Mezzo passo in avanti e due indietro, così si potrebbero commentare le dichiarazioni del ministro-ammiraglio Di Paola alle commissioni Difesa di Camera e Senato. Il mezzo passo in avanti è l’annuncio della riduzione delle Forze Armate di 30mila unità (dalle attuali 183mila).
Per farlo, questo mezzo passo in avanti il ministro-ammiraglio se la prende comoda: ha detto che ci vorranno 10 anni.Per mandare a casa gli operai della Irisbus e della Thyssen bastano poche ore, per ridurre il numero di generali e militari, due lustri. E poi in realtà, bisognerebbe ridurre almeno il doppio di quanto previsto da Di Paola. Le nostre Forze Armate potrebbero benissimo fare a meno di 60mila ufficiali e soldati, senza venir meno agli obblighi costituzionali (la “difesa della patria”) e agli impegni internazionali nelle missioni “di pace” (tra cui quella “di guerra” dell’Afghanistan). Tutto questo sarà accompagnato da una “legge delega” alquanto discutibile, perchè -su un tema così importante- riduce i poteri del Parlamento dando al governo il compito di dettagliare norme molto delicate e sensibili.
I due passi indietro sono il mantenimento del programma di produzione e acquisizione dei cacciabombardieri F35 (parzialmente ridotti di numero, da 131 a 90) e di un bilancio della difesa a livelli altissimi (cioè 21 miliardi di euro). I soldi risparmiati per il personale saranno investiti nel miglioramento dell’”efficienza” delle Forze Armate, cioè in nuovi sistemi d’arma sempre più costosi e inutili. E per gli F35 -se fossero 90 invece di 131- alla fine sempre più di 10 miliardi andremmo a spendere. In realtà quelle avanzate da Di Paola sono delle finte riduzioni: anche con questo numero più contenuto di F35 (e con la ventennale riduzione di un po’ di militari), le spese militari aumenterebbero -in termini reali- mediamente del 5-6% ogni anno, se includiamo tutte le spese, ed in particolare quelle per i sistemi d’arma e per le missioni all’estero che non sono contabilizzate nel bilancio della difesa.
Anche per questo è ormai patetica la lamentosa propaganda del ministro della difesa di turno (questa è la volta di Di Paola ) di un bilancio della difesa ridotto allo 0,9% del PIL (perchè non vengono considerate le spese che vengono sostenute da altri ministeri come quello dello sviluppo economico), quando dalla NATO al SIPRI (il prestigioso istituto svedese per il disarmo) ci dicono che le spese militari del nostro paese rappresentano l’1,4% del PIL, sostanzialmente in linea con la media europea. C’è poi chi – come il generale Tricarico, Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica – afferma che dagli F35 ci saranno benefici economici per oltre 13 miliardi di euro. Ma quando, dove? Parole e numeri in libertà. Magari -con sprezzo del ridicolo- Tricarico potrebbe proporre di costruire qualche altro centinaio di F35 in più per uscire dalla recessione e rilanciare l’economia. Generali ed ammiragli sembrano in realtà avere a cuore solo il loro interesse corporativo e particolare.
L’interesse generale del paese è invece un altro: ridurre la spesa militare per investire nel rilancio dell’economia; risparmiare 10 miliardi di euro degli F35 per potenziare gli ammortizzatori sociali per i disoccupati, per i precari e per salvaguardare i redditi delle pensioni minime e dei salari più bassi. Il paese non si salverà con i dottor Stranamore -che al massimo ci condurranno in qualche nuova avventura bellica- ma con le persone di buon senso (e speriamo che nel governo Monti qualcuna ancora ce ne sia) che sappiano usare bene la spesa pubblica contro questa crisi così drammatica. E’ anche per questo che è importante rilanciare la campagna contro gli F35 promossa da Sbilanciamoci, Rete Disarmo, Tavola per la pace, Unimondo con il costante e convinto sostegno del manifesto e promuovere il prossimo 25 febbraio in tutte le città d’Italia, manifestazioni e iniziative per chiedere lo stop agli F35 (per info: www.sbilanciamoci.org e www.disarmo.org). Quei 10 miliardi di euro si possono risparmiare e si può ridurre il debito pubblico, oppure con lo stesso importo si possono creare migliaia di posti di lavoro in imprese che si dedicano al riassetto idrogeologico del territorio, alla messa in sicurezza delle oltre 12mila scuole che non rispettano la 626, alla creazione di 4mila nuovi asilo nido pubblici. Si può rischiare il default per tanti motivi, ma non certo per dei cacciabombardieri e per far contenta la casta dei generali.
Questo articolo è uscito sul manifesto del 16 febbraio 2012