Mandela è stato l’ultimo grande liberatore del XX secolo. Ora che se n’è andato, il nostro futuro sembra più incerto che mai. Il suo lavoro incompiuto diventa nostra responsabilità collettiva
Mandela non c’è più. Erano anni che ci preparavamo per questo momento, e tuttavia la notizia della sua morte ci lascia senza fiato, scatenando un vortice di emozioni e profonde riflessioni sul passato e il presente della nostra Nazione Arcobaleno. Una pioggia torrenziale si è rovesciata sul Sudafrica il giorno della commemorazione ufficiale, cosa alquanto insolita in uno dei paesi più aridi al mondo. Un’anziana signora che aspettava il suo turno per entrare al memoriale ha commentato quello che tutti pensavano: “Sembra che il cielo stia piangendo per Madiba”. Oltre un centinaio di capi di stato hanno raggiunto Johannesburg per l’ultimo saluto. Il ricco Nord, con l’eccezione di Obama, in silenzio sugli spalti, mentre il Sud emergente, con il Brasile, la Cina e l’India, celebrava l’eroe della lotta all’apartheid.
Nessuno più di Mandela ha saputo personificare la lotta per la libertà. Come espresso nel famoso di discorso dalla sbarra nel processo di Rivonia del 1964, Madiba ha dato voce “all’ideale di una società democratica e libera in cui tutti possano vivere in armonia e con le stesse opportunità”. Un’ideale per cui era disposto a morire e per il quale trascorse quasi tre decenni in carcere, gran parte del tempo nel penitenziario di massima sicurezza di Robben Island, in una cella di quattro metri quadri. Il governo razzista dell’apartheid gli portò via i figli e imprigionò la moglie, la coraggiosa Winnie Madikizela. Poche persone nella storia sono state capaci di vincere il dolore dell’oppressione e sollevarsi al di sopra dei propri carnefici per immaginare un futuro di unione e riconciliazione. Madiba lo ha fatto sia attraverso la propria esperienza personale sia attraverso il proprio progetto politico.
Fu il ribelle che divenne leader pragmatico. Reinventò l’African National Congress, da club di elite animato da ideali di resistenza non violenta, a movimento di massa di guerriglieri. Mandela fu il primo comandante di Umkhonto we Sizwe (la lancia della nazione), il braccio armato dell’ANC. Venne etichettato terrorista dal governo dell’apartheid e dai suoi alleati occidentali, in particolare Margaret Thatcher e Ronald Reagan, mentre il resto del mondo celebrava il suo ruolo di liberatore. Negli ultimi anni prima del rilascio, Mandela completò la lunga transizione da guerrigliero a pacificatore. Seppe usare il proprio carisma e credibilità per guidare il suo popolo lungo il cammino del perdono. Fu un percorso difficile, lastricato di tensioni, soprattutto dopo decenni di oppressione da parte della minoranza bianca. Tuttavia, Mandela non soggiacque alla tentazione di cavalcare la rabbia popolare. Mentre la sua gente voleva vendetta, lui continuò a sostenere la causa della riconciliazione.
Quando l’amico e alleato Chris Hani venne assassinato da un gruppo di estrema destra nel 1993, nel pieno dei negoziati per la transizione democratica, Mandela mantenne il controllo della situazione con forza e lucidità. In un discorso commosso alla nazione, indusse alla calma i milioni di sudafricani pronti a prendere le armi, riuscendo miracolosamente ad evitare una sanguinosa guerra civile. Non era ancora presidente, ma era come se lo fosse: rispettato dalla popolazione nera ed amato da tutti gli altri. Cinque anni più tardi, sorprese il mondo con la decisione di non ricandidarsi per la presidenza dopo solo un mandato al governo. Una scelta senza precedenti non solo in Africa, dove i leader politici restano al potere a vita, ma anche nel resto del mondo.
Al giorno d’oggi, la sua vita, i suoi valori ed il suo esempio segnano un contrasto difficile da negare quando paragonati al comportamento della classe politica mondiale. Come annunciato dalla rivista satirica The Onion alla notizia della sua morte: “Mandela è il primo politico della storia che ci mancherà”. Anche in Sudafrica, il contrasto è stridente. La nuova classe dirigente è sempre più a disagio con lo stato di diritto e la costituzione che Mandela contribuì a scrivere. Corruzione e arricchimento personale sono fenomeni dilaganti. Non a caso il presidente Zuma è stato accolto tra i fischi dalla folla che piangeva Madiba.
Ma nel celebrare l’uomo e il leader, bisogna anche ricordare ciò che Mandela non fu. Indiscusso esempio di riconciliazione, Mandela non fu altrettanto deciso sul fronte della giustizia sociale. Dando priorità alla pacificazione del paese, evitò questioni scomode ma fondamentali nell’ambito dell’uguaglianza e della ridistribuzione. Per salvaguardare la stabilità, Mandela si fece sostenitore della continuità nella politica economica del paese, passando il testimone del cambiamento ai suoi successori. Ma, purtroppo, nulla di significativo è accaduto finora. Al contrario, il bubbone della disuguaglianza sociale ha continuato ad infettare gran parte della società. Il Sudafrica è ancora tra i primi paesi al mondo in quanto a concentrazione della ricchezza al vertice. Le condizioni di lavoro per milioni di sudafricani, soprattutto in settori cruciali come l’industria energetica, le miniere e l’agricoltura, sono inaccettabili. Gran parte dei cittadini non ha accesso a sanità o istruzione dignitosa. Il malcontento per la mancanza di servizi dilaga per il paese, sfociando in guerre tra poveri, in cui lavoratori migranti vengono presi di mira perché visti come una minaccia da altri lavoratori, in un paese in cui la disoccupazione supera il 40%. Il modello di sviluppo economico, con l’accumulazione della ricchezza in poche mani (tradizionalmente bianche, ora anche un pò nere), le condizioni fatiscenti del sistema di welfare e lo sfruttamento sistematico delle risorse naturali, è insostenibile.
Mandela è stato l’ultimo grande liberatore del XX secolo. Ora che se n’è andato, il nostro futuro sembra più incerto che mai. In qualche modo, la sua presenza (anche se puramente aleatoria da vari anni, a causa dell’età e della malattia) era ancora vista da molti come una certezza: una “bussola” che guidava il paese. Adesso, il lavoro incompiuto di Mandela diventa una nostra responsabilità collettiva. Quando i leader scompaiono, noi tutti diventiamo protagonisti. La nostra vita dopo Mandela dipenderà dalla capacità di immaginare e costruire una società giusta. Dovremo diventare leader nelle nostre comunità locali al fine di realizzare quel profondo cambiamento economico e sociale che Mandela non fu in grado di ottenere. Dobbiamo cominciare proprio da dove lui si è fermato.