Con la pandemia il consumo medio si riduce, quindi diminuiscono sia la soglia della povertà relativa sia il numero di poveri relativi ma il consumo di chi prima era di poco sopra la povertà assoluta si contrae e ciò provoca un aumento del numero di poveri assoluti. Da Eticaeconomia.
I dati sulla povertà in Italia nel 2020 pubblicati a giugno dall’Istat hanno, giustamente, ricevuto molta attenzione. In particolare ha molto colpito l’aumento della quota sia di famiglie sia dei bambini che vivono in povertà assoluta: tra il 2019 e il 2020 la prima è cresciuta dal 6,4 al 7,7%, la seconda è passata dall’11,4 al 13,5%. In realtà, questi due dati sono tra loro correlati per la semplice ragione che sono considerati poveri (assoluti) i bambini che vivono in famiglie povere (assolute) e il numero dei figli minori accresce il rischio che la famiglia sia povera.
L’Istat ha pubblicato anche i dati riferiti alla povertà relativa che, al contrario, segnalano una diminuzione piuttosto consistente della quota di famiglie che si trovano in questa condizione: dall’11,4 al 10,1%. Questo contraddittorio andamento di due indicatori riferiti allo stesso fenomeno (o, almeno, chiamato praticamente nello stesso modo) non sembra aver attirato altrettanta attenzione; qualora lo avesse fatto potrebbe lasciare quanto meno interdetto chi non conoscesse le modalità di costruzione dei due indicatori. In ogni caso, ed è quanto sosterremo, un simile, non inusuale, andamento contraddittorio associato alle debolezze di questi indicatori messi in evidenza dalla pandemia rende necessaria una rinnovata riflessione sulla misurazione della povertà.