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L’industria dell’auto in sette punti

L’affermazione dell’auto elettrica e l’avanzamento a grandi passi di quella a guida autonoma hanno stravolto nel volgere di pochi anni la geografia industriale e tecnologica del settore auto, con il primato dei produttori cinesi e dei mercati asiatici. Sette punti per capire cosa sta accadendo.

Il settore automobilistico è spesso al centro della cronaca, l’interesse del pubblico sul tema è sempre piuttosto elevato. Nell’ultimo periodo hanno colpito in particolare le vicende dei potenziali dazi di Trump sulle vetture europee, poi i problemi di Stellantis con l’estromissione dell’amministratore delegato Carlos Tavares e la notizia dei cattivi risultati dell’esercizio 2024, infine le modifiche alle norme di Bruxelles sui traguardi dei prossimi anni relativi alle vetture elettriche. 

Bisogna dire che la situazione e le prospettive dell’industria dell’auto e della relativa componentistica sono rappresentate piuttosto confusamente sui media, e che questa confusione appare per molti aspetti alimentata da alcuni governi, tra i quali spicca certamente il nostro, nonché da alcuni gruppi di interesse presenti nel settore e nel vicino campo delle imprese petrolifere, con diversi esecutivi molto permeabili alle loro istanze. I media fungono da facile cassa di risonanza rispetto ad esse, alimentando appunto la confusione.

Con queste note cerchiamo quindi di individuare un possibile quadro realistico del settore – che sino è stato un traino per l’industria e almeno in parte per l’intera economia – analizzandolo in sette punti principali. 

1. Il settore dell’auto è in continuo movimento

Il peso delle varie aree nel tempo cambia fortemente

Nel 1953 si producevano nel mondo 8,1 milioni di vetture, mentre il ritmo di crescita successivo è documentato dal fatto che nel 1980 eravamo già a 29 milioni di unità, con un valore pari quasi a quattro volte quello precedente. Nell’anno 2000 si sono raggiunti i 58,4 milioni di veicoli e nel 2018 i 93,5 milioni. Dopo la parentesi del Covid (nel 2020 la produzione è scesa a 77,6 milioni), nel 2023 siamo di nuovo a 93,5 milioni (fonte: OICA), mentre S&P Global stima la produzione del 2024 in 89,1 milioni. Da rilevare che le cifre comprendono auto, veicoli commerciali e industriali, autobus, camion.

I luoghi dell’auto cambiano velocemente e nettamente nel tempo. Nel secondo dopoguerra, ad una primitiva dominazione del mercato Usa e dei suoi produttori (nel 1953 nell’America settentrionale si fabbricava circa l’80% dell’intera produzione mondiale e in Europa occidentale il 18% circa), si è aggiunto un grande sviluppo del mercato europeo, con i produttori tedeschi dominanti per quantità, qualità e profitti, e gli altri Paesi – Gran Bretagna, Francia, Italia – comunque presenti in maniera importante. A questo gruppo si è poi aggregato anche il Giappone. Già nel 1980 il quadro era dunque molto cambiato: l’America settentrionale produceva ormai “solo” il 49% del totale, l’Europa occidentale il 42%, il Giappone il 3,4%, l’Europa orientale il 2,3%, l’America Latina il’1,3%.

Nel 2000 assistiamo a un nuovo mutamento. L’America del Nord si ridimensiona ancora, contando ormai per il 30,3% del totale, l’Europa complessivamente scende al 32,2%, anch’essa in notevole arretramento, mentre avanzano l’Asia con il 30,5% (il Giappone al 17,3%, la Cina al 3,5%, la Corea del Sud al 3,1%) e, timidamente, l’America Latina con il 3,4%. Nel 2023, altro profondo cambiamento di scena. L’Asia domina ormai con il 62,5% del totale (Cina da sola al 32,1%, Giappone al 9,6%, mentre avanza l’India), all’Europa resta il 13,7%, all’America del Nord il 16,1%; tutto il resto vale poco più del 7%, anche se c’è da segnalare una crescita di qualche rilievo di diversi Paesi del Sud del mondo, crescita che presumibilmente si farà più sostenuta nei prossimi anni, ma che vedrà comunque un’importante quota di produzione controllata delle case cinesi. 

