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Lo stato di salute del Servizio sanitario nazionale

Si parla tanto di Green pass e terza dose ma poco di sanità territoriale e di rilancio del Ssn. Quando pro capite l’Italia spende la metà della Germania e in totale il 15% in meno rispetto alla media Ue. Lo dice il report di Associazione Salute Diritto fondamentale.

I prossimi mesi dovrebbero essere occupati da una riflessione e soprattutto da un impegno politico e culturale volti a difendere e rilanciare il ruolo imprescindibile della sanità pubblica. Ciò che infatti rischia di essere smarrita, nel tanto parlare di Green pass e di terza dose del vaccino, è la priorità di un’analisi critica sullo stato di salute del nostro Servizio sanitario nazionale (SSN). Strumento quest’ultimo che garantisce a tutti e tutte, indistintamente, la tutela della salute, a partire dall’assistenza territoriale e dalla prevenzione, volto a perseguire gli obiettivi di uguaglianza, universalismo, omogeneità territoriale, globalità delle cure. 

L’impressione è che, viceversa, le continue polemiche che occupano la scena quotidiana della comunicazione sull’estensione o meno del Green pass, oscurino la “vera partita” oggi in corso: il rilancio e la riqualificazione del sistema sanitario pubblico, la centralità di una concezione della salute non capitalizzata, la responsabilità pubblica della gestione della sanità, l’urgenza di una politica radicale che metta al centro il diritto alla salute, come diritto fondamentale e forma essenziale di giustizia sociale e liberazione umana.

Il SSN, è noto ma giova ribadirlo, venne istituito negli anni Settanta (legge 833/78) e fu l’effetto di quanto prodotto e agito in quel periodo storico, nel quale si diede vita a esperienze, sperimentazioni, pratiche di lotte, conflitti, elaborazioni teoriche che non hanno eguali nella storia dell’Italia repubblicana. Il SSN rispose a una visione unitaria della salute, fisica e psichica, individuale e collettiva, come fatto sociale e politico (sociale nella genesi e politico nella risoluzione). Esso fu sin da subito caratterizzato da un’impostazione integrata dell’intervento sanitario e di quello sociale, dalla centralità del momento preventivo e dell’approccio epidemiologico, da una organizzazione territoriale, da un impegno diffuso capace di investire le questioni legate alle condizioni di lavoro e alla tutela dell’ambiente. 

Rimettere al centro dell’attenzione i caratteri costitutivi e i principi ispiratori del SSN può allora aiutarci a comprendere le preoccupazioni di quanti sono intenti nel rafforzarlo e sottrarlo a pericolosi e sventati tentativi di drastico indebolimento. Negli ultimi tempi più segnali indicano che è sempre più vicino un disegno di privatizzazione della sanità italiana, incentrato sul rafforzamento del privato, dei meccanismi e delle logiche del mercato. Proprio contro questa deriva si è espressa l’Associazione Salute Diritto fondamentale, la quale ha promosso un documento critico delle attuali politiche sanitarie ed è impegnata a elaborare risposte che possano consentire di rafforzare il servizio sanitario pubblico.

Come si è reso evidente in questi lunghi e tragici mesi, il SSN è giunto impreparato ad affrontare il Covid-19: i limiti che si sono manifestati a fronte dell’impatto dell’emergenza sono derivati dal suo progressivo de-finanziamento, dai tagli dei posti letto e del personale, dallo spazio lasciato alla sanità privata, dall’indebolimento della medicina territoriale e dei servizi di prevenzione, che avevano invece informato la fisionomia dell’istituzione del SSN. A pesare nella vicenda della pandemia sono state le conseguenze di politiche di privatizzazione e mercificazione della sanità (e del welfare) effettuate negli ultimi decenni nel contesto della riorganizzazione neoliberale del capitalismo. 

Se consideriamo la spesa sanitaria pubblica, essa è di fatto rimasta ferma tra il 2017 e il 2020 a poco più del 6,5% del PIL, ben distante dai livelli di spesa di paesi come la Germania e la Francia. In termini pro capite il SSN spende la metà della Germania e la spesa sanitaria totale per abitante è del 15% in meno rispetto alla media UE. 

Calcolando la spesa in termini reali, al netto dell’inflazione, dopo un aumento in linea con gli altri paesi sino al 2009, le risorse pro capite per la sanità pubblica italiana nel 2018 sono cadute del 10%, mentre in Francia e in Germania sono aumentate del 20%. Questi dati fotografano l’entità della riduzione delle risorse pubbliche particolarmente grave in un paese ad alto invecchiamento della popolazione e un decisivo disinvestimento dalla sanità pubblica che si è palesato soprattutto in termini di riduzione dei servizi e del personale, con l’effetto di uno spostamento della domanda verso il mercato privato. 

