La crisi riapre la questione della distribuzione. Le ragioni a favore della via più ovvia e dimenticata: ridurre i redditi di chi ha di più, per sostenere gli altri
La crisi economica attuale riapre inevitabilmente la questione della redistribuzione del reddito. Se il prodotto lordo diminuisce, qualcuno in patria deve vedere ridotti i suoi redditi. Chi? In questo articolo si farà una proposta precisa: devono essere ridotti i redditi dei ricchi, onde sostenere quelli dei poveri. Può sembrare ovvio, e infatti lo è. Se il mondo della politica fosse governato dal buon senso potrei fermarmi qui, anzi non avrei avuto alcun motivo di scrivere questo articolo. C’è la crisi, i ricchi devono aiutare i poveri. Ma a quanto pare la perdita di cultura della sinistra è tale che è purtroppo necessario dimostrare che (a) i ricchi hanno abbastanza soldi per pagare la crisi e (b) che il far pagare la crisi ai ricchi non è affatto in contrasto con la teoria economica – anzi. Il prossimo paragrafo sarà dedicato al punto (a), e quello successivo al punto (b). Un breve paragrafo ulteriore aggiungerà alcune considerazioni di carattere sociale e politico. L’ultimo contiene una proposta.
Quanti sono i ricchi, e quanto sono ricchi?
L’Istat svolge periodicamente un’indagine campionaria sulla distribuzione del reddito netto famigliare. La pubblicazione dei dati è un po’ strana; fino al 2008 (con i dati relativi al 2006) comparivano in forma tabellare, ma nel 2009 compare solo un grafico. Essi comunque consentono una stima approssimativa ma attendibile di quanti sono i ricchi, e anche di quanto sono ricchi.
E’ bene dire due parole sui calcoli effettuati per ottenerla. Ho considerato ricche, in modo inevitabilmente arbitrario, le famiglie che hanno un reddito netto di almeno 60.000 euro all’anno (circa 66.000 se si considerano gli affitti imputati). Questa soglia può sembrare bassa, ma è quella che assumo rendere assai poco dolorosa l’aliquota che verrà proposta. Le famiglie che superano i 60.000 euro di reddito annuo netto erano circa 3.100.000, con un reddito medio di circa 80.000 euro per famiglia.
Assumo come scenario che i ricchi, come sopra definiti, vengano sottoposti a un’imposta straordinaria di solidarietà del 5% del reddito netto. Si tratta palesemente di una cifra sostenibile. E’ appena il caso di sottolineare che è una riduzione molto minore di quella che subiscono le famiglie dei lavoratori in cassa integrazione o disoccupati. In effetti, non esiste nessuna ragione di equità che impedisca un’aliquota superiore, diciamo il 10; ce ne sono anzi parecchie che la favoriscono. Come che sia, un’aliquota del 5% consente già di incamerare circa 13,6 miliardi di euro. Fin qui abbiamo parlato di tassazione dei redditi, ma se guardiamo alla ricchezza otteniamo dei dati ancora più suggestivi. Secondo i dati forniti dall’Associazione Italiana Private Banking, in Italia c’erano alla fine del 2008 594.000 “super ricchi”, vale a dire soggetti con un patrimonio finanziario (quindi esclusi terreni ed edifici) superiore a 500.000 euro; 18.000 circa, i “super-super-ricchi”, superavano i 5 milioni di euro. Il valore complessivo del patrimonio finanziario dei ricchi era di circa 780 miliardi (più o meno la metà del Pil italiano di un anno), e quello del patrimonio dei superricchi di circa 195 miliardi, con una media per questi ultimi di 10.833.000 euro. Credo che ben pochi potrebbero opporsi a una tassazione dell’1% all’anno per qualche anno (cioè fin che dura l’emergenza) su questi importi. Si tratta di una manovra molto mite, certo non da “comunisti feroci nemici della proprietà privata”; eppure basterebbe a produrre quasi 8 miliardi di euro. L’aggiunta di un’aliquota poco più alta sui redditi più alti (ed eventualmente di una più bassa su redditi elevati ma inferiori a 60.000 euro) e la tassazione della ricchezza dei super-superricchi per un’aliquota aggiuntiva più alta (ed eventualmente anche di quella dei quasi-superricchi) consente agevolmente di arrivare a 25 miliardi di euro all’anno. Una valida indicazione della sua portata è questa: 25 miliardi di euro consentirebbero di assegnare circa 240 euro al mese a ciascuna di quel (lo sottolineo) venti per cento circa delle famiglie che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese (dati Istat).
A cosa servono i ricchi?
E’ possibile, tuttavia, che tassare i ricchi sia dannoso per la società nel suo complesso. E’ ovvio che non è così, ma come dicevo è bene spiegare perché non lo è. Ci sono quattro ragioni per cui tassare i ricchi potrebbe essere inutile o controproducente. Due sono ovvie, e le abbiamo già confutate. La prima è che i ricchi possono essere troppo pochi perché tassarli sia risolutivo: abbiamo visto che non è così. La seconda è che la “punizione” dei ricchi può togliere la voglia di diventare ricchi, e quindi danneggiare il sistema di incentivi su cui si basa l’economia. A parte altre considerazioni, abbiamo visto che la tassazione dei ricchi può essere molto proficua anche con aliquote non punitive.
