Top menu

No Base: contro la militarizzazione della Toscana

Nella campagna pisana il governo si appresta a costruire una base militare che ha catalizzato l’opposizione di movimenti sociali, pacifisti e ambientalisti per la smilitarizzazione del territorio. I costi -520 milioni presi dal Fondo sviluppo e coesione- sono già triplicati. Ne abbiamo parlato a Como il 7 settembre all’Altra Cernobbio.

Nella campagna pisana il governo si appresta a iniziare i lavori per la costruzione di una base militare che ha catalizzato, dall’altra parte, l’opposizione congiunta di movimenti sociali, pacifisti e ambientalisti per la smilitarizzazione del territorio. Anche le cittadine e i cittadini non attivi politicamente nei comuni di Pisa e Pontedera hanno compreso la dimensione della beffa: per questa base è previsto ad oggi uno stanziamento di 520 milioni presi dal Fondo di sviluppo e coesione sociale e da risorse assegnate al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, costo già triplicato rispetto al primo progetto di base. Le associazioni locali e nazionali impegnate nel contestare questo progetto ne parleranno il 7 settembre a Como nell’ambito del Forum di Sbilanciamoci “L’Altra Cernobbio”, ma per allargare la protesta alle forze sindacali e sociali è importante ricostruire i fatti.

Sono passati ormai 2 anni da quando, nella primavera del 2022, il gruppo consigliare Diritti in Comune a Pisa scopriva e denunciava pubblicamente quanto comparso sulla Gazzetta Ufficiale: un trafiletto con cui il governo Draghi individuava con decreto ministeriale “l’intervento infrastrutturale per la  realizzazione  della  sede del  Gruppo  Intervento  Speciale,  del  1°  Reggimento   Carabinieri paracadutisti «Tuscania» e  del  Centro  cinofili   quale  opera  destinata  alla  difesa nazionale”. In realtà si scoprirà più avanti dell’esistenza di un progetto ben dettagliato, noto da più di un anno, ma tenuto nascosto dagli enti locali coinvolti: Comune e Provincia di Pisa, Regione Toscana e Ente Parco Naturale di Migliarino San Rossore e Massaciuccoli.  L’indignazione popolare che ha seguito la denuncia ha portato alla nascita del Movimento “No Base né a Coltano né altrove” che ha subito costretto il nuovo governo ad una battuta di arresto nello sviluppo del progetto, ma anche a muoversi per portare avanti la militarizzazione del territorio per altre vie. Nel maggio dello stesso anno da una parte l’opera viene commissariata, in quanto l’intervento è caratterizzato “da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa che comportano un rilevante impatto sul tessuto socio-economico”, dall’altro si attiva un tavolo inter-istituzionale “con il compito di individuare soluzioni volte a rilocare le sedi” dei reparti speciali.

Un tavolo che si rileva una farsa istituzionale volta principalmente a imbonire l’opinione pubblica, ma che di fatto si svolge a porte chiuse coinvolgendo non la popolazione, ma quegli stessi enti che sapevano del progetto dal principio e avevano taciuto, un tavolo dei cui incontri non si sa nulla se non notizie contraddittorie che si rincorrono sui giornali, mentre il commissario straordinario dell’opera procede spedito: chiede e ottiene nuovi fondi per uno studio di pre-fattibilità nell’area del Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (Cisam): un’area boscata sempre all’interno del Parco di San Rossore e in cui da decenni è prevista – finanziata ma non attuata – la bonifica dalle scorie di quello che era un reattore nucleare di ricerca a scopo militare dismesso ormai dagli anni ‘80 del secolo scorso.

Lo studio tecnico è affidato ad Integra AES – una società di consulenza specializzata in sistemi di difesa  e che opera in tutto il mondo, anche in aree post-conflitto come l’Iraq o l’Afghanistan – e che restituisce, al costo di 65mila euro di soldi pubblici, una mappa aerea con indicato le nuove zone e che, senza un dato o un approfondimento specifico, diventano le linee guida del Tavolo Interistituzionale che a ottobre del 2023 approva la nuova collocazione a San Piero a Grado (sempre provincia di Pisa), specificando che i fondi saranno presi dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti e promettendo che ci saranno opere di compensazione nei territori di Coltano e Pontedera. E soprattutto garantendo nel proseguo un processo trasparente: “Saranno puntualmente condivise, con tutti gli Enti interessati, le varie fasi progettuali nonché saranno ovviamente rispettate tutte le procedure previste dalla vigente normativa, tenendo in considerazione anche il piano di gestione del Parco”, recita il verbale firmato dal sindaco di Pisa Michele Conti (area centro destra), dal presidente della Regione Toscana Eugenio Giani (area centro sinistra) e dal presidente dell’Ente Parco Lorenzo Bani (tra i primi a proporre il Parco come potenziale sede della base militare).

