Il voto consegna una governabilità difficile. Eppure una svolta è necessaria, in uno scenario profondamente mutato. Ma che ancor più di prima chiede all’Italia terapie d’urgenza per cambiare rotta, e all’Europa di creare spazio per un intervento anticongiunturale non effimero. Solo allentando i vincoli dell’austerità l’Ue può aiutare l’Italia e se stessa
Lo scenario post elettorale è profondamente diverso da quello immaginato solo qualche giorno fa. Nella proposta su “La rotta d’Italia” e nei tanti interventi che ne sono seguiti, l’ipotesi delineata era quella di una politica economica e sociale di medio periodo, in grado di dare una prospettiva socialmente sostenibile al nostro apparato produttivo attraverso interventi a difesa dei livelli occupazionali, a sostegno di un new deal verde, per affrontare le necessarie trasformazioni infrastrutturali (burocrazia, corruzione, criminalità, ricerca e istruzione). In un contesto economico rimasto immutato nei suoi dati strutturali – grave recessione, appesantita dalle condizioni europee di austerità -, semmai aggravato dalle tensioni sui mercati finanziari di cui tra breve diremo, lo scenario si è modificato a livello politico: in un quadro di maggiore incertezza programmatica, si allungano inevitabilmente i tempi per l’avvio di una politica alternativa, ritenuta possibile fino a qualche giorno fa.
Nello scenario precedente, risultava evidente che per superare i vincoli a una politica alternativa era richiesta una forte presenza a livello europeo su almeno due ambiti: 1) arginare e contrastare le pressioni destabilizzanti della finanza, con la costruzione di nuovi strumenti istituzionali e il rafforzamento delle istituzioni e delle politiche introdotte faticosamente nell’ultimo anno per mettere le finanze pubbliche e le banche al riparo da possibili futuri shock esterni; 2) lavorare a una svolta consensuale nelle politiche europee, con l’obiettivo di allentare la stretta recessiva che le politiche di austerità stanno esercitando sull’intera economia europea. Dopo quel che è successo in Italia col voto del 24 e 25 febbraio, questo rapporto con l’Europa risulta ancor più determinante; nel nuovo scenario, infatti, l’incertezza politica facilmente e rapidamente si può tradurre in ancor maggiore incertezza di una prospettiva economica stabile con un aggravio delle condizioni finanziarie pubbliche e private che, se non contenute, possono rendere ancor più onerose le future politiche di risanamento economico e di sostenibilità sociale. E’ più urgente ed essenziale che prima, dunque, riproporre ai partner europei interventi in grado di stabilizzare le condizioni finanziarie e di creare spazio per un intervento anticongiunturale non effimero.
Un confronto tutt’altro che facile, se si tiene conto che si tratta di una richiesta che va finalizzata a una politica economica interna su linee profondamente diverse da quella di una cieca austerità che ha caratterizzato la politica economica di quest’ultimo anno e sponsorizzata dalla dirigenza europea. Austerità che però, come hanno riconosciuto diversi osservatori internazionali (si veda l’analisi di Krugman, Austerity, italian style, in realtà antecedente al voto; l’editoriale di The Guardian, Italian election: austerity challenged, e I’analisi dell’Independent, Italy shows how the tide has turned against elites), è stata severamente bocciata dalle urne italiane. E’ chiaro che un’inversione completa di rotta, con una politica che ponga obiettivi di rilancio produttivo, e quindi occupazionale, che sia compatibile con l’equilibrio sociale, richiede tempi lunghi, di un’intera legislatura – ottica poco proponibile in un quadro come quello attuale. Così, non è in un momento di grande incertezza sulla durata di questa legislatura che appaia plausibile formulare un credibile programma dei necessari interventi sull’offerta, sulle condizioni infrastrutturali, e su quelle di contorno di formazione delle capacità tecniche e professionali che permettano un consolidamento e rilancio dell’attività produttiva necessari a migliorare la competitività in un contesto compatibile con la sostenibilità ambientale (green economy, risparmio energetico ecc). Tuttavia, una tale prospettiva va testardamente prospettata e comunque avviata con segnali significativi di un’attenzione concreta per il miglioramento del lavoro precario e per un più adeguato sostegno di coloro che hanno perso la propria fonte di reddito. Un segnale che testimoni che sia possibile un rovesciamento degli obiettivi di politica economica che evidenzi come, in antitesi con l’accento centrato, anche in campagna elettorale, sulla questione delle tasse, sia possibile perseguire un obiettivo centrato sul lavoro e sul sostegno dei redditi minori. E la questione del fisco va subordinata a questi obiettivi.
Un segnale di cesura rispetto alle politiche passate è urgente e ineludibile. Occorre un programma dei primi cento giorni del tipo di quello prospettato su queste pagine all’inizio della campagna elettorale, che individui alcuni punti di forte immagine della volontà di cambiare rotta e che nella nostra proposta erano indicati nelle meno armi e più scuole; dai soldi sporchi, lavori verdi; un fisco contro le disuguaglianze; il lavoro da tutelare; cittadinanza per chi nasce da noi. Da non trascurare anche la necessità di un segnale della discontinuità con il passato a livello di gestione politica; anche su questo sono state avanzate proposte su questo sito: regole sicure, parole chiare, azioni trasparenti e un rapporto stretto con la società.
Nelle attuali condizioni di incertezza politica non si può certamente pensare a un programma di legislatura, ma si deve certamente segnalare che esiste un governo con un’idea di politica economica alternativa; non fumosamente elettoralistica, ma che si traduce concretamente in atti di governo e legislativi da sottoporre a un parlamento che deve fare i conti con l’opinione pubblica.
L’interlocutore deve tornare a essere il paese, le cui attese e bisogni sono state ampiamente – anche se confusamente – espresse dal voto e che, nella loro densa complessità, sono tutt’altro che semplici da conciliare con le condizioni economiche strutturali e con gli atteggiamenti prevalenti a livello europeo.
Non si può infine non tornare al nodo dell’Europa. La necessità che la politica economica e sociale europea garantisca condizioni più espansive si scontra con una visione imperante in Europa che, da tempo, ha trovato il suo punto di aggregazione nella definizione degli obiettivi e nella gestione delle istituzione in senso neoconservatore. Il superamento di questo orientamento consolidato è oggi all’ordine del giorno; non solo per rimediare al fallimento economico della ricetta dell’austerità, ma per la sopravvivenza stessa di un quadro democratico. Come il voto recente ha mostrato per il nostro paese, ma come si è già visto e rischia di vedersi ancora in altri contesti europei, il protrarsi di un vincolo finanziario troppo stringente, aggravando le condizioni sociali e la sfiducia verso qualsiasi capacità di intervento della politica, può decretare il fallimento di un’intera classe politica, non solo a livello nazionale, e dell’idea stessa di Europa unita.