Cambiano anche le aree degli insediamenti 

Nel corso del tempo sono cambiati anche i luoghi della produzione all’interno dei vari Paesi e continenti. Negli Stati Uniti, all’iniziale dominio di Detroit è gradualmente succeduto uno spostamento degli stabilimenti verso il Sud del Paese, alla ricerca di costi più bassi e di una minore pressione sindacale. La stessa cosa è accaduta in Europa dove, sempre alla ricerca di un più basso costo del lavoro, la produzione di auto si è spostata sempre più a est e verso la Spagna, con quest’ultimo Paese che occupa oggi il secondo posto, dopo la Germania, rispetto ai livelli di produzione.

Ora, in Europa il problema non è più tanto o solo dove insediare le nuove fabbriche, quanto, semmai, dove chiuderle. Da questo punto di vista Germania, Francia, Italia si trovano tutte di fronte a stabilimenti che non girano più, nell’auto come nella componentistica. Parallelamente, il numero dei posti di lavoro continua a calare. In controtendenza, si assiste a un forte incremento degli investimenti diretti cinesi, in tutto il mondo e quindi anche in Europa. In questo momento ci sono almeno una ventina di progetti di imprese del Paese asiatico attivi in tutti i continenti nella produzione di auto e in quella di batterie.

Le prime 10 case auto (di cui 6 asiatiche) e le potenziali “zombie”

Secondo i dati relativi al 2024, Toyota mantiene il primo posto tra i produttori auto, con 10,8 milioni di vetture, seguita a distanza da Volkswagen con 9 milioni e poi da Stellantis con 6,2 milioni. La novità della classifica è l’inserimento di tre produttori cinesi – Saic, Byd e Geely – nei primi dieci posti. Da rilevare il predominio dei marchi asiatici, con sei posizioni su dieci, mentre sorprende la perdita di velocità dei produttori Usa. 

Vista la dinamica del settore, i rilevanti mutamenti tecnologici in atto, le grandi risorse finanziarie necessarie per competere, si può prevedere che nei prossimi anni diverse imprese dell’automotive finiranno per sparire o per essere assorbite da altre più forti. In questo contesto, è in atto una dura selezione in Cina, dove sono rimaste in piedi una ventina di imprese, che presumibilmente si ridurranno presto a meno della metà. In Giappone, gruppi come Nissan, Mitsubishi, Subaru, Suzuki, Mazda, potrebbero non riuscire ancora a lungo a camminare da soli: sono prevedibili fusioni tra loro essendo molto difficile per un’impresa straniera assorbirne una locale, dato il contesto culturale e istituzionale, come ha mostrato a suo tempo il caso Renault-Nissan. 

In Europa, chi presenta maggiori problemi sembra essere proprio Stellantis, che più ci interessa per la sua presenza produttiva nel nostro Paese: il gruppo è assente dall’Asia, nonché piuttosto in ritardo sulle nuove tecnologie, troppo esposto in Europa, carente nel rinnovamento dei modelli, mentre Renault potrebbe riuscire a mantenersi semi-autonoma grazie al fitto intreccio di accordi con le imprese cinesi. 

2. La Cina è e rimarrà il Paese dominante nel settore

Sino a non molto tempo fa i produttori stranieri – tedeschi, giapponesi, coreani, statunitensi – avevano una presenza dominante in un mercato come quello cinese in forte crescita. Poi tutto è cambiato. In particolare, con lo sviluppo dell’elettrico i produttori del Paese asiatico hanno preso in mano la situazione e quelli stranieri si sono ritrovati in grandi difficoltà. La vittoria cinese si spiega con una pianificazione di lungo termine degli interventi, con il controllo dell’intera filiera – dalle materie prime critiche alle batterie, dalla produzione delle vetture al riciclaggio –, con le grandi economie di scala, con l’avanzata automazione degli impianti, con la rapidità di decisione ed esecuzione.

