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Paul Sweezy tra monopoli e finanza

Paul Sweezy è stato uno dei maggiori studiosi e critici del capitalismo Usa, e a lui è dedicato il volume ‘Paul M. Sweezy. Monopolio e finanza nella crisi del capitalismo’ di Amos Cecchi (Florence University Press). Presentiamo qui alcuni argomenti principali.

Il processo di accumulazione del capitale tende ad andare in stallo nelle tarde formazioni capitalistiche. Invece di risolversi in un crollo, come negli anni trenta, e in una profonda stagnazione che è durata un intero decennio e da cui è stato possibile venir fuori soltanto tramite la guerra, nel periodo dopo la seconda guerra mondiale c’è una tendenza per questo stesso stallo a generare determinate controazioni nell’area della finanza. Ciò che si vede ora è una nuova manifestazione della tendenza del capitale a dirigersi non tanto verso la produzione di beni e servizi utili, quanto verso la manipolazione del denaro e la speculazione, producendo denaro direttamente senza la mediazione del processo di produzione. 

Questo c’è sempre stato. È parte del capitalismo fin dall’inizio. In effetti, come Marx è stato molto attento ad evidenziare, le prime forme del capitale erano realmente capitale mercantile, denaro che cresceva senza la produzione ma attraverso il commercio. Si compra a basso prezzo, si trasporta la merce in un’area in cui c’è più penuria e si ottiene una merce M il cui valore si accresce in M′, i due poli del processo di accumulazione, senza che intervenga un processo di produzione. Questo fu superato con l’inizio della fase industriale alla fine del XVIII secolo e per tutto il XIX. Ma, ora, di nuovo, siamo entrati in una fase in cui la trasformazione del denaro in più denaro avviene sempre di più senza la mediazione della fase della produzione, insieme a una crescita straordinaria dell’indebitamento, all’espandersi di mercati finanziari totalmente senza rapporto con qualsiasi produzione reale. 

È stupefacente anche la misura in cui sta già accadendo, giorno dopo giorno. Alla fine ciò probabilmente creerà una propria forma di collasso, ma essa non sarà dello stesso tipo che abbiamo avuto prima. Il capitalismo cambia sempre. Non si ripete mai realmente. Questa integrazione complessiva della produzione e della finanza in una teoria generale del processo capitalistico è ancora qualcosa nella fase dell’infanzia. Non è trattata in modo compiuto da nessuna parte. Ci sono accenni al riguardo in Keynes. Ci sono accenni in Marx. Ma una elaborazione teorica, ovviamente, non poteva dipendere che dalla storia che avrebbe creato una situazione in cui la nuova teoria venisse ad essere necessaria. Ciò è dove siamo ora (si veda An Interview with Paul M. Sweezy, by Christopher Phelps. Monthly Review, May 1999).

È l’ultimo Sweezy, fra innovazione apportata e necessità avvertita di andare oltre. Nella sua analisi dell’economia e nella sua riflessione teorica – in cui prende spazio un’idea di Marx: D–D′, denaro che genera più denaro, senza la mediazione della produzione − si danno basi importanti per un discorso critico sullo stato di cose esistente, all’epoca in cui la finanza si attesta al centro del sistema, per comprendere quel che sta al fondo della crisi apertasi nel capitalismo, a livello globale. 

 Con la fine dell’età d’oro, Sweezy, insieme a Harry Magdoff, si concentra – in parallelo, e dialogando a distanza, con Minsky – su quel che sta cambiando nel capitalismo monopolistico in atto: in specie, sul grande indebitamento che avanza, sull’impulso rilevante che esso dà al consumo di massa e, insieme, al dispiegarsi del gioco speculativo della finanza, il casino capitalism. Egli riflette sui cambiamenti sostanziali – e sull’ulteriore instabilità e insostenibilità – che così intervengono, in questa fase, nella dinamica del capitalismo. La sua è una riflessione che anticipa l’attenzione alla dimensione-finanza che anche nell’area che si richiama a Marx viene in evidenza soltanto (o soprattutto) con il tracollo della new economy e con la crisi generale 2007-2008. È un’analisi poco conosciuta, pure nel marxismo teorico e nella sinistra politica radicale.

