L’aumento esponenziale delle diseguaglianze e dell’ingiustizia sociale si possono combattere anche con una riforma complessiva del sistema fiscale. Restituire una funzione sociale alle grandi ricchezze che si stanno accumulando. Intervista a Giovanni Paglia.
Giovanni Paglia, politico, impegnato dal 1997 nelle fila della sinistra italiana, è stato segretario provinciale di Ravenna per Rifondazione Comunista dal 2006 al 2009, e anche attivista del locale centro sociale autogestito “Spartaco”. Nel 2009 ha aderito a Sinistra Ecologia Libertà di Nichi Vendola, partito di cui ha ricoperto il ruolo di Segretario regionale in Emilia-Romagna dal 2010 al 2013. Dal 2021 è vicesegretario nazionale di Sinistra Italiana. Gli abbiamo chiesto che ruolo potrebbero avere nuove politiche fiscali per contrastare le diseguaglianze.
Il fenomeno della diseguaglianza è in aumento. Fonti istituzionali, come Banca d’Italia o Istat, confermano la crescita dei divari mentre a livello internazionale la globalizzazione pare aver favorito lo sviluppo di alcuni paesi riducendo le distanze tradizionali (Usa-Cina per esempio). Quali sono le cause principali della diseguaglianza? Ci sono tratti comuni tra i paesi od ogni realtà fa caso a sé?
La causa principale dell’esplosione della disuguaglianza è il passaggio di fase del capitalismo, nel doppio segno della globalizzazione e della finanziarizzazione. Questo ha significato da un lato la messa in concorrenza su una scala molto vasta di tutti i fattori di produzione del valore, dall’altro la possibilità per il capitale finanziario di alimentarsi attraverso il movimento costante. Le Borse valori hanno sostituito le fabbriche come matrice della riproduzione di ricchezza.
In questo sistema diventa molto difficile per il lavoro contrattare la propria parte di reddito, perché soggetto ad una forte pressione concorrenziale, e allo stesso tempo relativamente semplice per chi disponga di capitali moltiplicarli sui mercati finanziari. Lo stesso ciclo di crescita ed esplosione delle bolle finanziarie, vero e proprio motore di accumulazione, determina grande arricchimento per pochissimi e uno tsunami sociale di massa. Ecco quindi che le disuguaglianze possono assumere forme e livelli diversi di paese in paese, ma derivano tutte da un sistema che le genera e le accresce strutturalmente, come elemento integrante del proprio funzionamento.
Quali sono le conseguenze sociali e politiche della diseguaglianza?
La conseguenza è quello che definirei un’apartheid sociale, la sottrazione progressiva a fasce crescenti di popolazione della possibilità di godimento reale dei diritti fondamentali. Una delle caratteristiche fondamentali del capitalismo contemporaneo è la necessità di mettere a valore spazi della vita individuale e collettiva che erano stati sottratti in tutto o in parte al mercato nella fase precedente.
Sanità, istruzione, assistenza ai non autosufficienti, acqua e cibo di qualità, sicurezza: tutti questi ambiti cessano di essere connessi alla cittadinanza e diventano accessibili a pagamento, determinando così una gerarchia dell’appartenenza alla comunità, che si spinge fino alla marginalizzazione e all’esclusione di larghe fasce di popolazione. Queste finiscono peraltro per autoescludersi da un sistema di rappresentanza politica che non le considera, come dimostra il tasso crescente di astensione dal voto dei ceti popolari in tutto l’Occidente.
Il sistema politico, dipendente dall’accesso ai media e ai finanziamenti appannaggio dei ceti abbienti, esclude dall’agenda i bisogni dei più deboli, che reagiscono con il distacco dalla democrazia. Si torna così a a un regime di voto censitario nei fatti, rimettendo in discussione la sostanza del suffragio universale.
Le politiche fiscali possono essere inserite tra le cause della diseguaglianza? Politiche fiscali diverse da quelle finora praticate in Italia possono aiutare, al contrario, a colmare i divari? Una tassazione delle grandi ricchezze e dei grandi patrimoni può favorire la giustizia sociale?