È in virtù di tutto ciò che le quote di mercato dei vari produttori tra il 2019 e il 2024 sono fortemente mutate: quelle di Byd sono aumentate di 12 punti, mentre almeno altri cinque produttori cinesi hanno guadagnato all’incirca un paio di punti ciascuno e qualcosa ha guadagnato anche Tesla, unico marchio straniero. Hanno perso invece tutti gli altri produttori stranieri: ad esempio, Volkswagen ha registrato circa 6 punti in meno, più di 4 in meno General Motors, quasi 4 in meno Nissan, e così via (Fonte: Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2025). I produttori tedeschi, partendo da una posizione locale quasi dominante con il 25% del mercato cinese soltanto l’anno prima della pandemia, detengono adesso una quota marginale nel mercato dell’elettrico (3% sulle vetture elettriche prodotte localmente); Mercedes ha venduto in Cina nel 2024 soltanto 16.000 vetture elettriche. I produttori tedeschi perdono posizioni anche sui veicoli a propulsione termica.

Nel 2023 la Cina è diventato il primo Paese esportatore di auto, soppiantando il Giappone. Nel 2024 ha venduto nel mondo 5,9 milioni di veicoli (fonte: CAAM), con un rilevante aumento rispetto all’anno precedente (+19,3%), mentre si prevede che la crescita continuerà anche nell’anno in corso: ci sono già i primi segnali in proposito. La spinta all’esportazione, che si sta sviluppando parallelamente a una forte dinamica di insediamenti produttivi in tutti i continenti, è motivata dalla naturale tendenza alla crescita delle imprese del settore, che mirano a occupare tra pochi anni i primi posti nella classifica mondiale, così come dalla forte concorrenza interna che tende a ridurre i margini di profitto, dal livello di utilizzo della capacità produttiva e dai dazi imposti nei Paesi occidentali. 

Per quanto riguarda i Paesi in cui si materializza tale spinta dell’export cinese, dal momento che il mercato statunitense è chiuso per la presenza di dazi del 100% ed è in parte frenato anche in Europa a causa dei dazi, gli sbocchi principali tendono a collocarsi nel Sud globale, dove Paesi come Giappone, Corea del Sud e India presentato prospettive limitate. Quindi la marcia si fa molto pressante in Asia, Medio Oriente, Africa, America Latina, anche se nel 2023 e 2024 il principale Paese di sbocco è stata la Russia.

3. L’auto elettrica ha vinto e avanza anche quella a guida autonoma

La vittoria delle vetture a propulsione elettrica appare ormai inevitabile. A suo favore giocano evidentemente le preoccupazioni ambientali, e questo dovrebbe già bastare. In Norvegia, dove oramai in pratica si vendono soltanto auto elettriche, l’aria nelle città è tornata a essere pulita. Inoltre, bisogna anche considerare che le vetture elettriche, che presentano ancora qualche difficoltà, stanno diventando sempre meno care, con le batterie che scendono di prezzo, mentre i punti e i tempi di ricarica migliorano continuamente; la guida è sostanzialmente silenziosa, fluida e rapida. Certo, l’impoverimento delle classi medie in Occidente ostacola la vendita di tali vetture.

Attualmente le vetture ibride stanno riscontrando un grande successo, ma questa tendenza dovrebbe avere vita breve con i progressi dell’elettrico. Per vedere le auto del futuro basta rivolgersi a quelle cinesi: la produzione di veicoli elettrici nel Paese asiatico nel 2024 ha rappresentato circa i due terzi di quella mondiale, con alta qualità, basso prezzo, migliori prestazioni. In Cina sta andando avanti al contempo la costruzione di infrastrutture adeguate e di strade “intelligenti”.

Contro l’affermazione dell’auto elettrica lavorano da anni le lobbies del fossile e le forze politiche sensibili ai loro messaggi, che hanno convinto larghi strati della popolazione dei Paesi occidentali che le vetture elettriche sono piene di difetti. Ma tutte le principali case del mondo stanno effettuando enormi investimenti nel settore per la transizione elettrica ed è sostanzialmente impossibile tornare indietro. 

