Per comprendere quello che succede in Grecia non si deve guardare tanto al debito e il deficit pubblico, ma piuttosto al deficit della bilancia commerciale. Mentre il primo veniva affrontato, il secondo è cresciuto tra il 2000 e il 2010 al ritmo del tre-quattro percento annuo, aprendo uno squilibrio strutturale nell’economia del paese assai difficile […]
Per comprendere quello che succede in Grecia non si deve guardare tanto al debito e il deficit pubblico, ma piuttosto al deficit della bilancia commerciale. Mentre il primo veniva affrontato, il secondo è cresciuto tra il 2000 e il 2010 al ritmo del tre-quattro percento annuo, aprendo uno squilibrio strutturale nell’economia del paese assai difficile da affrontare.
La Grecia è un paese minuscolo, con un Pil che nel 2013 era pari all’11% di quello italiano e all’1,4% del totale dell’Unione Europea. Il Pil pro capite greco è sempre stato sotto la media dell’Unione Europea, ma ha registrato un balzo e un crollo senza precedenti: tra il 1999 e il 2008 è cresciuto di oltre il 30%, ma in appena due anni la crisi ha riportato il paese al reddito per abitante del 1999. Dopo il 2009 in poco più di tre anni il reddito disponibile delle famiglie è crollato di un terzo e il risparmio è sceso di oltre il 40%.
Negli stessi anni la Grecia non registrava solo deficit pubblici ‘truccati’ per rientrare nella tolleranza delle soglie comunitarie, ma anche uno squilibrio permanente del saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Nel 1999 il saldo delle partite correnti era negativo per quasi cinque miliardi di euro, appena il tre percento del pil greco, ma poi anno dopo anno il saldo negativo è cresciuto di quasi cinque volte toccando 35 miliardi di euro, ovvero il 14% del Pil. La maggiore apertura internazionale ha favorito l’industria dell’Unione Europea – Germania in testa -che ha trovato un nuovo mercato di sbocco per oltre 30 miliardi di merci all’anno.
Senza più una valuta nazionale da deprezzare, la perdita di competitività della Grecia ha portato alla distruzione di buona parte della base industriale del paese, creando le condizioni per deficit sempre maggiori, che dovevano essere compensati da flussi di capitali dall’estero – altro debito, pubblico e privato e qualche investimento estero nelle imprese. L’economia greca è così diventata sempre più distorta; il settore finanziario produce il 25% del valore aggiunto, mentre la manifattura appena il 12%.
Una tendenza che nemmeno la durissima politica di austerità ha saputo fermare: nel 2013 la bilancia commerciale era ancora in squilibrio per circa 5 miliardi, ed è stat compensata dai trasferimenti dall’estero, fino ad arrivare a un saldo positivo di tutte le partite correnti di 1,4 miliardi di euro. I conti, insomma, migliorano solo per il crollo della domanda interna e delle importazioni e per le rimesse dei greci emigrati.
Accanto al debito pubblico, è quindi importante considerare il debito estero della Grecia – sia pubblico che privato – pari a 413 miliardi nel terzo trimestre del 2014, in cui le banche e le imprese hanno raggiunto un’esposizione con l’estero di oltre 104 miliardi. Gli afflussi di investimenti diretti esteri, attratti dalla svendita del territorio greco, nel 2013 raggiungono appena i 2,1 miliardi, di cui 790 milioni concentrati nel settore immobiliare. Solo nel 2013 la Svizzera, l’Olanda e la Francia investono nel paese oltre 1,7 miliardi e iniziano ad affacciarsi anche le multinazionali cinesi per circa 80 milioni di investimenti diretti. Le banche sono le prede tradizionali del capitale straniero e oggi su 39 istituti di credito, 19 sono controllati da gruppi stranieri e un paio hanno il nome di colossi dell’automobile tedeschi, probabilmente per garantire sul mercato locale l’acquisto di nuove vetture al costo di nuovi debiti.
Le ricette dell’austerità hanno imposto un programma di privatizzazioni che ha mostrato subito i suoi limiti, riempiendo di scandali le pagine di cronaca mentre l’agenzia per le privatizzazioni cambiava l’amministratore delegato cinque volte in tre anni. Le svendite di beni pubblici si sono concentrate nel settore del gioco d’azzardo e nell’immobiliare, portando meno risorse rispetto alle attese.
I tagli di spesa pubblica sono stati l’elemento più grave delle politiche di austerità. La spesa pubblica si è concentrata sul pagamento degli interessi sul debito; la spesa sanitaria ha registrato una caduta del 28% fra il 2009 e il 2012, la protezione sociale è scesa del 10%, ad eccezione della spesa per i sussidi di disoccupazione, date le chiusure di massa delle imprese e le espulsioni dallo stesso settore pubblico. Il crollo della spesa sociale e sanitaria è mostrato solo in parte dalle statistiche sulla spesa pubblica. Ad esempio, i mancati rimborsi alle farmacie, non registrati nelle statistiche, hanno portato all’interruzione della fornitura di medicinali gratuiti nel paese.
La scarsa qualità della spesa pubblica è stata sicuramente un limite per lo sviluppo del paese, regno di potentati e clientele capaci di resistere a qualsiasi riforma. Ma in alcuni casi proprio i creditori di oggi, Germania in testa, hanno approfittato della situazione, con probabili casi di corruzione per garantire mercati alla propria industria. Un caso clamoroso è quello della spesa militare, con l’acquisto dei sommergibili tedeschi, costati nel mezzo della crisi circa 2 miliardi, o appena qualche anno prima gli F-16 americani risultati in un ulteriore un esborso di circa 1,5 miliardi di euro. Le industrie militari straniere non hanno mai risparmiato attenzioni al governo di Atene, a partire dai timori per la minaccia turca, seppure sia proprio il governo di Ankara il mercato più importante per le esportazioni greche. La rincorsa agli armamenti ha portato a una spesa per la difesa stabilmente superiore alla media europea, oltre il tre percento del Pil, e a un sistematico aggravio della bilancia commerciale per l’importazione di armi.
Adesso il nuovo governo guidato da Alexis Tsipras ha il compito di portare il paese fuori dall’austerità, ma si trova stretto dai vincoli di liquidità del settore pubblico – appena 15 miliardi di euro a fine dicembre, oltre a 5 miliardi di riserve presso la banca centrale, appena sufficienti per due mesi di autonomia del settore pubblico. L’urgenza, per Atene, oggi riguarda i conti pubblici, ma la ricostruzione di una base produttiva capace di ridurre la dipendenza dalle importazioni dall’estero rappresenta l’ugualmente difficile sfida di domani