E’ vero, la Fiat non è competitiva. Ma per colpa dei costi fissi, non di quelli variabili. Tocca all’Europa inventare una politica industriale per superare la crisi dell’auto
Se compariamo la Fiat con le principali società del settore a livello europeo si percepisce che la Fiat non è un player adeguato del mercato, manifestando una distanza di struttura dalle altre società che la portano ad essere già fuori dal mercato. E poiché esiste un processo di sovrapproduzione mondiale, non è fuori luogo pensare che qualche “debole” debba sparire, cambiare mestiere o trovare un acquirente.
La crisi del settore non è un fenomeno aneddotico, piuttosto l’effetto di un graduale e inesorabile processo di ridimensionamento del comparto nell’ambito della produzione industriale complessiva; occorre un progetto all’altezza. Nell’area della triade industriale il settore ha perso il 23,96% tra il 1999 e il 2008; l’Europa il 28,98%; il nord America il 38%. Solo il Giappone aumenta il peso percentuale dell’automotive nell’ambito della produzione manifatturiera del 7,09%, anche se nel corso degli ultimi 2 anni ha perso ben 3 punti percentuali, contro una media del 2%.
A grandi linee si profilano due mercati di riferimento: da un lato si manifesta la necessità di produrre vetture di nuova generazione a basso consumo ed impatto ambientale per i mercati rigidi dei paesi ricchi; dall’altro lato la necessità di realizzare vetture a basso costo per i mercati a ridotto tasso di motorizzazione. Quindi la ristrutturazione del settore in termini di dimensione di scala (adeguata) e di tipologia di prodotto è ineluttabile e, probabilmente, l’unica condizione per sopravvivere.
Il confronto tra i principali paesi-competitors del settore (Germania, Francia e Italia), tra il 2002 e il 2008 per occupazione e produzione, fa emergere alcune caratteristiche interessanti. La produzione in Francia e Italia è crollata, rispettivamente del -29,15% e del -28,87%, mentre la produzione in Germania è salita del 9,23%. Questo trend ha modificato la divisione europea del lavoro. Infatti, la produzione industriale delle automotive si è ricomposto: la Germania passa dal 29,93 al 32,50%; la Francia passa dal 20,45% al 14,44%; l’Italia passa dal 7,81% al 5,54%. Sostanzialmente la Germania e il Giappone, in misura minore gli USA, sono i principali players del settore, con attività e dimensioni che condizionano la ristrutturazione (necessaria) del settore. Inoltre, tra i principali competitors la Fiat è, indiscutibilmente, la meno attrezzata. L’assenza di una politica capace di agire sui costi fissi e la maggiore attenzione della Fiat sui costi variabili (lavoro in primis) – si pensi a “Oligopolio e progresso tecnico” di Sylos Labini – sono un tratto caratteristico della gestione di una società prima della sua “privatizzazione-cessione”. Il crollo del ROE (indice di redditività del capitale proprio) tra il 2008 e il 2009 impressiona. Tutte le principali società hanno perso “redditività”, ma il meno 26% della Fiat è poco più del doppio delle altre società: Volkswagen meno 12,9%, Dalmier meno 12,5%, Honda motor meno 3,1%, Toyota meno 2,4%.
Forse è giunto il momento di coinvolgere la Commissione Europea per guidare il necessario processo di ristrutturazione del settore delle automotive, in particolare quello dell’auto. Se l’Europa non interviene come agente economico, l’unico equilibrio del settore è quello determinato dal dumping fiscale e salariale che si realizza nei paesi. Sostanzialmente la ristrutturazione si realizza non sul principio della corretta allocazione delle risorse (scarse) e dei vantaggi comparati, ma agirebbe solo dal lato dei costi fiscali. Un esito che, paradossalmente, allontana dal mercato tutte le case automobilistiche. Altro che globalizzazione. Per queste ragioni l’Europa dovrebbe assumere un ruolo di guida del necessario processo di ristrutturazione del settore, sulla base delle competenze, delle economie di scala, e dell’orizzonte che l’Europa assegna alla green economy. Quindi l’assunzione di un progetto industriale di settore che nel bene e nel male condizionerà il prossimo futuro dell’Europa.
Tra l’altro, l’intervento della Commissione permetterebbe di uscire dalle logiche locali, statali e fiscali, consegnando il progetto auto alla politica industriale europea, evitando di mettere in competizione le diverse società automobilistiche sulla base dei diritti dei lavoratori e delle remunerazioni.
L’esperienza non è originale. Per chi ha memoria si ricorda il riuscito percorso di ristrutturazione del settore aerospaziale europeo iniziato nel 1994 e conclusosi all’inizio del 2001. Ora l’industria aerospaziale europea è un player internazionale e punta avanzata dell’industria high tech europea. Sostanzialmente l’intervento europeo ha permesso di guidare questo processo sulla base delle competenze, cioè ha rafforzato tutto il sistema industriale europeo nel suo insieme.
L’Europa per una volta potrebbe assumere un ruolo almeno pari a quello avuto nell’esperienza dell’industria aerospaziale. A quel punto Marchionne sarebbe costretto a misurarsi con il mercato e non sui profili dei contratti e delle agevolazioni fiscali.
Diciamoci onestamente che la Fiat non è competitiva; non per il costo variabile, ma in ragione degli alti costi fissi e le minori economie di scala, tra l’altro alimentati dalla crescente dispersione produttiva che non ha pari rispetto altre società automobilistiche europee.