Il lavoro su Sweezy copre, quindi, un limite di attenzione (con poche eccezioni) alla sua elaborazione riguardante la fase che dalla stagflation si protrae, con significativa innovazione teorica, fino alla fine del XX secolo, a un passo, dunque, dalla crisi della new economy e soprattutto del crollo di Wall Street 2007-2008.

Il testo prende il via dal giovane Sweezy ad Harvard – quello della dinamica del prezzo in oligopolio (con la famosa curva di domanda ad angolo) e che rilancia Marx (con La teoria dello sviluppo capitalistico, pubblicata nel 1942 e uscita in Italia nel 1951) proponendone una lettura critica e innovativa, in specie sulla teoria delle crisi nel capitalismo, riaprendo la discussione su nodi problematici, quali la trasformazione dei valori in prezzi o la caduta tendenziale del saggio del profitto, fornendo anche, con l’ultima parte dell’opera un approccio già significativo al funzionamento del capitalismo monopolistico (una parte che purtroppo fu espunta dall’edizione, a cura di Napoleoni, del 1970), 

È, poi, passata in rassegna la riflessione sweeziana del periodo post-bellico, in cui figurano l’attenzione, che diviene costante, alla rilevanza e al ruolo della spesa militare e i confronti importanti con Domar e, soprattutto, con Kalecki e Steindl.  

Il libro si sofferma, ampiamente, sull’elaborazione baran-sweeziana di Monopoly Capital, pubblicato nel 1966 e importante riferimento per i giovani del sessantotto e del movimento studentesco in tutto il mondo, che trovano qui aria teorica nuova, attenzione alle modifiche prodottesi nel capitalismo monopolistico avanzato, rispetto ad un’ortodossia marxista ormai incapace d’intendere la nuova fase apertasi con la fine della seconda guerra mondiale.

Sulle importanti basi evidenziate in Marx (per la spiegazione della dinamica critica del capitalismo), con l’apporto teorico innovativo di Kalecki e Steindl e la significativa elaborazione già prodotta da Sweezy e da Baran, viene sviluppato, in quest’opera, un più avanzato discorso teorico sul capitalismo monopolistico.

Esso indica il tendenziale elevarsi, con il grado di monopolio, della quota del plusvalore/profitto, nel rapporto fra salario e plusvalore/profitto. Indica inoltre il contenimento degli sbocchi di mercato per la produzione; sulla base delle decisioni di spesa dei capitalisti (per consumo e investimento) si definiscono le possibilità di realizzare/assorbire il surplus/plusvalore; qui è soprattutto l’investimento ad essere decisivo, non soltanto per l’occupazione, ma proprio per la realizzazione del surplus/plusvalore. Pertanto, in linea con Marx, se c’è insufficienza dell’investimento e sottoutilizzazione della capacità produttiva, una parte del plusvalore non può essere assorbito e quindi non viene prodotto,rimane potenziale, apparendo nel sistema nel risvolto negativo di capacità inutilizzata e disoccupazione. È un modello di funzionamento del capitalismo, nell’epoca contemporanea, con una chiara tendenza alla sovraccumulazione e alla stagnazione. 

Possono intervenire fattori contrastanti il trend al ristagno, evidenziati da Kalecki – mercati esterni – o specificati da Sweezy (già nel libro del 1942), con la sottolineatura, in specie di consumo improduttivo e spese statali.   Ma, soprattutto, c’è la potenzialità e l’esigenza sistemica (che si combina con la logica della competizione di tipo nuovo fra oligopoli) che un capitalismo capace, ora, di generare un elevato e crescente surplus ne devii, strutturalmente, una sua quota sempre più ampia in spreco. In modo che a un surplus potenzialmente debordante faccia riscontro una domanda (un assorbimento) forte – spreco, appunto: privato e pubblico – che può prendere impulso su più piani, com’è indicato, compiutamente, ne Il capitale monopolistico