Il settore delle batterie è anch’esso una specialità asiatica

Le batterie sono cruciali per la vettura elettrica e per quella a guida autonoma. Lo sforzo in atto da tempo è quello di ridurne il costo anche attraverso l’evoluzione tecnologica, nonché di aumentare la durata e abbassare i tempi delle ricariche. Il costo della batteria su quello totale di una vettura, che sino a poco tempo fa si aggirava intorno al 40%, si colloca ormai al 30-35% e tende a scendere ancora. La novità principale nel settore è rappresentata dall’introduzione, preannunciata dalla cinese Byd per il 2027, di batterie allo stato solido, che rappresenteranno un significativo passo in avanti. In effetti questi prototipi racchiudono maggiore energia in uno spazio più piccolo e sono quindi più leggere, con maggiore velocità di ricarica, più sicure e più economiche.

La capacità installata di batterie nel mondo ha raggiunto nel 2023 i 45 GW, con una forte crescita rispetto all’anno precedente, mentre si prevede che nel 2025 si arriverà ai 60 GW. Tra i primi dieci produttori di batterie sei sono cinesi e controllano il 67,1% della produzione mondiale, con una tendenza alla crescita, mentre i tre produttori coreani raggiungono insieme il 18,4%, con una perdita nell’anno di cinque punti percentuali. Catl si conferma al primo posto nella classifica delle imprese con il 37,9%, Byd al secondo con il 17,2%: insieme controllano ormai così il 55,1% del totale. La presenza dei produttori europei è sostanzialmente nulla; si vanno sviluppando iniziative in tal senso nel nostro continente, ma che puntano ancora sulle tecnologie tradizionali agli ioni di litio, mentre le case cinesi stanno aprendo degli insediamenti anche nel nostro continente. Cifre ancora più rilevanti a favore della Cina si rilevano nel settore dell’estrazione e della lavorazione dei metalli rari presenti nelle batterie. 

La vettura a guida autonoma avanza tranquilla

Mentre ci si accapiglia sulla vettura elettrica, stanno andando avanti in Cina e almeno in parte anche negli Stati Uniti le operazioni sul fronte dello sviluppo della vettura, oltre che elettrica, a guida autonoma. In una ventina di città cinesi si stanno sperimentando da anni tali veicoli, che possono circolare nel Paese per ormai 30.000 chilometri di strade autorizzate; al contempo sono state concesse licenze di circolazione per 60.000 vetture. Byd sta già introducendo nelle sue auto in vendita sul mercato e senza sovrapprezzi i programmi di guida autonoma di livello inferiore, e Tesla cerca di avanzare nel settore. Un’analisi di Baidu mostra che il loro sistema di guida autonoma è 10 volte più sicuro dei conducenti umani per quanto riguarda gli incidenti stradali e il numero di morti e feriti.

4. Le difficoltà dell’auto come paradigma della crisi europea

L’auto europea in crisi

Per molti decenni l’industria dell’auto ha rappresentato la struttura portante dell’industria e della stessa economia dei Paesi dell’Unione europea. Qualche tempo fa una stima parlava di 14 milioni di occupati diretti e indiretti nel settore. Il settore rappresenta ancora oggi circa il 7-8% del Pil continentale e contribuisce al 30% delle spese in Ricerca&Sviluppo. Come è noto il settore è oggi in gravi difficoltà, per almeno quattro ragioni: la crisi di vendite nella Ue, l’avvento dell’auto elettrica con i relativi mutamenti di tecnologia (tema sul quale le case europee sono in forte ritardo), la concorrenza cinese in Cina e nel mondo, e infine i dazi di Trump.

Concentriamo la nostra attenzione sulle case tedesche. I produttori del Paese teutonico erano all’avanguardia a livello globale per la raffinatezza e la sofisticazione delle tecnologie meccaniche delle vetture, cosa che faceva guadagnare loro una elevata reputazione, un dominio nella fascia alta del mercato e alti margini di profitto. Ma con l’avvento dell’auto elettrica tali competenze peseranno molto di meno e ciò si aggraverà ulteriormente con l’arrivo di quella a guida autonoma. Ora, in effetti la batteria rappresenta almeno il 30-35% del costo di una vettura, mentre il software all’incirca il 40%: resta poco per tutto il resto.

