marcon, e dai movimenti che loro stessi appoggiano.
La prima riguarda le possibilità di azione del governo italiano nei confronti di una crisi che è di origine internazionale ed europea. Come sappiamo, il nostro governo ha poca “capacità di movimento” in Europa, e ancor meno a livello internazionale, attraverso le armi della politica estera: strumenti, questi, che si rivelano infatti poco efficaci per un paese, come il nostro, dallo scarso peso politico e che oltretutto non hanno alcuna utilità nei confronti dei mercati. Ciò significa che dobbiamo tener conto delle ripercussioni in campo economico e, in Europa, delle nostre scelte politiche e delle policies che ne conseguono: è come se la nostra democrazia avesse due constituencies, una nazionale e una internazionale, e di ciò è inutile lamentarsi. Se domani riuscissimo a costruire un’Europa federale, crediamo forse che la situazione sarebbe più favorevole ai nostri ideali di maggior benessere e di democrazia partecipata? Che gli elettori degli altri paesi ci lascerebbero sostenere senza obiettare maggiori spese di welfare senza copertura finanziaria nazionale?
Per fortuna i nostri due autori, pur consapevoli che le regole dell’euro ci fanno vivere in una situazione di asfissia, non arrivano a sostenere la strategia catastrofica del default sul nostro debito pubblico. Catastrofe sempre possibile, anche se non siamo intenzionati a produrla. Se però è così, allora l’attenzione al rigore di bilancio è necessaria e questa è piuttosto scarsa in Sbilanciamo l’economia, come lo stesso titolo fa capire. Col senno di poi, anch’io mi sono convinto che l’adesione alla moneta unica, nella speranza che questa servisse a forzare un’unione politica, è stata una scelta sbagliata: ma quali sono, oggi, le vie d’uscita meno traumatiche per il nostro paese e per i suoi ceti più bisognosi? Dire che l’assenza di analisi su questo tema centrale mi ha sorpreso è un eufemismo che rasenta l’ipocrisia.
Ma c’è un’altra questione la cui scarsa considerazione mi ha stupito ancor di più. I movimenti sono una bella cosa, sollecitano partecipazione democratica, esprimono (quando le esprimono) esigenze di eguaglianza e solidarietà, ma sono, per definizione, single issue, anche quando non si limitano a problemi strettamente locali. Il nostro Paese deve però affrontare un gigantesco problema di efficienza, di risparmio, di produttività, di competitività, di innovazione a livello generale, per tutto il sistema che produce beni e servizi, sia pubblici sia privati. Mario Pianta ha scritto in passato cose intelligenti sulla scarsa capacità di innovazione delle nostre imprese, e ce n’è traccia anche in questo libretto. Manca, invece, un’analisi adeguata della straordinaria inefficienza del nostro sistema pubblico, cui i vari movimenti vorrebbero affidare compiti sempre maggiori. E soprattutto non c’è la consapevolezza che i guai nei quali siamo oggi derivano soprattutto dal fatto che in passato abbiamo distribuito più di quanto abbiamo prodotto, o dal fatto che non abbiamo misurato le esigenze della domanda alle capacità di un’offerta che non cresceva per assenza di riforme, così creando un enorme debito pubblico. Anche se la restituzione del debito è scaglionata nel tempo e gli interessi non sono troppo gravosi, questo comporta necessariamente un lungo periodo di vacche magre.
È un problema o no? Non c’è politica macroeconomica, di breve periodo, che possa porre rimedio al fatto elementare che sono i risultati della capacità produttiva e competitiva di un paese quelli che determinano la sua ricchezza e il benessere dei suoi cittadini, se viene escluso il ricorso al debito. Se un paese produce poco o male, allora è un paese povero. È povero anche se può svalutare, cosa che la moneta unica oggi ci preclude: a prezzi più bassi gli altri paesi comprerebbero più merci, è vero, ma le ragioni di scambio si rovescerebbero a suo sfavore lasciando i cittadini poveri come prima. E probabilmente in preda a una spirale di inflazione/svalutazione dovuta al rigetto di una povertà scoperta improvvisamente dopo anni di illusioni sostenute dal debito. Questo è il problema centrale della nostra democrazia: per carenza di riflessione la sinistra estrema, per motivi elettoralistici la destra e la sinistra di governo non vogliono o possono fare un discorso di verità ai cittadini. E soprattutto i cittadini non lo accetterebbero da parte di politici così disprezzati.
Concludo e ribadisco. Per coloro i quali vogliono sapere che cosa bolle nella pentola dell’estrema sinistra pensante questo libro è un must. Tuttavia, anche se molti suggerimenti sono utili e gran parte delle critiche all’attuale fase del capitalismo condivisibili, la mia personale conclusione è che l’estrema sinistra non “pensa” abbastanza a fondo agli effetti imprevisti, ma prevedibili e non di rado perversi, delle politiche che suggerisce.
Questo articolo è apparso il 27 maggio sul sito della rivista Il Mulino www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2200
Ringraziamo Michele Salvati per l’autorizzazione a riprodurlo qui.