Ecco come, attraverso modifiche tecniche alle “finestre” di pensionamento, nella manovra si consuma il furto ai danni dei futuri pensionati
Per un governo che per bocca del suo ministro del Tesoro aveva affermato solo qualche mese fa che mai avrebbe messo mano alle pensioni il decreto legge 78 in corso di approvazione rappresenta una solenne smentita. Gli interventi sul sistema pensionistico sono pesanti e alcuni hanno il carattere di un vero e proprio furto a danno dei lavoratori.
L’intervento iniziale del governo si limitava ad una modifica delle cosiddette finestre di uscita, ossia del periodo intercorrente tra la maturazione del diritto a pensione e la decorrenza (il pagamento) della pensione stessa.
Le finestre sono state introdotte con la legge 335/95 e hanno rappresentato un espediente per risparmiare sulla spesa pensionistica, Il diritto si matura ad una certa età, ma la pensione si percepisce alcuni mesi dopo con un risparmio per lo stato. Inizialmente erano previste solo per le pensioni di anzianità ed erano 4 all’anno con un intervallo massimo, quindi, di 3 mesi tra acquisizione del diritto e decorrenza della pensione. Le finestre sono state poi ridotte a 2 ed estese alla vecchiaia e alla pensione con 40 anni di contribuzione (legge 247/2007). Si è esteso quindi l’intervallo tra diritto e decorrenza a 3/6 mesi per la vecchiaia e i 40 anni e a 6/9 mesi per l’anzianità. Nel caso dei 40 anni questo produceva un evidente danno ai lavoratori che avendo raggiunto il massimo per il calcolo della pensione non potevano avere in contropartita della ulteriore permanenza al lavoro un miglioramento della pensione stessa.
Con il decreto il governo porta tutte le finestre ad una misura unica di 12 mesi. Dopo il raggiungimento dei requisiti pensionistici di vecchiaia, di anzianità o dei 40 anni la decorrenza della pensione avverrà dopo 12 mesi.
In pratica la pensione di vecchiaia non sarà più a 65/60 anni, ma a 66/61, i 40 anni di contribuzione diventano 41 e i requisiti di età/contribuzione e le quote per le pensioni di anzianità si innalzano di 12 mesi. Certo l’aumento rispetto ad oggi non è di 12 mesi, dato che le finestre erano già presenti, ma l’innalzamento dell’età effettiva di pensionamento è di circa 6 mesi e produce un sensibile risparmio che la Relazione Tecnica quantifica in 0, 36 miliardi di euro nel 2011, 2,6 miliardi nel 2012 e 3,5 miliardi nel 2013.
Per l’ennesima volte l’intervento sulle pensioni serve a fare cassa con buona pace di tutti coloro che hanno sempre giustificato o richiesto un intervento sulle pensioni al fine di riequilibrare la spesa sociale.
L’estensione della finestra per i 40 anni aggrava il problema prima indicato. I lavoratori che al momento della maturazione del diritto hanno raggiunto nel sistema retributivo il massimo della contribuzione lavoreranno senza che i mesi aggiuntivi servano a migliorare la pensione.
Il problema si pone anche nel sistema contributivo e nel misto. Chi va in pensione con questi sistemi a 65 anni si vede applicato un coefficiente di trasformazione calcolato in base alla speranza di vita a 65 anni. La sua pensione però inizierà a decorrere 12 mesi dopo a 66 anni. Subisce quindi una decurtazione del montante pensionistico pari ad un anno rispetto a quello a cui avrebbe diritto.
Questa “sottrazione” di montante pensionistico è poi accentuata dall’emendamento approvato in commissione bilancio del senato.
L’emendamento traduce in norma operativa, con qualche cambiamento, quanto già deciso lo scorso anno con la legge 102/2009 in merito all’adeguamento dell’età di pensionamento in base alla speranza di vita. La cadenza di modifica dell’età di pensionamento non è più quinquennale ma triennale e si specifica, fatto positivo, che la speranza di vita da prendere in considerazione è quella a 65 anni. Dal 2015 l’età di pensionamento di vecchiaia e di anzianità sarà elevata in base alla speranza di vita a 65 anni rilevata dall’Istat nel triennio precedente. E’ rientrata invece l’applicazione di questa norma ai 40 anni di età come inizialmente previsto. Non si trattava di un refuso, tantomeno di un refuso della Rgs, dato che la norma, per quel che si dice, è stata partorita dal presidente dell’Inps e da uno stretto collaboratore del ministro del lavoro.
L’emendamento affronta il problema dei coefficienti nel contributivo. Aumentando l’età di pensionamento sopra i 65 anni, infatti, si pone il problema dei coefficienti per età superiori ai 65 oggi non calcolati. L’emendamento prevede che quando gli incrementi dell’età pensionabile di vecchiaia superano di almeno una unità (12 mesi) i 65 anni debba essere calcolato il coefficiente corrispondente ai 66 anni e così via.
Tenendo conto delle finestre e del ritardo nel calcolo del nuovo coefficiente ci avranno dei lavoratori che percepiranno la pensione con più di 66 anni di età (fino a 66 anni e 11 mesi) con un coefficiente di trasformazione calcolato con la speranza di vita a 65 anni. Viene meno per questi lavoratori la corrispondenza tra montante contributivo e montante pensionistico con la sottrazione di più di 1 anno di ratei pensionistici.
Oggi per evitare questo i coefficienti non sono calcolati solo per gli anni interi, ma anche per i 12 mesi di ogni anno. Chi va in pensione a 64 anni e 11 mesi non ha il coefficiente di 64 anni, ma quello di 64 e 11 mesi. Per coloro che da oggi avranno la decorrenza della pensione a 66 anni e x mesi il coefficiente sarà invece quello di 65 anni.
Considerando la revisione dei coefficienti e l’innalzamento dell’età di pensionamento di vecchiaia la perdita sull’importo della rata di pensione derivante dalla mancanza dei coefficienti sopra i 65 anni varierà tra il 2015 e il 2020 tra il 3% e il 6% a seconda del ritardo nella decorrenza.
Gli interventi sull’età si possono accettare od hanno comunque una loro logica. Il mancato aggiornamento dei coefficienti è invece un intervento sull’importo di pensione e produce quello che possiamo qualificare come un furto a danno dei lavoratori.
L’emendamento è intervenuto anche sulla possibilità di ricongiunzione all’Inps delle posizioni pensionistiche. Oggi tutti i lavoratori dipendenti che hanno posizioni in Inpdap o nei fondi speciali possono ricongiungere o portare la loro posizione pensionistica in Inps (nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti) senza costi. L’emendamento elimina la gratuità dell’operazione imponendo pesanti oneri a carico degli interessati ossia di tutti quei lavoratori che si trovano ad avere periodi di contribuzione parte in Inps e parte in Inpdad o nei fondi speciali. Oggi questi lavoratori possono ricongiungere tutto nel Fpld senza oneri, in futuro saranno costretti a subire un pesante onere o a optare per la totalizzazione che, tuttavia, comporta il passaggio al calcolo contributivo con penalizzazione sull’importo.