Altra promessa che si rivela vana, perché dalle istituzioni – da quelle locali a quelle nazionali – cala il silenzio, addirittura ci si rifiuta palesemente di rispondere alle richieste esplicite di informazione dei cittadini comuni e di quelli regolarmente eletti.

Alla fine di giugno 2024 la base militare torna in maniera surrettizia all’interno del decreto omnibus (dentro anche lo spezzatino Ponte, il piano Mattei e molto altro) cosiddetto “Infrastrutture” portato avanti da tutti i ministri del governo Meloni, ma senza la firma del diretto interessato, il “ministro della Difesa Crosetto”. Tanto ormai è appurato: l’opera che servirà ad addestrare e ospitare i corpi speciali dei carabinieri, quelli che operano prevalentemente all’estero in situazioni di conflitto, i reparti sempre attivi che preparano gli interventi militari italiani negli scenari bellici, sono burocraticamente inquadrati come “presidio di pubblica sicurezza”. Per questo la base verrà finanziata, fuori dalle spese militari esplicite, con i soldi destinati a bilancio all’Edilizia Pubblica e prelevandoli dal Fondo per la Coesione sociale e lo Sviluppo.

In particolare, nel decreto, convertito con il voto di fiducia già ad agosto del 2024, si prendono 20 milioni di euro da quello che erano le riserve destinate a fronteggiare gli aumenti dei costi dei materiali a seguito della crisi in Ucraina e della crisi pandemico-sanitaria e si usano per aprire una contabilità speciale, volta ad avviare il prima possibile i cantieri dell’opera.

Nelle pieghe delle carte governative, il Movimento No Base scopre molto di più, dettagli ancora una volta noti a tutte le forze politiche in Parlamento, ma occultati dall’attenzione dei media. Il costo complessivo dell’opera è lievitato da 190 milioni a 520 milioni (mezzo miliardo di euro). La superficie prevista raddoppia, passando da 70 ettari previsti inizialmente a Coltano ai 140 complessivi diffusi tra San Piero a Grado e il Comune di Pontedera. Si svelano almeno in parte quelle che dovrebbero essere le opere di compensazione, che in realtà non compensano proprio nulla. Nella Tenuta Isabella, altra zona prevalentemente verde e purtroppo anche a rischio idrogeologico della Valdera, viene previsto un poligono di tiro a cielo aperto e una pista per addestramenti: strutture costruite per i militari e che si dice “saranno anche a disposizione dei civili”.

A Coltano si include il recupero di alcuni edifici storici, ma più che di compensazioni sembra trattarsi di prebende per le complici istituzioni locali: la villa Medicea, attualmente già in gestione alla Proloco locale e di proprietà del Comune di Pisa, Le stalle del Buontalenti, abbandonate, di proprietà della Regione Toscana, l’ex Stazione Radio Marconi, di proprietà del Demanio, ma in concessione sempre al Comune di Pisa che ne aveva casualmente regolarizzato i contratti pochi mesi prima del decreto. Si parla di recupero, ma non si specifica né quali saranno le nuove destinazioni, né con quale processo partecipativo verrà coinvolta la cittadinanza nel decidere il futuro di questi luoghi, il cui recupero è già previsto da oltre trent’anni a prescindere da qualsiasi opera militare. Tra le compensazioni spunta a San Piero a Grado anche la ristrutturazione dell’edificio della Bigattiera, di proprietà dell’Università di Pisa, che da oltre 15 anni prova – senza successo – a svenderlo: si noti che l’Ateneo pisano non ha partecipato ad alcun tavolo, né ha alcuno ruolo, se non fosse che è proprietario della maggior parte dei terreni che circondano l’area destinata alla nuova infrastruttura bellica.

