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L’Italia si unisce alla battaglia per la web tax

La web tax, e cioè la tassa sui servizi digitali, arriva anche in Italia con la manovra per il 2020. Nel 2018 si prevedeva un gettito di 160 milioni di euro. Da Internazionale.it

Forse è la volta buona. Dopo un primo tentativo fatto dal governo guidato da Paolo Gentiloni e uno durante la prima legislatura di Conte, la web tax, e cioè la tassa sui servizi digitali, arriva anche in Italia con la manovra per il 2020. La legge di bilancio del 2018 prevedeva un gettito di 160 milioni per il 2019, ma quei soldi non sono mai arrivati perché i decreti attuativi non sono stati varati. Stavolta, per accelerare i tempi e mettere al sicuro i 600 milioni previsti per il 2020, sarà forse copiata la web tax francese, varata lo scorso luglio.

Intanto, anche al livello internazionale qualcosa si muove. Dopo anni di discussioni e blocchi – e sotto la spinta unilaterale di alcuni paesi europei – il 17 ottobre l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) presenta una sua proposta al G20 e si impegna a trovare una soluzione condivisa entro il 2020.

Nell’attesa, lo scontro è cominciato proprio in Francia. Dopo la legge che impone una tassa del 3 per cento sui ricavi delle grandi piattaforme digitali, Amazon ha subito annunciato che aumenterà la commissione a carico delle piccole e medie imprese francesi del 3 per cento. E non è tutto. Durante le audizioni all’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti le aziende tecnologiche hanno alzato il tiro: non si tratta solo del caso francese, ha detto Jennifer McCloskey – vicepresidente dell’Information technology industry council, lobby dell’industria digitale – ma “di prevenire un’escalation di iniziative unilaterali”. I gruppi di pressione chiedono l’aiuto del governo statunitense e una soluzione in sede Ocse.

La breccia francese
Anche il governo francese, dopo le proteste e le minacce di Trump, ha ribadito di preferire una soluzione globale. Nell’attesa, però, Parigi ha già cominciato ad attuare la sua legge, basata sullo stesso principio proposto – ma non attuato, viste le opposizioni di Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo, Cipro e Malta – dalla Commissione europea: spostare il cuore della tassazione dai profitti ai ricavi, più facilmente localizzabili. Una mossa che aprirebbe una breccia considerata pericolosissima da chi, come testimonia uno studio sull’uso dei paradisi fiscali nell’epoca dell’economia digitale, nasconde quasi totalmente i propri guadagni al sistema tributario mondiale.

L’obiettivo della tassa francese, entrata in vigore a ottobre, è un prelievo del 3 per cento sui ricavi lordi provenienti da alcuni servizi digitali forniti ai cittadini francesi.

Di che servizi si tratta? Di quelli offerti da aziende come Amazon o Airbnb, da motori di ricerca e aggregatori come Google, da social network e app come Facebook, WhatsApp, Instagram, eccetera. Il provvedimento si applica solo alle aziende che hanno un fatturato superiore ai 750 milioni nel mondo e ai 25 milioni in Francia. E quindi ai grandi colossi, come lascia intendere il nome Gafa taxe, che sta per Google + Amazon + Facebook + Apple.

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