Il Consiglio europeo ha stanziato 6 miliardi di euro per contrastare la disoccupazione giovanile. Ma se è vero che i giovani disoccupati nell’Ue sono circa 6 milioni, fanno circa 130 euro all’anno a ciascuno per sette anni
Un New Deal for Europe, un’iniziativa europea per la crescita e l’occupazione dei giovani, è l’ultima promessa dell’Unione europea, voluta da un’intesa franco-tedesca. Il progetto è stato presentato a Parigi, alla presenza dei ministri francesi e tedeschi del lavoro (Michel Sapin, Ursula von der Leyen) e dell’economia (Pierre Moscovici, Wolfgang Schäuble), sotto la presidenza di François Hollande, a cui si sono aggregati all’ultimo momento il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy e il ministro italiano Enrico Giovannini, oltre a varie personalità (tra cui Mario Monti). All’origine dell’incontro parigino che ha avuto luogo a Sciences-Po martedi’ 28 maggio, c’è il filantropo-miliardario tedesco-americano Nicolas Berggruen, e c’è da chiedersi il perché ci debba essere un privato all’origine di questa iniziativa europea, peraltro già più volte evocata, per esempio, dal Parlamento europeo.
Il problema è che l’Erasmus per tutti, l’Erasmus dell’alternanza concepito sul modello tedesco sembra ben poca cosa rispetto al dramma della cosiddetta lost generation. Il finanziamento resta di 6 miliardi di euro, già stanziati per il periodo 2014-2020 al Consiglio europeo dello scorso febbraio. I giovani di meno di 25 anni disoccupati nell’Unione europea sono 6 milioni (3,6 milioni nella zona euro), cosa che significa più o meno 130 euro a testa l’anno per sette anni, cioè poco più di 900 euro in tutto. Il piano si articola su tre punti: sostegno ai crediti alle imprese, soprattutto le piccole e medie (oggi tenute a secco dalle banche), adozione generalizzata del sistema tedesco di apprendistato in alternanza con la scuola e sviluppo della mobilità geografica anche per i giovani non universitari.
Visti i pochi soldi disponibili, pari allo 0,06% del Pil della Ue – mentre l’austerità solo nel 2013 significa tagli per 100 miliardi – i governi sperano nella Bei (Banca europea di investimenti), che potrebbe decuplicare questa cifra, e “mettere a disposizione 60 miliardi di euro di prestiti supplementari a tassi attraenti entro il 2015, una parte dei quali ha vocazione ad andare a favore della piccola e media impresa” hanno auspicato i ministri francesi e tedeschi. La Bei però frena. Chiede progetti concreti, iniziative chiare per il futuro. Il presidente della Bei, Werner Hoger, ha affermato che “le attese rispetto alla Bei vanno al di là del possibile”. Molti dei paesi che più soffrono della disoccupazione giovanile potrebbero per di più trovarsi con la bocca asciutta, visto che la Bei ha un rating AAA e deve fare attenzione a prestare in paesi con rating molto lontani dalla migliore votazione. È il caso di tutti i paesi del sud Europa, quelli dove il tasso di disoccupazione giovanile è più drammatico: mentre il tasso di disoccupazione è superiore al 20% in 18 paesi della Ue e in media del 24% nella zona euro, sale al 62,5% in Grecia, al 55,9% in Spagna, al 38,4% in Italia, al 38,3% in Portogallo, a cui si aggiunge l’Irlanda, con il 30,3%. In Francia la disoccupazione giovanile è al 26,5.
L’iniziativa, promossa dalla Germania, sembra fatta apposta per la Francia, unico paese che, pur avendo perso le tre A, resta ancora molto vicino alla massima notazione. Hollande ha ripreso ieri i termini dell’accordo dello scorso febbraio: bisogna dare “una garanzia per i giovani, che dopo quattro mesi dall’uscita dalla scuola devono vedersi proporre o un’offerta di lavoro, o un complemento di formazione, o un contratto da apprendista o uno stage”. Questo programma “bisogna tradurlo in pratica, c’è urgenza, i fondi esistono” ha insistito Hollande, che sull’occupazione si gioca la presidenza. Sull’occupazione giovanile verrà centrato il Consiglio europeo di fine giugno. Il 3 luglio, poi, a Berlino, ci sarà una conferenza europea sulla disoccupazione, presieduta da Angela Merkel, che sarà in piena campagna elettorale per le legislative di settembre e deve tagliare l’erba sotto i piedi all’Spd. L’idea di fondo è esportare nell’Europa del sud le ricette tedesche, dove la disoccupazione giovanile è intorno all’8%. La ricetta è fatta, secondo Ursula von der Leyen, di “partnership pubblico-privato”, per utilizzare meglio i fondi già stanziati attorno a tre poli: “permettere alle imprese un accesso a crediti a tassi di interesse bassi”, “rafforzare l’apprendistato nelle imprese” anche con un sistema di scambi tipo Erasmus per i non o poco qualificati, e “aiutare i giovani a creare la loro propria impresa”, incitandoli sul modello delle Junior-Firma tedesche.
