Secondo i rapporto, siamo il Paese della zona euro che nel 2015 crescerà meno dopo la Grecia, e che nel 2017 si posizionerà penultimo rispetto a tutti i Paesi Ocse
Una ripresa, quella Italiana, che si consolida, sostiene l’Economic Outlook 2015 dell’OCSE, presentato ieri a Parigi dal segretario Angel Gurria. Un consolidamento al ribasso che svela giorno dopo giorno la tendenziale condizione di stagnazione che andrà a caratterizzare l’Italia da qui al 2017.
Secondo le previsioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’Italia crescerà nel 2015 dello 0.8% rispetto all’anno precedente, a cui seguirà nei due anni successivi un tasso di crescita del Pil dell’1.4% annuale. E’ il Paese della zona euro che nel 2015 crescerà meno dopo la Grecia, e che nel 2017 si posizionerà penultimo rispetto a tutti i Paesi Ocse (farà peggio solo il Giappone, stando alle previsioni). Un futuro al limite. All’interno del rapporto, l’Ocse si felicita con il governo italiano per il JobsAct e gli gravi fiscali, che avrebbero contribuito positivamente al recupero comunque parziale della crisi occupazionale, nonostante non vi sia alcuna evidenza, alcuno studio, che dimostri il legame causale tra riforme del governo e ripresa occupazionale, da prefisso telefonico. Confinando l’osservazione ai dati riportati dall’Economic Outlook si nota che il tasso di disoccupazione scenderà fino all’11% , mantenendo il podio con Spagna e Grecia, non a caso i tre Paesi più vessati dalle politiche di austerità. Inoltre, il tasso di crescita dell’occupazione, nonostante rimarrà positivo nei prossimi due anni, sarà sempre più debole, con un aumento dell’1% tra il 2016 e il 2017. In termini di numero di occupati, nell’intero triennio, questa informazione si traduce in un aumento degli occupati di 778.721 unità, di gran lunga inferiore alle stime del governo poste in legge di stabilità (1,2milioni per il 2015 e 1mln per il 2016), pur assumendo irrealisticamente che tutti i nuovi occupati siano a tempo indeterminato e non invece lavoratori occasionali (voucher) o a tempo determinato. Tuttavia, sempre alla realtà bisogna tornare, anche quando è scomoda e palesa i propri conflitti: all’aumentare dell’occupazione, aumentano inevitabilmente i redditi da lavoro complessivi, ma nel 2017 la crescita media del monte salari, cioè il volume dei redditi per occupato, rispetto al 2007 sarà esattamente la metà di quella della zona euro. Un’evidenza che seppure sintetica non suggerisce nulla di buono in termini di buona occupazione, che inevitabilmente passa anche per una buona retribuzione. Purtroppo, l’Economic Outlook tace su uno degli aspetti fondamentali della sfera socio-economica, cioè le disuguaglianze materiali tra cittadini. Non ci è dato sapere infatti se oltre una ulteriore compressione dei salari, saremo anche di fronte, come sembrerebbe, a un inasprimento della polarizzazione dei redditi da lavoro (e non solo). Inevitabilmente, anche la spesa per consumi finali delle famiglie crescerà molto meno che negli altri paesi, e si ritroverà a fine 2017 a un livello ancora inferiore rispetto a quelli pre-crisi (-4.5%).
Anche gli investimenti rimarranno a livelli piuttosto limitati e con un apporto sempre minore alla crescita del Pil (0.5, 0.1 e 0 percento nei tre anni in esame). Per un Paese che ha già perso un quarto della propria capacità produttiva, che sopravvive nel solco di una lunga deindustrializzazione, questi dati sono allarmanti della capacità e visione di futuro del nostro sistema produttivo e di quello di un governo, che ignorando volutamente la realtà, per il proprio tornaconto di breve periodo, non fa altro che premiare “i soci vitalizi del potere, ammucchiati in discesa a difesa della loro celebrazione”.