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Mobilità sostenibile e lavoro alleati nella transizione

Decarbonizzare i trasporti, abbattere le emissioni, creare buona occupazione, ridurre le disuguaglianze. Un recente report dell’Alleanza Clima Lavoro mostra come sia possibile raggiungere i traguardi di una giusta transizione sul fronte della mobilità. E quanto sia insostenibile il costo dell’inazione.

Lo scorso 18 marzo, commentando in occasione del convegno milanese “Guidare il cambiamento” lo stop alla commercializzazione dei veicoli con motore endotermico dal 2035, il nostro Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è stato chiaro: «Un omicidio. È un omicidio di un settore produttivo che non ha spiegazioni ambientali, economiche, sociali, industriali. Dobbiamo dire quello che è anche scomodo da dire, perché magari è più utile avere posizioni più sfumate. (…). Prevedere che dal 2035 non si possano più né vendere né comprare auto se non elettriche è una follia: una follia figlia di – dipende – o ignoranza, o arroganza o convenienza».

La posizione del Ministro, come è noto non nuovo a simili esternazioni, è in linea del resto con quella di molti suoi colleghi, in parlamento e al governo. E probabilmente lo è anche con il senso comune di una parte tutt’altro che irrilevante dell’opinione pubblica. La transizione ecologica – in particolare verso la nuova mobilità sostenibile ed elettrica – è una minaccia per il lavoro ed è una roba da ricchi, il cui costo ricade sulle spalle di chi ha di meno: è questo il mantra che viene detto e ripetuto, giorno dopo giorno, tanto a livello politico e istituzionale quanto a livello mediatico.

Scopriremo a breve, a meno di un mese dalle elezioni europee, come tutto questo inciderà sulla formazione della nuova maggioranza a Strasburgo e della nuova Commissione a Bruxelles. E quali riflessi avrà sul destino del Green Deal europeo. Nel frattempo, è opportuno ricordare che in Europa il settore dei trasporti vale il 5% del Pil comunitario, impiega 11 milioni di lavoratori ed è responsabile di oltre un quarto delle emissioni di gas a effetto serra e di oltre il 30% delle emissioni di CO2.

Parallelamente, l’industria dell’auto vale il 7% del PIL dell’Ue e impiega direttamente o indirettamente 13 milioni di lavoratori. Per contribuire all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 sancito nel Green Deal, i trasporti dovranno ridurre del 90% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Eppure, queste emissioni sono più che raddoppiate dal 1970 e continuano senza sosta ad aumentare.

Un buon piano

È all’altezza di questo snodo tra aspetti e problemi ambientali, sociali ed economici che si pongono due domande cruciali: è possibile salvaguardare l’occupazione, e crearne di nuova, all’interno del processo di transizione alla mobilità sostenibile ed elettrica? E la transizione può rappresentare una leva strategica per trasformare il sistema produttivo italiano nel segno della sostenibilità e della giustizia, coniugando obiettivi di decarbonizzazione, riduzione delle emissioni inquinanti, lotta alle disuguaglianze e promozione del benessere? Dalla capacità di dare una risposta affermativa a tali domande dipendono sia le sorti della transizione ecologica sia quelle della tenuta complessiva del nostro ordine sociale, stretto come sappiamo in una morsa tra crisi climatica, crisi occupazionale e crisi industriale.

Proprio sulla base di questi interrogativi e di queste sfide si sviluppa l’impegno dell’Alleanza Clima Lavoro: un tavolo permanente di confronto, elaborazione, proposta e iniziativa comune tra 11 organizzazioni sindacali e della società civile costituitosi formalmente a marzo 2023 per favorire il percorso della transizione e conseguire il traguardo della neutralità climatica entro il 2050 stabilito nel Patto verde europeo. E sempre queste sono le premesse da cui prende le mosse il recente report dell’Alleanza, Un Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile, a cura di un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa formato da Simone D’Alessandro, Marta Bonetti, David Cano Ortiz e Michele Ceraolo.

La pubblicazione si pone l’obiettivo di fornire – nell’ottica di una giusta transizione ambientale e sociale – un quadro delle possibili traiettorie di sviluppo produttivo, tecnologico e occupazionale nel nostro Paese sul fronte della mobilità e dei trasporti. In particolare, a partire dalla raccolta di un set di proposte su questi temi dalle organizzazioni aderenti all’Alleanza Clima Lavoro, il report delinea un Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile (di seguito PLVMS) per l’Italia che si articola in tre macro-categorie di intervento: stimoli alla domanda di auto elettriche e a favore di una just mobility; investimenti in infrastrutture di ricarica ed elettrificazione del Paese; sviluppo del trasporto pubblico locale.