La Germania resta un modello molto relativo: c’è una demografia declinante, i giovani sono pochi (in particolare rispetto alla Francia, che ha il record delle nascite in Europa), nel paese manca manodopera e per questo cerca di attirare forze vive da altrove. Dal 2005 a oggi, il numero dei giovani tra i 15 e i 24 anni è diminuito di 600mila persone, e questo spiega in parte il basso tasso di disoccupazione. La Germania, che si preoccupa della cattiva immagine in Europa del sud e della diffusione delle “Hitler bilder”, vuole mostrare un volto generoso. Alla Spagna, per esempio, ha proposto di accogliere ogni anno 5mila giovani spagnoli senza lavoro, per formarli. In Spagna l’iniziativa ha suscitato reazioni contrastate, poiché c’è chi vi vede un modo per sopperire a basso costo alla mancanza di manodopera del paese con la demografia declinante. Alla Spagna, ma anche al Portogallo, sono stati promessi aiuti alla piccola e media impresa, con crediti attraverso la Kfw, banca pubblica.
Le proposte franco-tedesche, che dovranno venire affinate al prossimo Consiglio europeo di giugno e all’incontro di Berlino a luglio, non sembrano per il momento molto incisive. Per ora, in tutti i paesi sono già state varate delle iniziative, poco soddisfacenti. In Francia, tra i giovani dai 15 ai 29 anni il 15% è “Neet” (not in education, employment or training). Per loro, oltre ai “contratti di generazione” (che dovrebbero servire a coniugare il mantenimento di un senior al lavoro con l’assunzione di un giovane), formula che tarda a decollare, Hollande ha messo in atto i “contratti d’avvenire” per i giovani di meno di 25 anni che non hanno un diploma di scuola secondaria superiore. L’obiettivo era di 100mila contratti quest’anno, ma per ora ne sono stati conclusi non più di 20mila (solo nel settore pubblico, adesso il governo pensa di estenderli al settore privato per rilanciarli): lo stato in questo caso paga il 75% dello smic (salario minimo) ma chiede contratti a tempo indeterminato (per ora solo il 5% del totale) o almeno a termine di più di un anno. La Spagna, dal settembre 2011, sta cercando di estendere l’apprendistato alla tedesca. Sono le regioni spagnole che trattano con le imprese che ottengono sgravi sui contributi, per l’assunzione, con contratto di tre anni, di giovani dai 15 ai 30 anni. Il giovane ha uno stipendio di 450 euro, i costi sono per i tre quarti a carico delle regioni. Anche in Grecia c’è un programma analogo: viene proposta una formazione di sei mesi a 400 euro al mese, su cui bisogna pagare le tasse. Il programma è destinato a chi ha il diploma della scuola secondaria o la laurea. Ma visto il numero di disoccupati (64% tra chi ha meno di 30 anni), la soluzione è stata di tirare a sorte tra le 126mila domande ricevute, per assegnare i 35mila posti previsti. In Portogallo dal luglio 2012 sono stati stanziati 344 milioni di euro per il programma Impulso Jovem: grosso modo si tratta di stage in impresa, con alla fine la consegna di un “passaporto lavoro”, per 419 euro al mese. Il programma è un fallimento: avrebbero dovuto parteciparvi almeno 900mila giovani, per ora ne hanno beneficiato meno di 1500 persone. Anche l’Irlanda, che fino a fine giugno ha la presidenza a rotazione dell’Unione europea, ha una disoccupazione giovanile intorno al 30%. Dublino, che ha fatto proposte per tutta la Ue, si è ispirata alla Gran Bretagna, alla Nuova Zelanda e all’Australia per mettere in atto stage, apprendistato, contratti a termine o formazione per i poco qualificati. Nei fatti, 130mila giovani irlandesi sono emigrati negli ultimi 4 anni. In Ungheria, sono soprattutto giovani i 230mila cittadini che vivono ormai all’estero, con un aumento dell’emigrazione, dovuta anche a ragioni politiche (a causa della politica reazionaria di Viktor Orban), del 61% tra il 2011 e il 2012.