Costruire alleanze tra lavoro, ambiente, conoscenza, territori per una più giusta distribuzione e una buona produzione di ricchezza
La conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Parigi 2015, per scongiurare l’aumento della temperatura del pianeta oltre i 2°C (meglio 1,5°), dovrà fissare obiettivi e tappe per una forte riduzione dei gas serra e dotarsi di strumenti e governance per raggiungerli.
Questo appuntamento e tutto ciò che ne seguirà e che dovrà essere conquistato, potranno essere un catalizzatore per mettere in campo politiche innovative che rilancino il sistema industriale europeo e nazionale. Al contempo si dovrà intervenire sui modelli sociali, culturali, comportamentali. Riconsiderare, quindi, l’intero sistema produttivo e il welfare.
Quali sono i soggetti su cui fare leva, le alleanze da costruire, i vincoli e le opportunità per un’economia fossil free, più giusta e democratica? Tra le novità che si sono evidenziate con maggiore forza in questi anni di crisi ne sottolineo due. La prima è che le questioni ambientali e sociali sono facce della stessa medaglia. Vanno tenute insieme una più giusta distribuzione della ricchezza e una buona produzione di ricchezza.
La seconda novità è nel rapporto tra locale e globale. Sulla globalizzazione molto è stato detto, meno si è riflettuto su come è cambiato il ruolo dei territori. E’ nei territori che si sono riversate le maggiori contraddizioni, dove più e meglio è stato possibile cogliere i bisogni. A volte prevalgono egoismi e corporativismi, più spesso i territori esprimono una grande forza creativa, esercitano il conflitto, non più subalterni alle scelte di sviluppo cadute dall’alto. Più che a livello di paese, nei territori è possibile osservare le potenzialità delle trasformazioni in corso. Questo nuovo ruolo ci sfida a saper “pensare ed agire globalmente e localmente”.
Gli ostacoli al cambiamento sono tanti. La resistenza del vecchio rischia di farci rimanere nel guado e distoglie risorse importanti, pubbliche e private, da destinare all’innovazione.
In questi anni di crisi, la frattura tra cittadinanza e lavoro è stata forte nella contrapposizione tra diritto a un ambiente sano e difesa del posto di lavoro. Va ricomposta questa frattura, assumendo la sfida dell’innovazione produttiva e sociale come terreno di confronto e di battaglie comuni, per non lasciare la trasformazione produttiva nelle sole mani del mercato. La rivendicazione di un welfare che assuma le ragioni ambientali, e che non lasci soli i lavoratori e le lavoratrici che pagheranno con la perdita del posto di lavoro, deve essere una battaglia comune. La transizione energetica va accelerata, sono i lavoratori da difendere e non le vecchie produzioni.
La svolta potremmo averla se si costruisce un’alleanza tra società civile, mondo del lavoro e della conoscenza, avendo l’obiettivo di diventare protagonisti del cambiamento. Le condizioni ci sono, la società è diventata molto più reattiva a queste tematiche e i confini tra luoghi di lavoro, luoghi di studio, luoghi di vita sono diventati sempre più labili.
Le nuove filiere produttive rompono le “canne d’organo” dei settori tradizionali. La nuova catena del valore si crea nell’intreccio di cultura, qualità, ricerca, tecnologia, responsabilità, partecipazione, sobrietà, riducendo al minimo gli “scorie” delle attività umane. La competizione si svolga sulla diminuzione dei costi, risparmiando materia, risorse ambientali ed energia, e non sui diritti e sul costo del lavoro. La ricerca e la diffusione della conoscenza sono determinanti per innovare prodotti e cicli produttivi. E’ ovvio che la ricerca debba connettersi più e meglio con il sistema delle imprese. Meno ovvio, ma altrettanto necessario, è che si (ri)connetta il mondo della conoscenza e della ricerca con quello del lavoro, che riprenda il dialogo tra lavoro manuale e intellettuale. Deve aumentare la capacità dei lavoratori di conoscere i cicli produttivi, i fattori di produzione e le scorie che ne derivano, per partecipare da protagonisti alla loro innovazione. La contrattazione sindacale, le relazioni industriali devono assumere questa nuova sfida, mettendo in campo nuovi strumenti e stabilendo un confronto con gli altri soggetti che agiscono sul territorio. Anche la domanda, pubblica e privata, di beni e servizi deve diventare più competente, consapevole e selettiva nelle scelte di consumo, per premiare chi investe sul minore impatto ambientale e sul rispetto dei diritti e contribuire a orientare il mercato.
C’è tutto da guadagnare nel costruire alleanze sociali tra ambiente, lavoro, conoscenza, territori. C’è poco da difendere, molto da cambiare in meglio.