Le politiche fiscali non sono la causa della disuguaglianza, ma possono rappresentarne un fattore decisivo di contrasto. Se è vero infatti che la ricchezza tende a riprodursi a mezzo di se stessa, scavalcando la mediazione del lavoro come vettore di redistribuzione, ne deriva che la via politica e quindi la tassazione debba assumere molto più che in passato questa funzione.
La patrimoniale è simbolo e sostanza della possibilità di restituire a una funzione sociale le enormi ricchezze che si accumulano a velocità e intensità crescente per forza di inerzia nelle mani di una ristretta minoranza di persone, mentre decine di milioni soffrono per i bassi salari dovuti alla loro posizione di costante ricattabilità.
Sottrarre risorse alla rendita per alimentare il welfare significa combattere il regime di apartheid a cui accennavo in precedenza e quindi, di fatto, costruire un passo decisivo verso un’alternativa di società nel segno della giustizia sociale e ambientale.
L’Italia ha poi una propria, specifica necessità di riformare l’imposizione sui redditi, per combattere l’evasione fiscale e ricondurre ad unità e progressività un sistema ormai caratterizzato da un’eccessiva erosione fiscale a vantaggio dei redditi più elevati e delle rendite
Che cosa pensa delle obiezioni su una applicazione concreta di una tassa sulle grandi ricchezze? Quali sono le possibili scappatoie e le “fughe” dei ricchi, pensando anche all’esperienza statunitense con il presidente Biden?
Qualsiasi imposizione sulle grandi ricchezze non può che riguardare i patrimoni di qualsiasi natura e ovunque detenuti, e deve prevedere sanzioni molto rilevanti per chi li occulti, di natura monetaria e non solo, come ad esempio la sospensione del passaporto nei casi più gravi.
L’idea che i capitali siano facilmente schermabili e occultabili all’estero è stata peraltro clamorosamente smentita nei primi giorni della guerra in Ucraina, quando l’Occidente ha reagito con l’individuazione e il blocco dei patrimoni degli oligarchi russi.
È chiaro che serve la massima collaborazione internazionale e la disponibilità ad aprire un conflitto importante con i paesi che rifiutino di prendere impegni precisi nel segno della trasparenza. Esisterà sempre una tendenza all’evasione fiscale, ma questa va semplicemente combattuta, con tutti gli strumenti di tracciabilità oggi disponibili.
Chi parla di fuga dei capitali senza possibilità di reazione lo fa solo per scoraggiare la patrimoniale con un argomento privo di qualsiasi forza, se non la costante ripetizione.
Ci sono studiosi ed esperti del settore che criticano la proposta di introdurre tasse per i super ricchi perché pensano sia necessario intervenire “a monte”, laddove le diseguaglianze e le sperequazioni si generano. Ha un senso questa obiezione?
Questa obiezione non ha senso perché la capacità di auto riproduzione della ricchezza in un sistema economico dominato dalla finanza è esattamente la ragione per cui le sperequazioni si determinano. Un welfare forte, universale ed efficiente, unito ad una garanzia di reddito minimo connesso alla cittadinanza, è l’unico vero strumento di lotta alle disuguaglianze. Come dovremmo finanziarlo, se non tassando i grandi patrimoni e le rendite, in un mondo in cui il lavoro è sempre più incapace di conquistare per sé quote rilevanti di reddito?
Quanto pesa sulle entrate fiscali nazionali il fenomeno dell’evasione e dell’elusione fiscale? Se lei dovessi impostare tu una campagna di sensibilizzazione su quali valori si dovrebbe puntare? Ci vorrebbe anche una rivoluzione culturale per costruire un sistema fiscale più equo?
Pesa moltissimo: almeno 100 miliardi all’anno, secondo le stime ufficiali. Significa sottrarre risorse fondamentali per la tenuta del welfare e scaricare sui lavoratori dipendenti l’intero onere di mantenimento della macchina pubblica. Io non credo nelle rivoluzioni culturali quando si parla di evasione fiscale, ma di controlli serrati e sanzioni realmente esigibili.