D’altro canto, i produttori tedeschi si erano introdotti fortemente nel mercato cinese, da dove traevano una parte consistente delle vendite, della produzione, delle esportazioni e ancora di più dei profitti. Ma ora – come abbiamo visto – i produttori locali hanno preso il sopravvento e le vendite delle case tedesche si riducono fortemente, anche nei settori a maggiore valore aggiunto: emblematico in questi mesi il caso della Porsche, le cui vendite nel Paese asiatico stanno crollando. 

Ancora peggiore appare la situazione di altri produttori come Stellantis, che non è praticamente presente in Asia, un continente in cui si concentra attualmente più del 62% del mercato. Si aggiunga inoltre che i produttori europei sono piuttosto indietro nelle tecnologie dell’elettrico e in quelle della guida autonoma rispetto alle case cinesi e alla statunitense Tesla.

Anche la componentistica auto è in grave affanno in Europa

Il settore della componentistica auto soffre molto a causa delle trasformazioni in corso: il passaggio all’elettrico comporta una forte riduzione del numero dei componenti presenti in una vettura, mentre con l’avvento della motorizzazione elettrica cambiano in gran parte le produzioni e le tecnologie richieste. 

Tutto ciò avviene mentre in Europa il mercato auto è in crisi (nel 2024 rispetto al 2019 si registrano 3 milioni di vetture vendute in meno e il mercato Ue è l’unico che non è ancora ritornato ai livelli pre-Covid) e la concorrenza cinese aumenta. Così, dal 2020 al 2023 si sono persi 56mila posti di lavoro nel settore e altre decine di migliaia si sono volatilizzati nel 2024. Mentre i grandi gruppi del settore si ristrutturano diversificandosi grazie alla loro forza finanziaria, i più piccoli soffrono.

In Italia nel 2023 avevamo 2.135 imprese, con circa 170.000 addetti. Secondo Anfia, il 55% di esse vede un calo del fatturato, mentre questo cresce soltanto per il 23% delle stesse. Venticinquemila posti di lavoro sono a rischio nel settore. Pesa, oltre al cambio di tecnologia e alla riduzione del mercato, anche la crisi dell’auto tedesca, mercato in cui i componentisti italiani sono fortemente presenti e che rappresenta la gran parte delle loro esportazioni.

La crisi generale dell’industria

La difficoltà dell’auto nell’Unione europea è come la punta dell’iceberg della crisi industriale che va attanagliando sempre di più il nostro continente. L’industria perde colpi e più in generale l’economia sfigura fortemente rispetto agli Stati Uniti per quanto riguarda la dinamica negli ultimi decenni. L’auto è ancora oggi il settore più importante in Europa, ma sono in difficoltà anche la chimica, sempre più appesantita dagli alti costi dell’energia e dal fatto che la gran parte del mercato si trova ormai in Cina e negli Stati Uniti e in Europa ne resta circa il 10%, nonché la meccanica, anch’essa colpita dalla crescente concorrenza cinese. 

Si tratta dei tre assi portanti tradizionali dell’economia del continente. Ma non sono in crisi soltanto i settori storici. Il punto è che in quelli a tecnologia avanzata gli europei sono solo marginalmente presenti e la scena è occupata da Cina e Stati Uniti. Ora, l’exploit della cinese DeepSeek mostra che non è soltanto una questione di mancanza di risorse finanziarie a frenare l’economia del continente europeo.

Le fallimentari politiche dell’Unione europea

A contribuire alla débacle dell’industria concorrono vari fattori. Sino a non molto tempo fa a Bruxelles non si poteva neanche pronunciare l’espressione “politica industriale”, poi nella capitale belga, sotto l’incalzare degli eventi, si è deciso di fare qualcosa, ma troppo poco e troppo tardi. In questo contesto è stato certamente corretto fissare dei paletti per ridurre l’inquinamento e contrastare il cambiamento climatico, in particolare con la barriera del 2035 come ultimo anno per la produzione di auto a combustione fossile. Tale scadenza è però contestata duramente da varie parti, a partire dal governo italiano, mentre le imprese l’hanno sostanzialmente accettata e hanno investito in essa. Alla fine, a inizio marzo del 2025, la Commissione europea ha allentato gli obblighi almeno di breve termine per le varie case, mentre, almeno per il momento, sembra mantenere il traguardo finale del 2035. 