Nel report si prevede che la realizzazione del Piano, con un costo di 13,5 miliardi di euro l’anno, sia finanziata dalla conversione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) che lo Stato destina annualmente al comparto dei trasporti in Sussidi Ambientalmente Favorevoli (SAF). Attraverso un ingente investimento sulle direttrici chiave del miglioramento del trasporto pubblico, dell’infrastrutturazione elettrica e del sistema di incentivi per la nuova mobilità elettrica destinati a famiglie e imprese, il PLVMS mira pertanto, da un lato, a dare un forte slancio alla nuova mobilità sostenibile e all’abbattimento delle emissioni inquinanti, e dall’altro a stimolare lo sviluppo sostenibile del Paese.

Il modello EUROGREEN

Per comprendere l’impatto del Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile su una serie di indicatori chiave, nel report viene utilizzato il modello EUROGREEN, che viene applicato anche per studiare i trend del settore automotive italiano. EUROGREEN si basa su un impianto di macro-simulazione dinamica che, attraverso l’elaborazione di analisi di scenario e un approccio integrato e olistico, consente di valutare l’impatto delle politiche e delle misure per la transizione.

In particolare, il modello è in grado di stimare gli effetti di tali politiche e misure sull’economia (PIL, debito pubblico, produttività, investimenti, modelli di consumo), sulla società (disuguaglianze salariali e di reddito, disoccupazione, polarizzazione nel mercato del lavoro) e, infine, sulle emissioni di gas serra. Dal punto di vista metodologico, EUROGREEN integra le strutture input-output e stock-flow, incorporando il cambiamento tecnico endogeno, la contabilità fisica dell’energia e delle risorse, oltre a caratteristiche demografiche.

Questo framework consente di analizzare i cambiamenti del mix energetico, i modelli di consumo e gli effetti delle politiche sociali e verdi sulle disuguaglianze di reddito, di genere e nei salari grazie a numerose eterogeneità. Inoltre, la presenza nel modello di una struttura input-output legata all’analisi delle relazioni interindustriali permette di valutare i cambiamenti settoriali in termini sia di valore aggiunto sia di occupazione, e quindi di produrre una stima dei settori produttivi nei quali si riscontra una prospettiva di crescita (o di riduzione) di posti di lavoro.

Tutti questi elementi sono essenziali per valutare la desiderabilità e la fattibilità di un Piano – come quello proposto appunto dall’Alleanza Clima Lavoro nel suo report – volto a realizzare una trasformazione della mobilità in Italia nel segno della sostenibilità ambientale e sociale: una trasformazione che è orientata da una prospettiva di creazione di posti di lavoro “verdi” e che si avvale al contempo di un’analisi attendibile dei cambiamenti nelle scelte di consumo (e di mobilità) delle famiglie legati all’implementazione del Piano.

Sulla base di questa metodologia del modello EUROGREEN, il report presenta i risultati di un’analisi di scenario per il periodo 2021-2050, mettendo a confronto uno scenario di riferimento – in cui, mostrando per così dire in controluce il peso dell’inazione, si assume che non siano introdotte politiche aggiuntive rispetto a quelle già presenti in Italia al 2023 – con due scenari alternativi: nel primo si prevede la totale eliminazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi per il settore dei trasporti, nel secondo si prevede la trasformazione di tali Sussidi in Sussidi Ambientalmente Favorevoli attraverso l’implementazione delle specifiche misure contenute nel PLVMS.

Tre scenari a confronto

Lo scenario di riferimento a politiche invariate è caratterizzato da una bassa crescita del PIL e della produttività del lavoro per l’intero periodo di simulazione, con un peggioramento significativo delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori non soltanto dal punto di vista dell’occupazione, ma anche delle variabili distributive, in particolare della disuguaglianza salariale (+40% circa nel periodo di simulazione). In altri termini, l’andamento negativo di queste variabili suggerisce in modo inequivocabile l’importanza di scelte molto più incisive – e radicalmente diverse – rispetto a quelle che sono stata adottare finora nel nostro paese sul fronte della transizione e della mobilità sostenibile.

D’altra parte, la bassa crescita e l’aumento dell’efficienza energetica legata alle politiche energetiche attualmente in vigore producono una marcata riduzione delle emissioni di gas serra, anche se largamente insufficiente rispetto agli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2050. Per quanto riguarda nello specifico l’andamento del settore automotive, i risultati dello scenario di riferimento mostrano inoltre una riduzione dell’occupazione di circa 50.000 unità, evidenziando quanto sia alto il costo dell’inazione e della mancanza di adeguate politiche e investimenti per una mobilità sia socialmente sia ambientalmente sostenibile.

Lo scenario analizzato nel report che prevede la rimozione dei 13,5 miliardi di euro destinati ogni anno al comparto dei trasporti mette in luce, da un lato, come la cancellazione dei SAD sia un passaggio indispensabile per ridurre la dipendenza della nostra economia e della mobilità in particolare dalle fonti fossili, ma dall’altro lato evidenzia un forte impatto dal punto di vista dell’aumento dei prezzi dell’energia nel breve periodo, con un conseguente, sensibile aumento della spesa per la mobilità e un impoverimento per le famiglie meno abbienti (come ci insegna anche la crisi energetica innescata dal conflitto russo-ucraino).