Ulteriore bufala che viene narrata dalla propaganda governativa è che 120 milioni saranno destinati alla bonifica dell’area, ma non viene detto che tale bonifica era già prevista come espressamente scritto nella delibera “La bonifiche del Settore Difesa” n.14 del giugno 2022 della Corte dei Conti in merito al Cisam: “Le successive attività di decommissioning sono attualmente pianificate secondo una linea finanziaria già delineata che prevede, ad oggi, una conclusione delle attività entro il 2032”.

Infine si arriva a parlare di compensare il taglio di migliaia di alberi secolari, riconosciuti patrimonio naturale dell’Unesco come Selva Costiera Toscana, e per questo protetti da speciali normative e tutele, con nuove piantumazioni che, nei fatti, impiegheranno decenni a recuperare la funzione di difesa e regolazione ecosistema che hanno oggi. Senza contare che una delle ricchezze della riserva naturale è la biodiversità, con particolare riguardo alla riproduzione di alcune specie di uccelli rari, che sarebbe irremediabilmente compromessa sia dall’abbatimento degli alti fusti, sia dall’elevato impatto dell’attività antropica connessa al nuovo insediamento armato. 

Il governo Meloni prosegue, dunque, determinato a portare avanti questa ennesima infrastruttura militare, in quadro generale di potenziamento della Toscana come hub nevralgico della logistica di guerra globale e cerca i modi di farlo accettare all’opinione pubblica sia con la farsa delle compensazioni, sia con un’azione di più lungo periodo, che ha radici culturali nel propagandare la cultura della Difesa, il bisogno di sicurezza e quindi a fare accettare ai cittadini contribuenti ulteriori spese militari. Nel mentre, il Movimento No Base continua a curare la controinformazione per sfatare i falsi miti promossi dai media mainstream e ad animare le forze sociali e politiche che si oppongono alla realizzazione di quest’opera.  

Il metodo del movimento continua a basarsi sull’apertura e la partecipazione alle attività che sono prevalentemente di studio e di approfondimento e che hanno portato negli ultimi 2 anni a significative manifestazioni di protesta. A giugno del 2022 decine di migliaia di persone hanno sfilato sotto il solo cocente nell’allora poco conosciuta campagna di Coltano e poi, a ottobre del 2023, a pochi giorni dalla ratifica della nuova decisione, migliaia di persone hanno costeggiato sotto la pioggia battente chilometri di filo spinato, dalla vicina ed enorme base militare americana di Camp Darby alle reti del Cisam, dove è stato simbolicamente aperto un varco per dimostrare la determinazione dei manifestanti a non cedere il proprio territorio all’economia di guerra. Intanto, proprio a giugno di quest’anno, sul sentiero dei Tre Pini, che separa il centro Avanzi (fulcro della ricerca sullo sviluppo sostenibile dell’Ateneo pisano) dall’area militarizzata, il movimento No Base ha inaugurato un presidio permanente di pace, volto alla cura, alla conoscenza, al monitoraggio dei progetti in atto e alla difesa del territorio. Nello scenario futuro la sfida è quella di bloccare i finanziamenti della nuova infrastruttura militare e quindi, guardando alla finanziaria 2024, il movimento No Base ha convocato un nuovo appuntamento in piazza, il 13 settembre, sotto il Comune di Pisa, dove vengono chiamate a raccolta le forze politiche, sindacali e sociali, locali e nazionali, a schierarsi apertamente: stanno dalla parte dell’economia di pace o dell’economia di guerra? Cosa si potrebbe fare di veramente utile alla sicurezza sociale e umana delle persone con 520 milioni di euro in alternativa ad una nuova sede dei Gruppi di Intervento Speciale? In ballo non c’è solo la questione specifica della base, ma un’idea radicalmente diversa di sviluppo del territorio locale e di approccio alla risoluzione dei conflitti internazionali. Per ridurre la violenza e il rischio di conflitti armati è necessario, come dice il governo, investire su sistemi di difesa e sul comparto militare, rafforzando gli hub della logistica bellica già esistenti e sottraendo fondi alla spesa sociale, oppure è preferibile investire per ridurre le diseguaglianze sociali ed economiche, finanziare la cooperazione e gli interventi di peacebuilding civile? La risposta non può essere retorica, ma deve essere collettiva e sempre più diffusamente condivisa.