Una questione di qualità/In Europa aumentano i manager mentre decrescono gli operai. Ecco come la crisi ha ridisegnato il mondo del lavoro
Fra il secondo trimestre del 2011 e del 2012, oltre 600 mila lavori sono andati persi in Europa, per lo più mid-paid jobs e mid-low-paid jobs (European Jobs Monitor, 2013). Se nel 2011-2012, l’1% annuo di tali occupazioni è venuto meno, nel biennio 2008-2010 è il 3% annuo di lavori mediamente pagati a scomparire. E la struttura occupazionale cambia.
All’interno dello scenario europeo, le differenze nazionali contano. Nel 2011-2012 a fronte di un incremento dei lavori più pagati in Austria, Germania, Svezia, Danimarca, Polonia, Francia, Lituania e Malta, aumentano esclusivamente i lavori meno pagati in Ungheria, Italia, Romania, Bulgaria, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lituania ed Olanda. In altri contesti (Spagna, Irlanda, Portogallo, Grecia, Regno Unito, Belgio, Finlandia, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Cipro) è invece più evidente una tendenza verso la polarizzazione dell’occupazione, con aumento degli occupati più e meno pagati simultaneamente e riduzione delle posizioni lavorative intermedie.
Ma anche le differenze settoriali contano. Edilizia e manifatturiero perdono fra il 2008 ed il 2010 circa il 10% dell’occupazione pre-crisi. E guardando alle categorie professionali si tratta per lo più di lavoratori manuali poco pagati. I servizi che a livello europeo occupano oltre il 70% della popolazione attiva registrano un aumento degli occupati sia nelle categorie up che down.
Si può parlare dunque di polarizzazione? Tecnologia, consumi, commercio ed istituzioni sono riconosciuti come i principali motori del cambiamento occupazionale. In particolare si è parlato di rountinizzazione delle mansioni derivanti dall’introduzione di tecnologie Ict, di spillover nei consumi legati ad un incremento dell’occupazione altamente qualificata che induce le famiglie ad esternalizzare alcuni servizi, soprattutto domestici, di un incremento delle mansioni facilmente delocalizzabili all’estero e di un mercato del lavoro più flessibile, con salari minimi più bassi. Ma la polarizzazione dell’occupazione può essere anche letta come fenomeno di lungo periodo caratteristico dell’evoluzione industriale di un capitalismo maturo.
In un recente lavoro, attraverso l’analisi dei dati europei sull’occupazione suddivisi per categoria professionale emerge la coesistenza di dinamiche complesse in cui effetti di ciclo e settore si compongono.
A livello aggregato nel lungo periodo emerge un aumento dell’occupazione qualificata, concentrata nelle categorie di manager e impiegati rispetto ad una contrazione per artigiani e lavoratori manuali. Tuttavia, l’analisi disaggregata per macrosettori consente di mettere a fuoco la coesistenza di tendenze occupazionali diverse. Da un lato, il manifatturiero vittima di un secolare processo di cambiamento strutturale dell’economia perde peso a vantaggio dei servizi, e tale processo di svuotamento dell’occupazione si concentra nelle specializzazioni a minore qualificazione. Dall’altro, i servizi continuano a crescere trainando l’occupazione sia degli high skill che dei low skill. Parliamo di occupazione di bassa qualità, occupazioni elementari, nell’ambito soprattutto della ristorazione e dei servizi domestici.
Rispetto a questa tendenza decennale dell’occupazione europea, la crisi ha particolarmente colpito i lavoratori manuali del manifatturiero, ed in generale i lavoratori a bassa qualificazione accentuando la tendenza di polarizzazione degli occupati nei servizi e di un fittizio upskilling nel manifatturiero, dove coloro che sopravvivono sono i lavoratori qualificati.
Qual è dunque il ruolo della tecnologia?
I settori ad alta intensità tecnologica sono quelli che nel lungo periodo hanno contribuito maggiormente alla creazione di occupazione di qualità e che paradossalmente ne hanno sofferto le maggiori conseguenze in tempi di crisi, anche a seguito della carenza di politiche industriali ad hoc. Ma in tal senso non è la tecnologia in sé ad aver accentuato un processo di upskilling, o piuttosto di polarizzazione. Il cambiamento tecnologico non è che endogeno al sistema economico stesso. Effetti di composizione importanti devono essere considerati a partire da considerazioni di macrosettore, cambiamento strutturale dell’economia a favore dei servizi e cicli economici.