Lo schema teorico dispiegato, quindi, è un modello marxiano economico-storico. Un impianto che mette in campo, accanto alla logica elementare del sistema, fattori esogeni contrastanti la tendenza al ristagno, a più gradi di intensità e di possibilità, quali la reazione protettiva del sistema (a forte dispiegamento di spreco) e forze antagonistiche straordinarie (quali epoch-making innovations, in specie l’auto, e guerre/dopoguerra). È un discorso aperto e capace di intendere (e di integrare), con Sweezy e Magdoff,  nuovi sviluppi, quali il grande indebitamento e la finanza dilagante: le nuove forme che, aggiungendosi alla promozione della vendita e alla spesa militare, partecipano, in modo determinante, nell’ultimo scorcio del secolo XX, all’adattamento/rimodellazione del sistema alla tendenza persistente alla stagnazione. 

Fra le forze contrastanti la tendenza alla stagnazione, nessuna è stata più importante o meno compresa dagli analisti della struttura del debito del Paese (governo, imprese e individui), cresciuto a un ritmo ben superiore alla lenta espansione della sottostante economia ꞌrealeꞌ. Il risultato è stato l’emergere di una sovrastruttura finanziaria senza precedenti, enorme e fragile, soggetta agli stress e alle distorsioni che minacciano sempre più la stabilità dell’economia, nel suo complesso (P. M. Sweezy and H. Magdoff, The Logic of Stagnation, Monthly Review, October 1986). 

 In tal quadro, c’è pure uno scavo particolare: guardando alle carte ritrovate soltanto un decennio fa nell’archivio Sweezy (i due capitoli non inseriti nell’opera baran-sweeziana e le ultime lettere fra loro intercorse) e all’epistolario 1949-1964, ora disponibile, l’autore ci introduce anche alla discussione fra i due grandi intellettuali  ̶  legati fortemente da stima reciproca e amicizia  ̶  rimasta interrotta per la morte improvvisa di Baran nel 1964, e, quindi ai punti di un esistente e significativo disaccordo: a cominciare dal rapporto con Marx  ̶  scrive Sweezy, rivolgendosi criticamente a Baran: “Vogliamo apparire come quelli che sviluppano (developers) la teoria marxiana, non come quelli che la revisionano (reviewers)”: Baran-Sweezy Letters/Monthly Review Archives:PMS to PAB, August 1, 1962)  ̶   e dal concetto di surplus, per Sweezy, a differenza di Baran, uguale al plusvalore.

Oltre al rapporto con l’elaborazione di Kalecki e Steindl e alla definizione del filone di pensiero che Sweezy chiama neo-marxiano, attenzione nel libro è data anche al confronto aperto di Sweezy con i grandi discorsi sul capitalismo del XX secolo: Veblen, Schumpeter, Keynes, Galbraith. E così pure alla valorizzazione baran-sweeziana dell’analisi di Sylos Labini.

L’elaborazione sweeziana tiene assieme produzione e finanza, dinamica economico-produttiva e assorbimento finanziario del surplus, tendenza alla stagnazione e dilagare della finanza, che, con la logica (speculativa) che induce nell’agire di ogni soggetto economico e con il suo riflettersi sul modo di funzionamento complessivo dell’economia, espone il sistema, col formarsi e l’esplodere di bolle, a una deriva accentuata di fragilità, instabilità e insostenibilità. 

Insieme a ciò, è da considerare che, nell’analisi e nella teoria d’impianto marxiano, Sweezy opera un raccordo d’indubbio valore. Tra la linea di pensiero che, muovendo da Marx, punta alla definizione di una teoria della crisi del capitalismo, basata sulla tendenza alla sovraccumulazione e alla stagnazione – quella neo-marxiana – e la riflessione sul capitale finanziario, che, dipartendosi da Marx e Hilferding, guarda, anche confrontandosi con il pensiero eterodosso di Minsky, al ruolo che la finanza è chiamata a svolgere nel sistema, a un certo punto cambiando pure l’equilibrio sistemico interno.