Poi, dietro pressioni statunitensi, l’Unione europea ha posto alti dazi alle vetture cinesi, e sta cercando di ostacolare in vari modi i prodotti e le imprese del Paese asiatico. Al contrario, avrebbe dovuto accogliere a braccia aperte un’iniziativa che contribuiva a combattere il cambiamento climatico. Adesso, con le minacce di Trump di tassare al 25% anche le esportazioni di auto europee negli Usa, il nostro continente si trova a combattere su due fronti: un’impresa titanica. D’altro canto, chi di spada ferisce di spada perisce. Ne soffriranno in particolare i produttori tedeschi.

5. Se non puoi batterli, unisciti a loro

Lo scenario economico e politico internazionale appare complicato; le case dell’auto si devono barcamenare tra le esigenze del mercato cinese che va rapidamente verso l’elettrico e quello statunitense che invece cerca di remare in senso opposto. Il mercato europeo, che sembrava andare anch’esso decisamente verso l’elettrico, è ora soggetto a possibili ripensamenti. In ogni caso gli accordi tra le case occidentali, in particolare europee, e quelle cinesi si vanno moltiplicando in ragione della volontà delle prime di riuscire a reggere meglio la concorrenza sul mercato. Ci limitiamo a ricordare soltanto alcuni casi.

Renault sta cercando di portare avanti diversi accordi con la cinese Geely. Infatti, è del 2023 la creazione della joint venture per il settore delle produzioni tradizionali, Horse, per la fabbricazione di motori termici e ibridi. È seguito un primo accordo in Corea del Sud dove Renault produrrà anche per conto di Geely e un secondo per la presa di una partecipazione di minoranza da parte della casa cinese nella filiale Renault brasiliana. Più in generale, in America Latina si stanno mettendo in comune tecnologie, modelli, fabbriche e reti di distribuzione. La casa francese sembra così essere quella che sta tentando di portare avanti con più convinzione i rapporti con i cinesi. Nel frattempo va avanti il progetto della Twingo elettrica, concepito per la gran parte proprio in Cina.

Stellantis, che come ricordavamo è assente dal mercato asiatico che oggi rappresenta più del 60% di quello mondiale, ha fatto un accordo con Dongfeng per la produzione e distribuzione di auto cinesi in Europa. Inoltre ha acquisito il 21% del capitale di un’altra società del Paese asiatico, la Leapmotor, con un esborso di 1,5 miliardi di euro. Infine, ha sottoscritto un accordo con Catl per la costruzione in comune di una fabbrica di batterie in Spagna, con un investimento di 4,1 miliardi di dollari. Volkswagen ha concluso un accordo sempre con Catl per lo sviluppo in Cina di batterie a costi ridotti, mentre si prevede anche un’iniziativa comune nelle batterie sostitutive e nel loro riciclaggio. Anche BMW sta collaborando con imprese cinesi del settore per la produzione in massa di batterie in Cina.

Daimler ha come primi azionisti due gruppi cinesi, Geely e Saic, che insieme controllano circa il 20% del capitale della casa tedesca. Inoltre, già diversi anni fa ha ceduto il 50% delle attività della Smart a Geely e ha altri accordi per la produzione di propulsori e batterie nel Paese asiatico. Infine, Byd ha preso l’iniziativa di incontrare i componentisti italiani per stringere eventuali rapporti di affari. C’è molto interesse da parte di questi ultimi.

6. La situazione italiana è tragicomica

In Italia la punta massima di produzione di auto si è avuta nel 1973, quando ne furono prodotte 1.823 mila unità; nel 1981 eravamo già scesi a 1.280 mila. Da allora permane la tendenza alla riduzione, anche se con oscillazioni. Nel 2012 eravamo a 671 mila vetture e nel 2013 a 658 mila, mentre eravamo risaliti a 1.060 mila nel 2018 per poi scendere di nuovo a poco meno di 800 mila nei tre anni successivi. Nel 2023 si è raggiunta quota 880 mila nel 2023, per poi crollare nel 2024: in questo ultimo anno la produzione è scesa a meno di 500 mila in totale e quella delle sole auto intorno alle 300 mila unità.

