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Più povero e precario, il lavoro dopo il Covid

Nel nuovo numero de “Il Mulino” dedicato a “l’Italia dei divari” si documentano – tra i molti contributi – le trasformazioni recenti del lavoro in Italia: il calo degli occupati stabili, la polarizzazione territoriale e di genere, l’impoverimento dei salari.

All’ “Italia dei divari” è dedicato l’ultimo numero della rivista Il Mulino a cura di Rossella Ghigi e Manuela Naldini al quale hanno contribuito diversi autori ed autrici che riflettono sulle molteplici e multi-dimensionali disuguaglianze esplose durante la pandemia in Italia. Dalle disuguaglianze di genere a quelle territoriali, scolastiche, di reddito, generazionali, di salute, abitative, energetiche e del lavoro. Tra gli autori ci sono Ugo Ascoli, Massimo Baldini, Andrea Brandolini, Giuseppe Costa, Marianna Filandri, Chiara Saraceno.

I contributi offrono un quadro organico di una società sempre più divisa e frammentata; le curatrici concludono la loro introduzione osservando che “per contrastare i problemi strutturali e di lunga durata come quelli dell’Italia dei divari, è necessario un approccio altrettanto strutturale e di lunga durata”. Anticipiamo qui alcune parti dell’articolo sul lavoro di Valeria Cirillo, Matteo Lucchese e Mario Pianta

I problemi del lavoro in Italia – specie quando messi a confronto con i maggiori paesi europei – hanno radici profonde nel declino produttivo del paese, nei forti divari di genere e territoriali, nel ritardo nei livelli di istruzione e nei ridotti ritorni occupazionali, nella crescente diffusione di forme di lavoro non standard, nei bassi livelli salariali. Si tratta di problemi strutturali dell’economia e della società italiana che non possono essere affrontati solo sul piano del mercato del lavoro e in un’ottica congiunturale. Negli ultimi quindici anni, il susseguirsi di crisi – la crisi finanziaria internazionale del 2008, la crisi del debito del 2011, la pandemia di covid-19 nel 2020, ed ora gli effetti della guerra in Ucraina – ha del resto alimentato uno scivolamento progressivo della quantità e della qualità del lavoro in Italia, da cui è stato sempre più difficile riprendersi, una volta superati i fattori specifici della crisi (…).

La pandemia ha agito dunque da amplificatore dei divari strutturali sul mercato del lavoro e ha sottolineato la necessità di agire su più fronti: estendere l’occupazione, ridurre la precarietà – limitando le forme contrattuali –, favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, sostenere l’ingresso sul mercato del lavoro dei giovani e tutelare i salari, obiettivi essenziali per un’azione incisiva di riforma del mercato del lavoro. In questa direzione, ci permettiamo di sottolineare tre linee di azione a cui sarebbe auspicabile dare avvio con urgenza per evitare un ulteriore deterioramento delle condizioni del lavoro nel nostro Paese.

La prima riguarda il cosiddetto “lavoro povero”. La Relazione del Gruppo di lavoro sugli “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa”, istituito con Decreto del Ministero del Lavoro nel 2021, ha sottolineato la necessità di intervenire non solo sul basso livello delle retribuzioni, ma anche sulla diversa intensità dell’occupazione. La quota di lavoratori con retribuzioni individuali inferiori al 60% della retribuzione mediana è infatti in espansione: dal 17% del 2006 al 22% nel 2017 (sulla base dei dati dell’Indagine su reddito e condizioni di vita dell’Istat), ma raggiunge il 53,5% se si considerano i lavoratori part-time, ed è molto più elevata per le donne (27%) rispetto agli uomini (16,5%). L’incidenza delle basse retribuzioni va di pari passo con la diffusione di forme contrattuali di tipo part-time, mentre diminuisce quando si lavora stabilmente nel corso dell’anno e il salario per ora lavorata rimane pressoché stabile nel corso degli anni. Al contempo, considerando anche la composizione dei nuclei familiari e quindi il numero dei percettori di reddito e gli eventuali trasferimenti da parte dello Stato, emerge che anche la quota di lavoratori poveri – ovvero di coloro che vivono in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana – è aumentata dal 2006 di circa tre punti percentuali raggiungendo il 13,2% nel 2017 prima della pandemia. […]

La seconda linea di azione riguarda le morti e gli infortuni sul lavoro. Come noto, questi sono scesi durante il lockdown ma, secondo gli ultimi dati della relazione annuale dell’INAIL, nel 2021 sono aumentati di circa il 20% (al netto dei casi legati al Covid-19), con un numero di denunce di infortunio mortale pari a 1.361. Emerge inoltre un incremento degli infortuni in itinere, occorsi cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il posto di lavoro, in particolare per i lavoratori extra-comunitari. Alcuni studi hanno peraltro mostrato che il rischio di malattia legato al Covid-19 è correlato alla possibilità/impossibilità di svolgere la propria attività lavorativa da casa. […]

La terza linea di azione, infine, riguarda il tema dell’impatto delle tecnologie digitali sul lavoro. Durante la pandemia è cresciuto il numero di coloro che offrono lavoro attraverso le piattaforme digitali – da 213.150 nel 2019 a 570.521 nel 2021, circa l’1,3% della popolazione attiva residente in Italia, secondo i dati PLUS dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche. Quasi uno su tre di loro non possiede alcuna forma di contratto scritto (proporzione che sale al 42% se si considerano coloro che lavorano via web). Il crescente peso occupazionale delle piattaforme fa da specchio alla destrutturazione del mercato del lavoro italiano – il 12,4% lavora tramite piattaforma come forma di integrazione del reddito, ma più della metà lo fa per mancanza di alternativa – e pone il problema di una regolamentazione che riconosca la forma di lavoro dipendente, in molti casi, e introduca correttivi e tutele in un’organizzazione del lavoro definita dagli algoritmi delle piattaforme digitali. Si tratta di linee d’azione essenziali per cominciare ad invertire tendenze di lungo periodo, affrontare le eredità della pandemia e contribuire a ridurre i tanti divari che segnano il lavoro in Italia.