Inoltre, nel quadro legato all’eliminazione dei SAD, non solo si determina rispetto allo scenario di riferimento una riduzione del PIL pro capite (circa il 3%), ma si assiste anche a un forte calo occupazionale di 250mila unità nel 2030, dovuto principalmente all’effetto dell’aumento dei prezzi dell’energia che si trasmette agli altri settori dell’economia, impattando sulla domanda interna. A tutto ciò si accompagna peraltro un aumento della polarizzazione salariale. Il messaggio da cogliere, quindi, è che non siano sostenibili le politiche per la transizione che comportano costi sociali per i più fragili e che siano prive di una visione in grado di promuovere l’equità e la lotta alle disuguaglianze.

Al contrario l’ultimo scenario considerato, che prevede l’implementazione delle misure contenute nel PLVMS grazie alla riallocazione dei 13,5 miliardi di euro dei SAD per i trasporti, si fonda su tre linee di intervento strategico: la promozione della mobilità elettrica con incentivi per famiglie e imprese, la riduzione della mobilità privata attraverso una forte estensione del trasporto pubblico, l’investimento sull’infrastruttura al fine di rendere tecnicamente possibile la transizione verso la nuova mobilità elettrica. Nel complesso, i risultati dell’analisi di questo scenario evidenziano una decisa decarbonizzazione dei trasporti e un netto miglioramento di tutti gli indicatori socio-economici (dal PIL alle disuguaglianze salariali e di reddito) rispetto allo scenario di riferimento a politiche invariate.

In particolare, sul fronte della creazione di buoni posti di lavoro “verde”, alla fine del periodo di simulazione l’aumento degli occupati è di circa 700mila unità: un incremento che non si concentra tanto sull’automotive quanto sui settori dell’energia elettrica, del trasporto pubblico e in un secondo momento, per via della dinamica dei consumi, del commercio e dei servizi. Particolarmente significativo è anche l’impatto dell’implementazione del Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile sulle emissioni di gas a effetto serra, che nel 2050 si riducono di circa il 70% rispetto al 2021. Questo significa una diminuzione di emissioni di circa 30 milioni di tonnellate nel 2030 e di 55 milioni di tonnellate nel 2050.

Il lavoro della transizione

Il report dell’Alleanza Clima Lavoro valuta così l’impatto della rimozione dei sussidi ambientalmente dannosi per il settore dei trasporti in Italia, evidenziando come la loro trasformazione in sussidi ambientalmente favorevoli mediante l’implementazione del Piano per il lavoro verde e la mobilità sostenibile contribuisca in modo sostanziale al conseguimento del triplice obiettivo della decarbonizzazione, della creazione di posti di lavoro, della riduzione delle disuguaglianze. In questo quadro, la mobilità sostenibile e l’occupazione appaiono integrate e alleate nella definizione delle politiche per una giusta transizione ambientale e sociale, che non lasci indietro nessuno.

A tal proposito, dall’analisi degli scenari presi in considerazione nel report si evince che la transizione ecologica, se non adeguatamente governata e accompagnata da misure e strumenti adeguati, non è in grado tutelare automaticamente la condizione occupazionale e salariale dei lavoratori. Questo vale in particolare per il settore automotive; non a caso, nel report viene avanzata e avvalorata l’ipotesi di una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: si tratta di una soluzione che comporterebbe un costo del tutto marginale tanto per lo Stato quanto per le imprese, a fronte di un grande beneficio dal punto di vista della redistribuzione del lavoro e del miglioramento della condizione degli occupati.

Al di là dell’applicazione al caso specifico dell’automotive, questo esempio vale anche per tutti quei settori, a cominciare da quelli legati alla commercializzazione e alla trasformazione delle fonti di energia fossile, che con la transizione ecologica sono e saranno soggetti a una progressiva riduzione della produzione e dell’occupazione. Quelle di redistribuire il lavoro, di liberare tempo ai lavoratori e alle lavoratrici e di consentire la loro riqualificazione e ri-specializzazione dovrebbero essere le principali coordinate alla base delle politiche del lavoro per la transizione. Giusta transizione, allora, significa anche rimettere al centro il ruolo sociale del lavoro e promuovere un diritto al lavoro responsabile, che tolga le lavoratrici e i lavoratori dal ricatto occupazionale, soprattutto se si parla di un lavoro precario, mal pagato, inquinante.

Più in generale, e in conclusione, l’abbandono della dipendenza dalle fonti fossili da parte del nostro sistema produttivo implica un cambiamento strutturale dell’economia e, al contempo, una profonda trasformazione sociale e culturale, a partire appunto dal ruolo e la declinazione della centralità del lavoro. In quest’ottica, una cosa deve essere chiara: tentare di procrastinare, invece di accelerare, questo percorso oppure opporsi ad esso per mantenere lo status quo significa – di fatto – scegliere di sostenere un modello di sviluppo, come quello attuale, fondato sulle disuguaglianze, la disoccupazione, la devastazione ambientale e il peggioramento del clima, il deterioramento del nostro benessere.