Al governo gli ambientalisti non piacciono. Non li convoca, perché “sovversivi”, al comitato tecnico sul nuovo codice dell’ambiente, li lascia fuori dai cancelli nelle perlustrazioni delle aree del Ponte. E ora vuole condannarli a 25 anni di carcere se protestano contro “grandi opere infrastrutturali”. Un quarto di secolo.
Marcatura ad uomo (e o donna), è questo il modo di esercitare il controllo sociale e garantire l’ordine pubblico per il governo Meloni. Questa storia dell’aggravamento delle pene, contenuta nel pacchetto giustizia, che prevede sino a 25 anni di carcere per chi protesta in modo minaccioso (cioè basta il grugno cattivo?) e violento contro le grandi opere infrastrutturali, è soltanto – e platealmente – un’iniziativa che cozza con l’art. 21 della Costituzione sulla libertà di manifestare il proprio pensiero. E allora perché ne stiamo parlando? Perché c’è un’aria brutta che tira sulle questioni ambientali, e non solo, e comunque su tutti i temi scomodi che animano la grande vitalità sociale che sta emergendo negli ultimi tempi
Dal punto di vista del diritto o, meglio dei diritti costituzionali, il governo Meloni non sembra essersi accorto della riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione che, rispettivamente ricomprendono: a) la tutela dell’ambiente e della biodiversità nell’interesse delle future generazione nella prima parte (sui diritti fondamentali) della nostra Carta (art. 9); b) l’esercizio della libertà di impresa solo quando questa non sia in contrasto, o possa recare danni, oltre che alla salute, all’ambiente.
I giochi vengono aperti, dopo mesi di battage politico, lo scorso 18 gennaio quando viene approvato definitivamente il disegno di legge sugli “eco-vandali”, voluto dal ministro della Cultura Sangiuliano. La norma, modificando l’articolo 518-duodecies del Codice penale, stabilisce che chiunque distrugga, disperda, deteriori o renda in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali, propri o altrui, sia punito con una reclusione da due a cinque anni e con una multa compresa tra 20mila e 60mila euro (la norma precedente prevedeva importi compresi tra i 2.500 e i 15mila euro).
Devo dire che, rileggendo la norma, si arriva alla vera e propria poesia, del resto cara al ministro Sangiuliano, quando si fa riferimento alla “dispersione”. Immagino subito di qualcuno/a che esca dal Louvre con La Gioconda sottobraccio con il preciso intento di farne coriandoli e disperderli al vento. Altro acme si raggiunge con “in tutto o in parte inservibili”, inservibili per chi e per che cosa? Continuando sull’esempio della Gioconda, la porto via e non la rendo più disponibile a servirla… su un piatto di lattuga? Non sarà che nello staff di Sangiuliano hanno confuso e intendevano dire “non fruibile”?
E poi, è stato già di fatto introdotto il DASPO per chi si occupa di ambiente. A Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud e a Sara Vegni, responsabile relazioni istituzionali della stessa A Sud, è stato impedito di partecipare, il 10 maggio scorso, al momento di consultazione indetto dalla Commissione interministeriale sulla riforma del Codice dell’Ambiente. Un’ora prima dell’accesso, alle esponenti di A Sud, è arrivata una comunicazione da Palazzo Chigi in cui si negava l’accesso alla riunione sulla base di “un parere sfavorevole” espresso “dal presidio di polizia di Stato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri”. A parte la barbarie di questo atto, siamo davvero conciati male a Palazzo Chigi. Doppio salto con tuffo carpiato, se non abbiamo capito male: 1) qualcuno/a vaglia preventivamente l’elenco delle associazioni invitate e non si accorge, sino all’ultimo, che sono state invitate “pericolose sovversive”; 2) l’arbitrario e imbarazzante intervento interdittivo di Palazzo Chigi è comunicato solo un’ora prima della convocazione, testimoniando una palese incompetenza; 3) ma la cosa più bella è che la Presidenza del Consiglio dei ministri interviene non perché i servizi segreti interni o lo stesso Capo della Polizia di Stato hanno segnalato un invito inopportuno, quanto sulla base di un parere sfavorevole espresso “dal presidio di polizia di Stato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri”. Hannah Arendt misurava le derive e il consolidamento dei regimi autoritari anche dal sovrapporsi/giustapporsi di uffici e funzioni impropri che sfuggono o prescindono dalla catena di comando e dal ruolo istituzionale e amministrativo ad essi imposti e che operano fuori dell’insieme di norme e regole imposte dallo Stato di Diritto.
