Il governo ha stanziato 120 milioni per allargare la sperimentazione della carta acquisti. Ma una cifra così ridotta per una platea così ristretta non costituisce certo l’atteso arrivo anche in Italia di quella garanzia di reddito per i poveri che esiste in quasi tutti i paesi Ue
120 milioni in tre anni per allargare un po’ la sperimentazione della nuova carta acquisti destinata alle famiglie povere assolute (Isee non superiore a 3.000 euro) con figli minori. Una sperimentazione già avviata nei 12 capoluoghi di provincia e, utilizzando i fondi europei, negli ambiti territoriali delle tre regioni meridionali. Uno stanziamento così ridotto per una platea così territorialmente e categorialmente ristretta non può essere certo annunciato come il lungamente atteso arrivo anche in Italia di quella garanzia di reddito per i poveri che esiste in quasi tutti i paesi Ue, oltre che in diversi paesi Ocse. L’esiguità dello stanziamento appare quasi una beffa, a fronte dei miliardi (almeno 4) impegnati per compensare l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa per quest’anno, e che ancora non sembrano bastare del tutto.
Le stime più conservative, incluse quelle della commissione di esperti istituita dallo stesso ministro Giovannini, valutano che, per coprire almeno la metà del gap tra il reddito disponibile e la soglia di povertà assoluta alla totalità dei poveri, occorrerebbero tra il miliardo e il miliardo e mezzo circa all’anno. Nonostante gli sforzi del ministro Giovannini e della viceministra Guerra, il governo delle ex larghe intese onora gli impegni presi solo verso una parte del paese e della sua (ex) maggioranza.
L’introduzione di una misura di sostegno al reddito a livello nazionale per chi si trova in povertà, a prescindere da dove abita e in che famiglia vive, così come la revisione dell’Imu, faceva, infatti, parte degli impegni presi da Letta all’atto del suo insediamento. Purtroppo, il Pd sembra persino essersi dimenticato di avere depositato una proposta di legge in materia. A parte il ministro Giovannini e la viceministra Guerra, il sostegno al reddito per il poveri non ha trovato nel governo e nella sua maggioranza sostenitori altrettanto convinti, tenaci (e ricattatori) di quelli che si sono battuti per l’abolizione dell’Imu per quest’anno e la sua ristrutturazione per l’anno prossimo. Con l’ulteriore beffa che questa ristrutturazione, sotto forma di Iuc, sia più svantaggiosa dell’Imu proprio per i gruppi sociali in cui più elevata è l’incidenza della povertà.
La Iuc, infatti, graverà anche sugli affittuari. Dato che, a differenza che nell’Imu, viene lasciato ai comuni decidere se, quanto e a chi effettuare detrazioni, a seconda del comune, potrebbe inoltre essere più svantaggiosa per le famiglie numerose con figli.
La scarsità delle risorse messe a disposizione, inoltre, crea una disparità entro la stessa categoria di poveri potenziali destinatari della nuova carta acquisti. Non basterà che siano in condizione di povertà assoluta, vivano in una famiglia (deve esserci almeno un minore) e città (ammessa alla sperimentazione) “giuste” e siano disponibili a sottostare a tutte le condizioni richieste. La scarsità dei fondi obbligherà a formare graduatorie del bisogno, riducendo e frammentando ancora una volta proprio i diritti dei più vulnerabili, minori inclusi.
I poveri, in Italia, nonostante siano in aumento, continuano ad essere considerati e trattati da cittadini di seconda o terza categoria. Le “sperimentazioni”, di fatto, non servono per mettere a punto uno strumento efficace ed efficiente, da attuare poi su tutto il territorio nazionale e per tutti coloro che si trovano in condizione di bisogno. Servono solo a coprire la mancanza di universalismo e a creare “categorie di meritevoli” più o meno casuali e temporanee. È già successo con la sperimentazione del reddito minimo di inserimento di una quindicina di anni fa.
Per altro, anche questo, poco più che simbolico, allargamento della “sperimentazione” della nuova carta acquisti ha un finanziamento discutibile e perciò incerto. Non si capisce perché la solidarietà aggiuntiva debba venire solo dalle pensioni alte (per altro già colpite per il secondo anno consecutivo dalla mancata indicizzazione) e non da tutti i redditi, e patrimoni, alti. Colpire solo le pensioni alte avrebbe senso e giustificazione solo se il loro importo fosse sproporzionato rispetto ai contributi versati. Il che è vero in alcuni casi, ma non sempre (si veda il recente articolo su lavoce.info in argomento1). C’è quindi il rischio che qualcuno faccia ricorso alla Corte Costituzionale e che questa bocci, come è già successo, il prelievo. Ed allora il governo potrà scaricare sulla Corte la propria incapacità a trovare una forma equa e dignitosa di sostegno al reddito dei poveri.
(1) T. Boeri e T. Nannicini, Pensioni d’oro. Il diavolo sta nei dettagli