Il settore dell’Economia è tra quelli in cui più chiaramente si avvertono le contraddizioni e i limiti dei sistemi di valutazione della ricerca accademica in Italia. Il parere in materia di Luigi Pasinetti uno dei massimi esponenti mondiali del pensiero economico critico, intervistato da Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini. www.roars.it
Il settore dell’Economia è tra quelli in cui più chiaramente si avvertono le contraddizioni e i limiti dei sistemi di valutazione della ricerca accademica in Italia. Una scienza economica ancora fragile, che per evolvere necessiterebbe di apertura, pluralismo e confronto tra i diversi approcci, è oggi condizionata nel suo sviluppo da criteri di valutazione e di selezione delle leve accademiche in larga misura arbitrari e schiacciati su un unico paradigma, benché questo sia sottoposto a crescenti obiezioni epistemologiche, teoriche ed empiriche. Il parere in materia di Luigi Pasinetti uno dei massimi esponenti mondiali del pensiero economico critico, intervistato da Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini.
Intervista raccolta da Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini
Nel nostro paese le decisioni sulla qualità della ricerca, sulle abilitazioni scientifiche e sulle procedure concorsuali risultano dominate dalla zelante applicazione di contestati criteri di classificazione delle riviste, talvolta persino più restrittivi di quelli stilati dall’ANVUR. Il settore dell’Economia è uno di quelli in cui più forte si avverte la tendenza a valutare le pubblicazioni in base al ranking delle riviste piuttosto che al contenuto effettivo delle ricerche. In questo ambito, per giunta, si presenta un problema ulteriore: nelle classifiche vigenti sono fortemente discriminate quelle riviste che accettano approcci di ricerca alternativi al cosiddetto “mainstream”, la visione oggi prevalente in economia. L’ovvia conseguenza è che gli economisti, specie più giovani, sono indotti a reprimere i loro interessi verso i paradigmi scientifici alternativi pur di sopravvivere in accademia. Questo fatto è tanto più grave se si considera che quella economica è una scienza tutt’altro che pacificata, nella quale le analisi e le ricette suggerite in base al paradigma dominante trovano spesso riscontri empirici contrari e sono sottoposte a varie obiezioni epistemologiche e teoriche. Nel 2010 un manifesto per la libertà di pensiero economico, firmato da centinaia di economisti appartenenti a varie correnti di ricerca, provò a sollevare il problema, ma è finora rimasto lettera morta. Di questa situazione abbiamo avuto l’opportunità di discutere con Luigi Pasinetti, professore emerito di Analisi economica presso l’Università Cattolica di Milano. Esponente di punta di quel filone alternativo della ricerca economica talvolta definito “post-keynesiano” che si sviluppò a Cambridge negli anni Sessanta, Pasinetti è autore di numerosissimi articoli di frontiera nel campo della teoria della crescita, della distribuzione del reddito e dei cambiamenti strutturali dell’economia. I suoi celebri dibattiti con alcuni tra i massimi esponenti della teoria economica dominante – con Robert M. Solow, John Hicks, Paul Samuelson, Franco Modigliani, Joe Stiglitz, per citare solo quelli insigniti del Premio Nobel – hanno contribuito a individuare in essa rilevanti aporie e hanno oggettivamente modificato il sentiero di sviluppo della ricerca contemporanea. Il parere di Pasinetti sulla qualità della ricerca è importante anche perché nel 2006 egli fu membro del CIVR, il comitato di valutazione della ricerca antesignano dell’ANVUR, nel quale si trovò a fronteggiare le proposte di Guido Tabellini, ex rettore dell’Università Bocconi, che già all’epoca suggeriva di adottare meccanismi di giudizio basati sui rankings delle riviste [si veda anche qui].