Dalla microfinanza per includere i poveri al business sociale. Il premio Nobel Yunus spiega come “si può fare”. Alleandosi con le multinazionali
Articolo pubblicato su “il manifesto” del 13 ottobre 2010
Da vent’anni Muhammad Yunus è noto in Occidente per il suo tentativo di sviluppare una banca per i poveri. Gli elementi erano una comunità poverissima ma affiatata e la possibilità individuale di ricevere una piccola somma di denaro, il microcredito, senza disporre di garanzie, pagando invece un buon interesse, sotto il controllo della comunità; e poi di utilizzare la somma per un acquisto (mucca da latte, macchina da cucire, sementi) o una riparazione (tetto di casa, barca da pesca) consentendo a una famiglia, molto spesso alla madre, di lavorare, di guadagnare, di sopravvivere, di entrare in un sistema di mercato. I tentativi di riproporre la banca dei poveri in altri contesti, diversi dal subcontinente indiano, per esempio nel Kosovo, non hanno avuto particolare fortuna, anche se ogni tanto corre in Italia l’informazione che è stato concluso un accordo con prestigiose università o grandissime banche. Il fatto è che Yunus, premio nobel per la pace del 2006, attira molto l’attenzione e si presenta come il portatore di un’alternativa innocente al rapace capitalismo di tutti i giorni. E così si mostra nei libri e nelle tournée di conferenze in tutto il mondo.
L’ultimo libro di Yunus, “Si può fare!” spiega come il “business sociale” possa creare un “capitalismo più umano”. Se l’obiettivo di creare un capitalismo più umano non sembra irraggiungibile, dato che è sotto gli occhi di tutti che quello abituale vada assai per le spicce, e dunque sia facilmente perfettibile, è il punto del business sociale a incuriosire di più. Anche senza prendere la posizione estremistica di un altro premio nobel, Milton Friedman, che ne negava in toto la possibilità, spiegando che l’unica responsabilità sociale di una impresa capitalistica è quella di massimizzare il profitto per gli azionisti, la possibilità che una società scelga di fare profitti fino a un certo punto e di lì in poi distribuisca in beneficenza il resto, lascia molti, molto perplessi. I motivi elencati da Yunus sono richiami morali abituali. Il solito Friedman ne capovolgeva però i termini, sostenendo che è morale dare il più possibile agli azionisti, immorale sottrargli qualcosa, a meno che non sia una forma di pubblicità e quindi ancora una – appropriata o meno, aperta o meno – strategia industriale.
Yunus nel nuovo libro affronta la questione offrendo alcuni esempi di associazione tra alcune grandi imprese multinazionali e la sua Grameen bank: Danone, Veolia, Intel, Basf, Adidas. Nomi onorati, nelle borse mondiali. Il banchiere dei poveri è talmente sicuro di quanto il suo obiettivo sia giusto e importante che non è sfiorato dal dubbio di una strumentalizzazione, o forse la considera come un inevitabile e trascurabile aspetto. A Danone e Veolia sono dedicati il secondo e il sesto capitolo del libro e si può quindi riferirne qualcosa di più. L’accordo con Danone è l’avvenimento al centro di un libro precedente (“Un mondo senza povertà”, Feltrinelli 2009) e qui si descrive il seguito, l’alternarsi di successi industriali e di crisi. “La Grameen Danone è nata da un incontro fra me e Franck Riboud, presidente e amministratore delegato del gruppo Danone. Sono stato io, nel corso di un pranzo di lavoro a Parigi, a proporre a monsieur Riboud : ‘Perché non fondiamo un’impresa con finalità sociali, una Grameen Danone in Bangladesh?’”(pag. 65-66). Il tentativo industriale mette insieme un piccolo stabilimento, una distribuzione di vasetti di yogurt per bambini malnutriti, affidata in parte a donne povere. Poi aumenta il prezzo internazionale del latte: che fare? Se il prodotto costa di più, è rifiutato; se non si aumenta il prezzo, Danone chiude la mini fabbrica. La soluzione è di ridurre da 80 a 70 cl il contenuto del vasetto e di concentrarvi ugualmente i principi salutari attivi in esso contenuti…
Nell’altro caso, a proporre l’alleanza con Grameen per la vendita di acqua potabile in Bangladesh è invece il capo di Veolia, il nuovo nome di una compagnia delle acque (Générale des Eaux, poi Vivendi) potente nel mondo e considerata anche un temibile avversario da tutti i sostenitori dell’acqua bene comune. All’inizio Yunus si tirò indietro – era contrario all’acqua in bottiglia – poi sparò una richiesta di un taka per 10 litri che ammutolì il capo di Veolia (Un taka vale un centesimo di euro). Ben presto questi rifece i conti e la joint venture ebbe inizio, al prezzo stabilito di un euro per mille litri di acqua. Il problema da risolvere era quello dell’arsenico presente nell’acqua attinta da una popolazione di 100.000 individui. Non era il caso di dare loro acqua in bottiglia, troppo costosa. Un semplice impianto di purificazione di Veolia Water per l’acqua di superficie, metteva in sicurezza un quantitativo sufficiente per bere e per cucinare, trascurando l’igiene personale e le fognature. Il quantitativo necessario era perciò di ridotta entità e a conti fatti poco costoso, con un benefico effetto d’immagine su Veolia Water, compagnia capace di risolvere i problemi, e sui suoi vantaggiosi contratti nei cinque continenti. E così fu.
Yunus ammette volentieri che accordandosi con Grameen le multinazionali ricaveranno dei vantaggi, ma ne seguirà anche un effetto benefico per i poveri. La sua morale pratica è riassunta in un passo del libro: “Quando gli uomini d’affari mi chiedono quali profitti possano ricavare offrendo servizi ai poveri di tutto il mondo, mi piace qualche volta rispondere: ‘io non voglio fare polemiche sulla ricerca del profitto, ma prima di pensare al profitto, cerchiamo di dare al povero l’aiuto che gli serve per sollevarsi dalla sua condizione. Una volta che sarà entrato nella classe media, allora potrete cercare di vendergli, con la mia benedizione, tutte le merci e i servizi di cui sarete capaci e potete lucrare un bel profitto sull’operazione! Ma aspettate che possa dire di non essere più povero prima di cominciare a sfruttarlo. Questa mi sembra l’unica regola da seguire’”.(pag 45-46)
Muhammad Yunus “Si può fare!” Serie bianca Feltrinelli, settembre 2010, pag. 253 16 euro