Un libro appena pubblicato indaga ruolo e prospettive della Cina e del suo modello economico, partendo dall’analisi delle imprese e dei rapporti di produzione e considerando reti produttive e sistemi d’innovazione. Un’analisi che permette anche di capire la possibile evoluzione cinese sul piano internazionale.
La Cina e la sua economia assumono un ruolo crescente nel mondo del dopo-epidemia di coronavirus. La ripresa dell’economia cinese potrebbe essere più rapida di quella occidentale, le più grandi imprese di Pechino, specie quelle del digitale – da Huawei a AliBaba – estendono il loro potere sui mercati mondiali, e le capacità di governo della leadership del Partito comunista cinese appaiono rafforzate dall’avvicinarsi dell’uscita del paese dall’epidemia.
Ma la nostra comprensione di quello che accade veramente nell’economia cinese è ancora limitata, e gli stessi concetti di base sono oggetto di discussione. La Cina ha un’economia con “socialismo di mercato con caratteristiche cinesi” come proclama il governo? È una varietà di “capitalismo di Stato” come suggerisce il nuovo di libro di Branko Milanovic “Capitalismo contro capitalismo” (in uscita ora da Laterza). O si tratta di capitalismo e basta?
Un contributo importante per capire la traiettoria della Cina viene ora da Alberto Gabriele – economista italiano per trent’anni alle Nazioni Unite e all’Unctad – e dal suo libro Enterprises, Industry and Innovation in the People’s Republic of China. Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War, appena pubblicato da Springer.
Le grandi domande sulla natura dell’economia cinese e sul significato del socialismo sono presenti sullo sfondo, ma l’analisi che viene sviluppata parte dalle imprese e dai rapporti di produzione, considerando da un lato le reti produttive e dall’altro il sistema innovativo del paese, con un’analisi empirica dettagliata e originale. Si considerano le imprese statali, le imprese di mercato e quelle radicate nelle attività rurali, analizzando la loro evoluzione, le politiche che sono state realizzate, i risultati ottenuti.
Quello che emerge dal volume è che il ruolo della pianificazione e della proprietà statale in Cina si è consolidato, con strumenti più articolati di governo del sistema produttivo: le imprese statali si sono ridotte di numero ma allargate nelle dimensioni e concentrate nei settori strategici. In parallelo, le trasformazioni tecnologiche sono state di grande rilievo, con uno sviluppo pianificato di grandi capacità innovative nelle imprese e stretti rapporti con università e centri di ricerca.
L’attenzione del volume si rivolge anche alle conseguenze internazionali di questo avanzamento tecnologico, evidente nelle tecnologie elettroniche, informatiche, digitali. È questo che è diventato oggetto di conflitto con gli Stati Uniti nel caso delle tecnologie 5G controllate da Huawei, in aggiunta ai più tradizionali conflitti commerciali, riaperti dalla presidenza di Donald Trump negli Usa. È a partire dalle dinamiche dell’industria – forse più che dalla geopolitica – che si possono capire le possibili evoluzioni della potenza cinese sul piano economico e internazionale.