Contromisure/Dalla legge di stabilità ci guadagnano solo le imprese. Ma gli investimenti latitano
La leggenda della manovra espansiva è smentita dai fatti. Nella legge di stabilità non ci sono soldi per gli investimenti pubblici e per il sostegno ad una politica della domanda. Renzi si affida agli investimenti privati, stimolati – secondo il premier – dagli sgravi fiscali sul costo del lavoro e le assunzioni. In realtà quelle misure sono solo un favore alle imprese. Questi interventi in passato non hanno creato nuovi investimenti o posti di lavoro (duraturi) in più. Nella legge di stabilità c’è tanta spesa sbagliata.
I 6 miliardi per la riduzione dell’Irap alle imprese sono soldi mal spesi. Fanno contente le imprese, ma non serviranno a rilanciare gli investimenti e l’occupazione. Se proprio si doveva fare lo sgravio dell’Irap, sarebbe stato meglio indirizzarlo solo alle imprese che non delocalizzano e non licenziano e che invece investono nella ricerca e nell’innovazione.
Anche il miliardo stanziato per la misura della decontribuzione rischia di essere buttato al vento. Le imprese lo useranno in gran parte per motivi opportunistici: utilizzeranno lo sconto contributivo per risparmiare sui vecchi rapporti di lavoro, dismessi e trasformati all’uopo per ottenere lo sgravio. Saranno posti di lavoro in gran parte sostitutivi e non aggiuntivi. In tre anni (dal 2015 al 2017) le imprese si portano a casa qualcosa come 21 miliardi. Per le politiche attive del lavoro non c’è praticamente niente e per gli ammortizzatori sociali ci sono 2 miliardi e 200 milioni di euro, mentre ne servirebbero – secondo la Cgil – 3 miliardi e 700 milioni.
Anche i 9,5 miliardi dello sconto Irpef sugli 80 euro sono spesi male. Non favoriscono i ceti medio-bassi (l’ha detto l’Istat), non includono incapienti e pensionati al minimo e potevano essere utilizzati per una complessiva riforma dell’Irpef nella direzione di una maggiore progressività del sistema fiscale. Risorse che si sarebbero potute utilizzare anche per una vera lotta alla povertà: dall’inizio della crisi i poveri sono raddoppiati, arrivando a sei milioni, di cui un milione e 400 mila bambini. E i fondi per le politiche sociali rimangono al palo. Da qui al 2020 spenderemo 3 miliardi e mezzo per il bonus bebè, mentre non ci sono soldi a favore di permanenti servizi per l’infanzia. Con gli stessi soldi si sarebbero potuti creare più di 1500 asili nido, creando migliaia di posti di lavoro.
Ci sono poi stanziamenti sbagliati: tanti soldi per le grandi opere e solo briciole per le piccole. Ancora stanziamenti per il Mose e la Tav e pure 600 milioni per gli F35. Il governo avrebbe dovuto dimezzarne la spesa – dando seguito all’impegno assunto con le mozioni votate nel mese di settembre alla Camera – ma ha confermato lo stanziamento iniziale. Alla spesa per gli F35 vanno aggiunti i soldi (all’incirca un miliardo) per le missioni militari all’estero. Poi c’è una norma – assai pericolosa e non quantificata – che impegna il governo italiano a salvaguardare le banche italiane per i contratti di derivati stipulati con gli enti locali. La spending review si abbatte sugli enti locali e sui servizi sociali, ma non sulle spese militari, sulle grandi opere e sui favori alle imprese. È anche questo il senso di una manovra sbagliata, recessiva e regressiva che, invece di rilanciare l’economia e difendere le condizioni materiali dei lavoratori, è in continuità con le finanziarie del passato.