Ma ancor più preoccupanti sono le previsioni di spesa in questo campo per i prossimi tempi, i quali mostrano, secondo quanto emerge dai documenti del governo, una riduzione continua dal 2022 al 2024 (6,7% nel 2022, 6,6% nel 2023 e addirittura 6,3% nel 2024). Un «pessimo segnale», come si afferma nel documento dell’Associazione Salute Diritto fondamentale, che indica come la cosiddetta lezione della pandemia non sia servita a rafforzare il SSN e anzi come la direzione intrapresa sia quella di una sua ulteriore penalizzazione, di contro all’espansione dell’offerta privata, «trainata anche dalla diffusione di varie forme di assicurazioni integrative e aziendali».

I segnali allarmanti che rischiano di indebolire ulteriormente il SSN non finiscono qui e nel documento dell’Associazione se ne individuano ben altri quattro.

Il primo riguarda il fronte del personale, già drasticamente ridotto nel numero dei medici, degli infermieri e in generale degli addetti alle professioni sanitarie. Allo stato attuale, dati i limiti previsti nella spesa corrente e nella mancata rimozione dei vincoli che limitano le assunzioni a tempo indeterminato, non si registrano inversioni di tendenza, mentre continua la fuga all’estero del personale sanitario italiano ed è carente la programmazione della formazione universitaria (negli ultimi dieci anni si contano 10 mila medici italiani migrati altrove). È bene ricordare a questo proposito che tra gli elementi di criticità della sanità italiana degli ultimi anni, palesatisi proprio durante l’emergenza sanitaria, vi sono oltre il menzionato sotto-finanziamento della spesa sanitaria: diseguaglianze nell’accesso ai servizi (sia in termini territoriali, sia sociali); un fortissimo carico di lavoro che grava sulle spalle degli operatori sanitari (poco gratificati in termini di remunerazione e condizioni di svolgimento della propria professione); un’alta quota di risorse economiche assorbite dalla sanità privata (significativo è anche l’aumento della compartecipazione degli utenti ai costi delle prestazioni). Elementi questi che dovrebbero essere subito affrontati in un’agenda di rinnovamento della sanità pubblica.

Il secondo indizio concerne la lentezza nella ripresa dell’attività ordinaria, con il rischio che i cittadini si rivolgano sempre più al privato – che avendo partecipato solo marginalmente alle attività emergenziali non richiede riorganizzazione e ristrutturazione –, evitando le strutture pubbliche in affanno. Qui si nasconde uno dei pericoli più gravi, altrettanto presente rispetto alla destinazione delle risorse del PNRR. I 500 milioni stanziati per smaltire le liste di attesa e i fondi del Piano per l’assistenza domiciliare integrata rischiano infatti di essere destinati ad erogatori privati, anziché «rafforzare la presa in carico globale e integrata da parte dei servizi pubblici». Con il risultato che mentre va indebolendosi l’offerta pubblica, aumenta il potere di mercato di molti soggetti privati.

Un’ulteriore spia allarmante proviene dalle proposte di riforma per aumentare la concorrenza nel settore, avanzate al Governo dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel marzo scorso, le quali sollecitano maggiore apertura “all’accesso delle strutture private all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate” e l’eliminazione del “vincolo della verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari”. 

Su tutto, ciò che rischia di imporsi con grande rapidità e nel vuoto della politica, di una cultura politica capace di opporsi a concezioni privatistiche, è il modello sanitario lombardo. Un modello che da anni ha cancellato la rete dei servizi territoriali pubblici e ha messo in campo una concorrenza tra pubblico e privato sleale, squilibrata e a favore di quest’ultimo. 

Proprio alla vigilia della legge di bilancio 2022 e delle annunciate misure sulla concorrenza, si rende più che mai necessario «correggere questi indizi» – afferma l’Associazione. Serve rilanciare mobilitazioni per la tutela e la promozione universale della salute, individuale e collettiva; porre al centro dell’attenzione pubblica e dell’agenda politica il ruolo imprescindibile della sanità pubblica.

Il rilancio di un servizio sanitario pubblico, universalista, egualitario, senza discriminazioni di accesso e finanziato dalla fiscalità generale dovrebbe collocarsi in una più ampia espansione di tutti quei servizi collettivi di welfare che sono stati colpiti o riconfigurati in funzione del profitto dalle politiche neoliberali, ma che rimangono terreni cruciali per una combinazione delle lotte. Un rilancio e una riqualificazione legati alla rimessa in campo del principio dell’integrazione socio-sanitaria, a una programmazione nazionale dei servizi coordinata a livello regionale, e soprattutto al più complessivo ruolo della politica (una politica del cambiamento) nella promozione del benessere, di istanze di égaliberté, nella riscrittura universale e democratica del welfare.

Questo articolo è uscito in forma ridotta su “Il Manifesto”, 15 settembre 2021 e in forma estesa anche su Crs

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