Dal marzo 2021 Enrico Letta è il nuovo segretario del PD, un partito che fatica a ritrovare un’identità. L’analisi regionale del voto dal 1994 a oggi mostra che l’elettorato del centro-sinistra si concentra dove ci sono maggiori ricchezza e disuguaglianze, e meno lavoratori precari.
Nei primi mesi del 2021 la politica italiana è stata attraversata da grandi cambiamenti. Il sofferto passaggio dal secondo governo di Giuseppe Conte al governo di Mario Draghi, avvenuto in piena emergenza pandemica, è stato accompagnato dalla crisi sempre più visibile del Partito Democratico. Nicola Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni da segretario di un partito del quale – ha detto – ‘si vergogna’. Il 14 marzo la guida del PD è passata a Enrico Letta, ex Presidente del consiglio, con origini nella Democrazia Cristiana e un’agenda liberal-democratica. Nel suo discorso d’insediamento la parola ‘sinistra’ non è stata mai pronunciata.
Che tipo di base sociale corrisponde a questo vertice? Il dibattito pubblico che ha accompagnato il ritorno di Enrico Letta ha riguardato soprattutto gli equilibri politici. Sono invece mancate analisi approfondite sulla composizione sociale dell’elettorato del PD e del centro-sinistra più in generale. In questo articolo anticipiamo alcuni risultati di uno studio condotto con Francesco Bloise e Donatella della Porta su disuguaglianze e comportamento elettorale nelle regioni italiane dall’inizio della ‘Seconda Repubblica’ a oggi.[1] L’analisi è realizzata a livello regionale integrando dati proveniente da diverse fonti: i risultati elettorali delle elezioni politiche per la Camera dei Deputati, i dati INPS sui redditi dei lavoratori dipendenti e l’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane. È possibile in questo modo documentare le relazioni tra comportamento elettorale, fattori socio-economici e le ‘subculture politiche’ regionali così rilevanti in Italia.
I risultati relativi al centro-sinistra riservano alcune sorprese, illustrate dalle due figure che seguono in cui presentiamo i valori per ciascuna regione negli anni delle elezioni politiche, distinguendo fra prima e dopo il 2008. Il secondo periodo è caratterizzato da due cambiamenti importanti: sul piano politico, a guidare la coalizione di centro-sinistra è il nuovo Partito Democratico, fondato nel 2007 con una ‘fusione a freddo’ fra i Democratici di Sinistra, eredi del PCI, e quello che resta della DC. Sul piano economico, la crisi del 2008 porta a una lunga recessione, segnata dalle politiche di austerità realizzate sia dai governi di centro-destra, sia da quelli di centro-sinistra. È opportuno ricordare che, dopo il 2008, la coalizione di centro-sinistra ha conosciuto una progressiva perdita di voti. Nel 1996, l’Ulivo di Romano Prodi otteneva alla Camera dei Deputati quasi 16 milioni di voti, pari al 42%, che passano a meno di 14 milioni, pari al 37,5%, per l’alleanza formata da PD e Italia dei Valori nel 2008, e crollano a circa 7 milioni e mezzo, il 23% per la coalizione di centro-sinistra nel 2018, quando il PD da solo ottiene poco più di 6 milioni di voti e il 19%.
Nella Figura 1 vediamo che la percentuale di voti per il centro-sinistra ha una stretta relazione positiva con la ricchezza media delle famiglie: il consenso è più alto nelle regioni più ricche – quelle del centro-nord e dove ci sono vaste aree metropolitane – nelle quali l’insediamento del centro-sinistra è maggiore. Fra il primo e il secondo periodo vi è uno spostamento verso il basso nella distribuzione, dovuto alla forte perdita di voti del centro-sinistra.
Figura 1. Voto per il centro-sinistra e ricchezza media delle famiglie
Nella seconda Figura i voti per il centro-sinistra sono messi in relazione con la quota di lavoratori part-time nel settore privato. Dal 1994 al 2008, quando la quota di lavoratori part-time era inferiore al 20% in tutte le regioni, il centro-sinistra otteneva un maggior consenso elettorale laddove il lavoro precario era più diffuso perché veniva identificato come una forza politica sensibile ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Nel secondo periodo, quando i lavoratori part-time rappresentano tra il 20 e il 40% dei dipendenti privati, la relazione fra precarietà e voto per il centro-sinistra diventa negativa. Dopo il 2008 la precarizzazione del lavoro – che è il risultato di politiche adottate anche dai governi di centro-sinistra – allontana gli elettori dalla coalizione progressista e li porta a scegliere il non-voto, il Movimento Cinque Stelle e infine persino la Lega.
Figura 2. Voto per il centro-sinistra e quota di lavoratori con un contratto part-time nelle regioni italiane (1994-2018)
I risultati dell’analisi quantitativa svolta su questi dati regionali mostrano che, nel complesso, il voto per il centro-sinistra è associato soprattutto a indicatori di privilegio economico: la ricchezza media delle famiglie, il grado di disuguaglianza nella ricchezza, la distanza fra i redditi di lavoro più elevati e i redditi mediani. Allo stesso tempo il voto per il centro-sinistra ha mantenuto una presenza rilevante nelle regioni – soprattutto in quelle del centro-nord – dove si registrano maggiori tassi di occupazione, salari medi più bassi e minori disparità nei redditi da lavoro: è questo un riflesso del suo radicamento passato nel mondo del lavoro. La perdita di consensi è invece più grave dove più forte è la presenza di lavoratori part-time, giovani e laureati. A quali di queste diverse basi sociali si rivolgerà la politica del Partito Democratico di Enrico Letta?
Note
[1] In uno studio precedente abbiamo analizzato l’evoluzione dell’insieme dei partiti di governo (centro-destra e centro-sinistra) contrapposta al non-voto, al voto per il Movimento Cinque Stelle e per la Lega: Bloise F., Chironi D., Pianta M. (2020) “Inequality and voting in Italy’s regions”, in Territory, Politics, Governance, DOI: 10.1080/21622671.2020.1837219. Una sintesi è stata pubblicata da Sbilanciamoci.info: ‘Lega e Cinque Stelle, le basi economiche del voto’, https://sbilanciamoci.info/lega-e-cinque-stelle-le-basi-economiche-del-voto.
Mario Pianta è Professore di Politica economica presso la Facoltà di Scienze politico-sociali della Scuola Normale Superiore a Firenze.
Daniela Chironi è Assegnista di ricerca presso la Facoltà di Scienze politico-sociali della Scuola Normale Superiore a Firenze.