La sto facendo troppo grossa? Non direi proprio, mi pare chiaro che esista una linea del ministro dell’Interno Piantedosi sul contenimento, anche violento di chi esprime una critica sociale e politica al Governo in carica. Le manganellate ingiustificate date dalla Polizia di Stato a studenti adolescenti, completamente inermi a Pisa, non hanno avuto una secca reprimenda da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Poi c’è il contenimento non violento, non meno inquietante, che si tramuta però in ottuso eccesso di zelo. E il caso del sopralluogo della Commissione Tecnica Valutazioni di Impatto Ambientale (CTVIA) nei luoghi dove dovrebbe sorgere il ponte sullo Stretto di Messina e una quarantina di km stradali e ferroviari. Il sopralluogo si svolge sulle sponde calabresi e siciliane lo scorso 7 maggio. A quanto risulta da testimoni diretti, i 20 membri della sottocommissione VIA sono stati accompagnati da almeno 6 uomini della DIGOS (la polizia politica) e da due gazzelle dei carabinieri. Si aggiunga che i membri della CTVIA viaggiavano su un pullman degli stessi CC e che quindi la forza complessiva era di almeno 7 uomini, una difesa 1 a 2 rispetto ai tecnici presenti.
Lasciamo poi perdere la geometrica impotenza espressa durante il sopralluogo da scout (poveri scout, ben più competenti) che non conoscevano lo stato dei luoghi. A Capo Peloro (lato Sicilia) la CTVIA si inoltra su via Scilla, strada che non porta a niente che sia utile per farsi un’idea dell’area. Il pullman targato CC si ferma su un ponticello sul Canale Margi che si affaccia sullo stesso canale senza fornire alcun punto panoramico che serva alla CTVIA per capire quali possano essere gli impatti della costruzione (siamo in un’area importantissima per la tutela dell’avifauna) del viadotto stradale Pantano. Poi la commissione viene portata in località Granatari, vicino al cimitero e vicino a dove dovrebbe essere collocato il blocco di ancoraggio dei cavi delle torri del ponte. Lì la blindatissima commissione è entrata in contatto con due pericolosi sovversivi, Daniele Ialacqua e sua moglie Mariella Valbruzzi, insegnanti messinesi, del Comitato “No Ponte Capo Peloro”. Per indulgenza della DIGOS i due hanno l’opportunità di interloquire con i membri della Commissione CTVIA, che toccano con mano l’assoluta superfluità dell’apparto di sicurezza schierato “a loro difesa”, ma creato in realtà per istituire un cordone sanitario impermeabile a qualsiasi contatto. Tanto è impermeabile e blindata, che la CTVIA non aveva previsto nemmeno l’incontro con i sindaci Falcomatà di Reggio Calabria, Basile di Messina, Caminiti di Villa San Giovanni. Incontro fatto in “zona cesarini”, solo dopo che i primi cittadini avevano mandato una lettera ufficiale sollecitando il confronto. E a proposito dei sindaci, la responsabile WWF dell’oasi Pantano di Saline Joniche, Beatrice Barillaro, sempre il 7 maggio, riceve una telefonata dalla sindaca di Montebello Jonico, Foti, che le chiede se è possibile aprire il cancello di accesso all’importante area umida, interessata dai cantieri per il ponte. Le chiavi, chieste all’ultimo momento, non ci sono e la CTVIA non riesce ad entrare nell’area.
A parte l’odissea della innocente CTVIA, il tutto è molto inquietante, anche perché in parte fuori controllo. Merito agli agenti della DIGOS se a Capo Peloro hanno fatto “filtrare” i due “sovversivi” di cui sopra. Una vagonata di improperi a chi sta invece interferendo e/o limitando in maniera così ottusa e insostenibile i nostri diritti civili. La strada verso i regimi autoritari è lastricata di episodi del genere dove c’è un continuo e progressivo spostamento delle linee che delimitano l’agibilità sociale e politica di tutti/e noi. Rivendichiamo in maniera assolutamente pacifica e lucida i nostri diritti e non ci facciamo mettere i piedi in testa da nessuno.