Grandi opere, contro la recessione si torna a credere al vecchio ciclo del cemento. Sale la soglia per la trattativa privata, parte l’autostrada della Maremma
Il governo Berlusconi annuncia le grandi opere per contrastare la recessione ma intanto aumenta la soglia per la trattativa privata. Proprio mentre infuriano le inchieste della magistratura sulla politica e le istituzioni, accusate di intrecciare rapporti perversi con imprese private su appalti e lavori, governo e maggioranza abbassano la guardia ed il controllo sui piccoli lavori.
Con un emendamento al decreto legge 162/2008 approvato alla Camera è stata innalzata la possibilità di utilizzare la trattativa privata da 100.000 a 500.000 euro di importo dei lavori. Una norma che riguarda circa 9.000 appalti per un valore complessivo di 2,6 miliardi, che verranno sottratti al mercato, alla concorrenza ed alla trasparenza senza più pubblicazione del bando, ma solo con inviti diretti alle imprese da parte delle stazioni appaltanti. Una norma invocata per accorciare i tempi e snellire i piccoli lavori, ma che aiuterà solo la discrezionalità, un rapporto ancora più perverso tra politica, affari ed imprese, ed alimenterà ricorsi ed incremento dei costi. Da diverse parti si sono levati gridi d’allarme contro questa norma, come dal sostituto procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, ma al momento non vi sono ripensamenti. Prosegue intanto il rilancio e gli annunci del governo Berlusconi sulle grandi opere: ogni giorno cambiano i numeri in tavola delle risorse davvero disponibili. Si era partiti da grandi cifre che venivano da in realtà da un robusto taglio ai Fondi Fas per le aree sottoutilizzate, ma poi la protesta delle Regioni ha fermato di fatto questa strada.
Al di là dei grandi annunci, vediamo dunque cosa realmente è stato approvato. Partiamo dal decreto legge 185/2008 anticrisi. Qui vengono previsti 2,3 miliardi di nuove risorse per la Legge obiettivo e si restituiscono 960 milioni agli investimenti ferroviari. Di positivo c’è il ripristino di 480 milioni per il contratto di servizio per il trasporto ferroviario regionale per gli anni 2010/11/12, che erano stati tagliati con la legge Finanziaria: senza queste somme si sarebbero tagliati numerosi treni per il trasporto locale e pendolare. In questo modo sarà possibile mantenere il servizio ma non ci sono però risorse per potenziare il servizio o per acquistare nuovi treni per i pendolari.
Poi il 18 dicembre c’è la stata la seduta del Cipe dedicata alle infrastrutture, che ha deciso di sbloccare dai fondi Fas nazionali 7,3 miliardi di euro. Ma di queste risorse circa la metà sono già vincolate dalla spesa per Fs, Tirrenia ed adeguamento prezzi delle opere in corso e quindi effettivamente da assegnare con un prossimo decreto da emanare entro 60 giorni ci sono 3,6 miliardi di euro. Il Cipe ha poi deciso di assegnare altri 800 milioni al Mose ma le ha sottratte dalle risorse per la legge obiettivo del decreto 185, che quindi resta da assegnare nei prossimi mesi 1,5 miliardi di euro per le grandi opere. In sintesi tra i vari fondi sono da assegnare in totale 6,126 miliardi di euro nei prossimi sessanta giorni, di cui circa la metà sono vincolati al sud. Ed è già partita la lista delle grandi opere da finanziare, il Ponte sullo Stretto, la Salerno-ReggioCalabria, l’AV Milano-Genova e Milano-Brescia, le opere dell’Expo di Milano, il raddoppio della Pontremolese. Per migliorare il trasporto urbano solo una piccola quota alla metropolitana di Napoli.
Ma staremo a vedere che cosa verrà effettivamente finanziato ed in quale misura, perché è bene ricordare che le opere di cui si parla costerebbero da sole 35 miliardi di euro e quindi rischiano ciascuna di avere “briciole” di finanziamento.
A queste opere va poi aggiunta l’Autostrada della Maremma che proprio nella seduta del Cipe del 18 dicembre ha fatto un bel passo in avanti nella direzione sbagliata con l’approvazione del progetto preliminare. Invano Associazioni ambientaliste, Comitati, Verdi, si sono opposti da oltre vent’anni a questa nuova autostrada dimostrando che la soluzione appropriata è il completamento dell’Aurelia, il sostegno alle Autostrade del Mare ed gli investimenti sulla rete ferroviaria. Niente da fare, l’opera è stata approvata dal Governo Berlusconi con l’intesa (essenziale) di due regioni di centrosinistra come Toscana e Lazio (tranne il voto contrario in Giunta di Verdi e Riforndazione) Il progetto per 120 km di nuova autostrada costerà 3,7 miliardi di euro, che non potranno certo derivare dai pedaggi, come sostiene il ministro Matteoli e già viene ventilata una proroga ventennale della concessione alla società Sat: proroga su cui sicuramente la Commissione Europea avrà qualcosa da ridire.
Ed oltre all’incognita finanziaria vi è quella procedurale perché essendo stato modificato il tracciato (soprattutto nel tratto laziale) dovrà essere sottoposto a nuova procedura di Valutazione di Impatto Ambientale sul progetto definitivo. Per questo gli ambientalisti promettono battaglie future e ricorsi contro un progetto sbagliato, che devasterebbe la Maremma, un patrimonio naturale e paesaggistico che tutto il mondo ci invidia.
Anche l’Ance ha duramene contestato questa impostazione di concentrare tutte le risorse su grandi opere ed ha proposto in alternativa un piano di interventi medio piccoli “che consentano di connettere gli assi infrastrutturali alle città”. Il presidente Buzzetti dell’Ance ha dichiarato che una “crescita consistente dei livelli occupazionali, può essere data solo dal tessuto delle piccole e medie imprese e dai lavori nelle città…. Solo da questo intervento capillare può arrivare una forte politica anticiclica – ha concluso. Ma tranne alcune vaghe indicazioni programmatiche non ha avuto risposta.
Certo, l’idea che le grandi opere possano aiutare l’economia a ripartire non è solo un’idea italiana: Francia, Germania, Spagna e la stessa commissione Europea puntano a piani finanziati da risorse pubbliche. Anche negli Stati Uniti il presidente eletto Obama ha annunciato un piano di rilancio, di cui per metà con investimenti in opere pubbliche. Ma in genere tutti questi piani sono accompagnati da piani di manutenzione delle reti esistenti, dallo sviluppo delle tecnologie innovative, della banda larga e di internet, della ricerca e sviluppo delle energie rinnovabili, che in Italia invece non vengono sostenute, anzi ne vengono tagliati gli incentivi.
Spendere le scarse risorse pubbliche per grandi opere non è un modo per ridistribuire reddito e risorse alle famiglie in difficoltà, produce lavoro temporaneo e non risolve i problemi di occupazione legata a progetti duraturi e rinnovabili.
Se poi le grandi opere da rilanciare sono il Mose, il Ponte sullo Stretto, le grandi Autostrade, pezzi di Alta Velocità mentre niente risorse sono destinate per le metropolitane, le reti tranviarie, l’acquisto di treni e bus per i pendolari, si comprende che l’obiettivo non è migliorare i servizi di trasporto ai cittadini ed ai pendolari ma investire su opere ad alta intensità di cemento ed asfalto. Ancora una volta si privilegiano gli interessi privati rispetto a quelli collettivi.