In questa débacle pesano certo la riduzione di vendite nel nostro Paese e in Europa, le scelte sbagliate del gruppo Stellantis, la scarsa innovazione dei modelli, l’iniziale rifiuto dell’elettrico, la delocalizzazione produttiva verso Paesi a più basso costo della manodopera, nonché i processi di automazione. L’occupazione è parallelamente e fortemente caduta nel tempo. Nel 2014 avevamo ancora 40.000 addetti negli stabilimenti italiani di Stellantis, scesi a 31.500 nel 2023, mentre l’azienda prevede di ridurre ancora la sua forza lavoro complessiva in Italia del 30% entro il 2030. Gli stabilimenti continuano a restare in piedi grazie ai sussidi pubblici, cassa integrazione in primo luogo.

L’azione del governo italiano 

In tutto questo appare sostanzialmente ottusa la posizione del governo italiano. In generale Palazzo Chigi è contrario a qualsiasi iniziativa ambiziosa che contribuisca a combattere la crisi climatica. Così, ha tentato di frenare la scadenza del 2035 per la produzione di veicoli endotermici e cerca di ritardare anche quella intermedia del 2025 sui limiti delle emissioni delle case auto, seguendo le indicazioni di una miope Confindustria. L’impresa per il momento sembra riuscita, almeno per la seconda tappa citata.

Nell’ultimo periodo il governo ha intavolato colloqui per spingere Stellantis a produrre di più in Italia, all’inseguimento della mitica soglia di un milione – o persino di un milione e cinquecentomila – vetture, con risultati ad oggi fallimentari. Ha anche portato avanti colloqui con i produttori cinesi per eventuali insediamenti in Italia: colloqui votati al sicuro insuccesso, dal momento che a Bruxelles il nostro rappresentante votava a favore dell’imposizione di dazi ai produttori del Paese asiatico, mentre in Italia cercava di intralciare in molti modi le sue iniziative produttive già presenti in tutti i settori.

Valga per tutti il caso Pirelli, con il proprietario cinese del pacchetto azionario di maggioranza spogliato di quasi tutti i suoi diritti. I cinesi stanno investendo molto in Europa, ma naturalmente in Paesi più amichevoli. L’ultima trovata del governo sembra sia quella di trasformare alcuni stabilimenti dell’auto in fabbriche di armi. Bell’impresa.

7. Il futuro della mobilità

Ogni tanto si sente parlare di una prossima “morte” dell’auto. Da questo punto di vista si può dire che mentre l’auto privata perde colpi in Occidente, in particolare a causa del fatto che una parte non irrilevante dei giovani mostra un minore entusiasmo per il prodotto, nei Paesi del Sud del mondo essa sembra avere ancora molti anni davanti a sé. In ogni caso in alcune aree d’Europa, soprattutto nei Paesi del Nord, si va diffondendo in maniera importante l’uso di veicoli alternativi, quali ad esempio le biciclette, anche elettriche. Per altro verso ci si batte da tempo per cercare di far prevalere il servizio di trasporto pubblico rispetto all’utilizzo del mezzo privato. Anche su questo fronte, però, i risultati sono ancora abbastanza modesti. Per la verità nel Nord Europa sono presenti servizi Tpl, soprattutto nelle grandi città, molto efficienti e adeguati, mentre cala l’uso dell’auto individuale a favore di altri mezzi poco o non inquinanti.

Nel caso della Cina, invece, abbiamo assistito nell’ultimo periodo a un poderoso sviluppo dei treni ad alta velocità, che tendono a coprire 50.000 chilometri di rete. Naturalmente questi esempi andrebbero potenziati e allargati con forti investimenti: al contrario, nel nostro Paese le iniziative a riguardo sono molto ridotte e il trasporto pubblico locale rappresenta storicamente una tra le Cenerentole degli investimenti pubblici. Il prossimo lancio dell’auto a guida autonoma potrebbe portare a un rilancio dell’auto come mezzo collettivo e non più individuale, dal momento che il nuovo tipo di vettura potrebbe essere usato per il 100% del tempo, al contrario di oggi, creando così grandi parchi auto a gestione pubblica con l’utilizzo del mezzo su domanda.