Le altre due ragioni sono più sottili, e più legate alla teoria economica. La prima è che i ricchi consumano in proporzione meno dei poveri, e quindi investono di più. La seconda è che la retribuzione dei ricchi corrisponde a quanto essi conferiscono alla società, quindi se li si pagasse di meno la società non ci guadagnerebbe. Entrambi gli argomenti sono palesemente falsi, perlomeno nel caso specifico. E’ vero che la riduzione di reddito causata dalla tassazione qui suggerita andrebbe perlopiù a scapito del risparmio. Un po’ di calcoli consentono però di stimare che la disponibilità di capitale calerebbe del 6 per mille circa. E’ molto difficile immaginare che questa cifra possa avere effetti significativi sui tassi di interesse del debito pubblico o privato e sulla disponibilità di capitale per le imprese private. E comunque è molto probabile che l’iniezione di 25 miliardi di domanda stimolerebbe gli investimenti molto più di quanto la riduzione di risparmio corrispondente li farebbe diminuire. Il secondo argomento è ancora meno credibile. Esso implica che se il reddito di Marchionne passasse dai 4,87 milioni di euro annunciati dai giornali a (poniamo) 3 milioni di euro, la Fiat ci perderebbe 1,87 milioni di euro. Se preferite, che Marchionne non avrebbe accettato di lavorare alla Fiat per, poniamo, “solo” 3 milioni di euro. E più in generale, che se riduciamo del 5% il reddito di un ricco, il valore della sua produzione diminuirebbe del 5%. Tutto ciò è palesemente falso; e il motivo è che il ragionamento teorico che sta alla base di queste conclusioni vale solo per un’economia di concorrenza perfetta. E’ assolutamente evidente che una buona parte dei redditi dei ricchi di cui stiamo parlando dipende proprio dal fatto che non c’è concorrenza perfetta, e spesso nemmeno imperfetta. Non varrebbe la pena in effetti occuparsi di queste argomentazioni, se non per un interessante corollario: la stessa teoria che ci dice che in concorrenza perfetta un ricco guadagna ciò che egli contribuisce alla società, ci dice anche che quando ciò non avviene il suo guadagno è eccessivo rispetto alle esigenze della società. Se la società può impiegare meglio dei ricchi stessi il loro guadagno in eccesso, non esistono ragioni di efficienza (e ovviamente tanto meno di equità) che impediscono di portarglielo via.
Brevissime considerazioni sociali e politiche
Oltre a quelle economiche, ci sono alcune ovvie considerazioni sociali che suffragano la validità della manovra qui suggerita. E ci sono anche degli aspetti politici: li riassumo ricordando lo splendido studio di B. Ehrenreich sulla povertà negli Stati Uniti, che si chiude con l’osservazione che i poveri non possono essere cittadini di uno stato democratico, perché per loro la democrazia è come se non ci fosse (B. Ehrenreich, Una paga da fame, Feltrinelli, 2001). Quindi, oggi come ieri, redistribuire dai ricchi ai poveri è necessario anche per difendere, e possibilmente sviluppare, la democrazia. Ma c’è anche un altro aspetto, altrettanto importante e meno ovvio. La manovra qui proposta implica che si metta l’accento sulla solidarietà: c’è la crisi, chi può aiuti chi non può. Purtroppo, affermare oggi questo principio, sopratutto in Italia, non è affatto scontato. E potrebbe essere un momento importante di una rivoluzione culturale assolutamente necessaria, che porti appunto ad instaurare un’etica della solidarietà al posto di quella della furberia.
Una proposta
Nel paragrafo due abbiamo visto che i ricchi hanno abbastanza soldi, e nel paragrafo tre che non esistano requisiti di efficienza che impediscano di portargliene via un po’. Giungiamo allora alla conclusione inevitabile che la sinistra può e deve mettere al centro della sua politica la proposta “togliamo ai ricchi per dare ai poveri” (a scanso di equivoci, questa proposta non è alternativa a quella che deve essere la principale battaglia per la redistribuzione, e cioè la lotta all’evasione fiscale. Dal momento che la maggior parte degli evasori significativi sono anche ricchi, questo articolo vale anzi come smentita dell’ipotesi, piuttosto diffusa, che la lotta all’evasione “distrugga” l’economia).
Bisogna avere chiaro che questa proposta è conflittuale. Ma da che mondo è mondo la questione della redistribuzione del reddito è sempre stata conflittuale, tranne che in quei non auspicabili casi in cui il saccheggio di qualcun altro offriva risorse per tutti. Questo conflitto va quindi organizzato e gestito. In particolare, occorre definire anche tecnicamente le forme in cui la tassazione va implementata. E’ evidente per esempio che le dichiarazioni Irpef non sono sufficienti. Tassare i ricchi è complicato, anche se sicuramente non impossibile; non basta volerlo fare. Però volerlo fare è sicuramente il primo e imprescindibile passo. Il lavoro di studio ed elaborazione, assolutamente necessario, non può nemmeno essere iniziato se non è inserito in una proposta politica chiara e, appunto, chiaramente conflittuale.
Mi permetto di fare una proposta di questo tipo. La lotta che sta nascendo intorno al referendum sulla privatizzazione dell’acqua sta insegnando due cose: che esiste una enorme massa di gruppi locali, radicati sul territorio sui più disparati argomenti, disposti a impegnarsi in una lotta su temi generali; e che questa lotta può essere condotta senza che i gruppi abbandonino la loro specificità di collocazione territoriale e di settore di impegno. Il modello di questa lotta potrebbe essere utilizzato anche sul tema della redistribuzione. Per esempio, in vista delle elezioni del 2013 si potrebbe organizzare una raccolta nazionale di firme di elettori che si impegnano a votare solo per quei candidati che abbiano pubblicamente sottoscritto un documento non equivoco che impegna il Parlamento ad elaborare una legge per togliere ai ricchi e dare ai poveri