Aggiungo che si deve ridurre il perimetro del lavoro autonomo, riconducendo tutte le false partite IVA sotto l’egida del lavoro dipendente. Significherebbe migliorare le loro condizioni di vita e aumentare il gettito. L’ideologia dell’auto impiego ha fatto molti danni a questo paese.
Le tecnologie di cui disponiamo ci permetterebbero di tracciare le vie dell’evasione fiscale e disegnare le mappe precise dei paradisi fiscali. Perché questo non succede?
Perché le maggiori forze politiche italiane ed europee sono condizionate dalla volontà dei loro finanziatori e dalla pressione dei grandi gruppi economici, naturalmente ostili a provvedimenti che finirebbero di fatto per danneggiare i loro interessi.
Meno entrate fiscali significano infatti meno servizi pubblici e più ricattabilità dei lavoratori, oltre che più capitali in circolazione per alimentare il casinò dei mercati finanziari ufficiali e paralleli. Alle forze politiche e sociali che si battono per un’alternativa a questo sistema il compito di mettere il tema dei paradisi fiscali al centro dell’agenda, come complemento necessario di una riforma fiscale redistributiva.
Negli Stati Uniti il dibattito sulla tassazione delle grandi ricchezze e delle big companies è carsico. Ora pare sia tornato di attualità dopo il discorso sullo stato dell’Unione del presidente Biden. Che ne pensa? Ci sono le condizioni per tradurre in leggi la proposta politica?
Le condizioni ci sono e ci sono sempre state. C’è da augurarsi che finalmente arrivi la volontà. Sotto questo aspetto il dibattito negli USA sembra aver raggiunto un maggiore livello di consapevolezza circa il nesso ormai inscindibile fra tassazione delle grandi ricchezze e tenuta del sistema democratico. D’altra parte mentre la sinistra, anche nei suoi esponenti moderati come il Presidente Biden, sembra aver riscoperto la centralità della redistribuzione fiscale, la destra accentua sempre di più il proprio messaggio no-tax e ultra individualista.
Questo aiuta anche a rendere comprensibile la discussione politica, che in Italia è purtroppo ancora fermo alla retorica anni ‘90 della riduzione generalizzata del peso fiscale.
Per quanto riguarda l’Italia e l’Europa – se lei dovesse suggerire un programma di governo – quali sono le politiche fiscali più adatte a ridurre le diseguaglianze e come potrebbe essere qui da noi una tassazione che incida in senso progressivo sulle grandi ricchezze e i grandi patrimoni?
In Italia andrebbe introdotta un’imposta patrimoniale unica, personale e progressiva, che superi l’attuale regime dell’IMU e delle imposte di bollo. Tutti i cespiti mobiliari e immobiliari andrebbero assoggettati ad un’imposta progressiva che non tocchi i primi 500.000 euro di patrimonio e poi applichi un’aliquota per scaglioni che arrivi fino al 2% oltre i 50 milioni.
In questo modo si ridurrebbe il peso fiscale sui lavoratori e il ceto medio, per concentrarlo su chi possegga oltre 5 milioni di euro, ottenendo almeno 10 miliardi annui aggiuntivi da destinare al welfare. Sarebbe poi necessario rivedere l’Irpef, per ricomprendervi tutte le forme di reddito, comprese quelle da capitale, alleggerendo il carico sui redditi bassi e rendendo più progressiva la curva.
Infine si dovrebbe praticare la lotta all’evasione fiscale, che é un vero motore di ingiustizia diffusa, oltre che un ostacolo straordinario alla sostenibilità e all’espansione del welfare. In Europa è invece necessario battersi per tre obiettivi: la trasparenza dei bilanci delle multinazionali, con particolare riferimento all’indicazione dei paesi di origine del reddito prodotto; la lotta ai paradisi fiscali, compresi quelli interni; l’armonizzazione dei livelli di tassazione, con l’obiettivo dichiarato di combattere il dumping fiscale.
Febbraio 2023