Come cambiano le imprese di fronte al Covid-19? Tutte le trasformazioni indotte dalla pandemia: l’organizzazione del lavoro e della produzione, le strategie aziendali e di contabilità, l’automazione e l’innovazione, il rapporto con i mercati finanziari e i governi statali. E gli immancabili opportunismi.
Lo scoppio della pandemia sta avendo un rilevante impatto sui meccanismi di funzionamento del sistema delle imprese in tutto il mondo. Cerchiamo di analizzare in questo contributo alcuni dei temi toccati dalle trasformazioni in atto.
I robot e l’automazione nelle imprese
Per molti decenni quella dei robot è stata una grande promessa non mantenuta. Il loro impiego è stato per molto tempo limitato, nelle fabbriche così come nei servizi; tali macchine erano in generale poco flessibili, molto ingombranti e pesanti, nonché piuttosto care. Ma negli ultimi anni il quadro è cambiato: i robot sono sempre meno costosi, più leggeri e versatili, capaci di sfruttare le più recenti tecnologie. Ecco allora che il loro utilizzo tende a crescere in tutto il mondo.
Impiegare tali macchine nelle imprese è ormai più economico che utilizzare manodopera (Comito, 2018) e ciò vale anche per i paesi dove la manodopera è meno cara, dall’India al Bangladesh: per questo appariva già da tempo, almeno sulla carta, conveniente riportare molte attività nei paesi ricchi. Ma sino a ieri tale processo era piuttosto limitato. Lo scoppio del coronavirus, mostrando, tra l’altro, le difficoltà di approvvigionamento di parti, componenti e prodotti finiti da lunghe distanze, sta ora portando molte imprese a varare progetti più impegnativi sotto questo profilo.
Peraltro l’automazione minaccia i paesi emergenti anche da un altro punto di vista. Riferiscono ad esempio le cronache (Venzon, 2020) che il settore delle imprese che gestisce i call center nelle Filippine genera un fatturato di 25 miliardi di dollari all’anno, impiega 1,3 milioni di persone e pesa all’incirca per ben il 10% del Pil del paese. Ora il settore, anche a causa del coronavirus, potrebbe essere decimato dall’introduzione progressiva di processi di automazione. E non sono solo le Filippine a essere minacciate da mutamenti di questo tipo. Così i paesi emergenti, con qualche eccezione, si trovano stretti tra due fuochi – uno esterno e l’altro interno – e devono al più presto trovare una strada per uscirne. Per altro verso, si intravede in tutto il mondo – dopo il coronavirus – una forte spinta agli investimenti in automazione (si veda a tal proposito il caso cinese discusso più avanti), ciò che potrebbe portare presto a rilevanti problemi di occupazione anche nei paesi ricchi, oltre che in quelli emergenti.
Le pratiche contabili
In periodi di crescita economica di solito “tutte le imprese sembrano andare bene” e appare più facile truccare i conti di un’azienda, presentando tranquillamente risultati migliori di quelli reali in termini di vendite o di redditività, come hanno a suo tempo mostrato molti casi. Invece, quando arriva una crisi tendono a venir fuori tutti gli altarini (The Economist, 2020a): come ha affermato Warren Buffet, “ti accorgi di chi sta nuotando nudo solo quando arriva la bassa marea”.
Così ora alcuni casi cominciano a essere rilevati, come quello della cinese Luckin Coffee; si è scoperto che l’azienda truccava le cifre delle vendite, aumentandole. Ma non è certamente solo un’azienda cinese a truccare i dati. Ma, afferma ancora The Economist (ibid.), non è sempre necessario “massaggiare” i dati evadendo le regole; spesso, per mostrare una situazione migliore di quella reale, si ricorre semplicemente allo sfruttamento di alcune incertezze presenti nelle stesse. Da questo punto di vista ci sono da aspettarsi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, parecchie sorprese.
La gestione della finanza nelle imprese e il ruolo dello Stato
Considerazioni generali
Ovviamente il crollo delle vendite in molti settori e in tutti i paesi sta provocando anche un rilevante mutamento nelle strategie finanziarie delle imprese. Si sa già che molte aziende saranno destinate alla chiusura: ricordiamo a questo proposito che, secondo una ricerca, in Francia più della metà delle piccole imprese teme il fallimento, mentre per quanto riguarda l’Italia Confesercenti valuta che circa un terzo degli esercizi commerciali potrebbe non riaprire. Altre imprese porteranno avanti invece forti processi di ristrutturazione, con tagli più o meno drastici dei dipendenti come stanno a indicare le dure notizie che arrivano, ad esempio, da Stati Uniti, Francia e Italia. Il 16 aprile eravamo già, nel primo paese, alla richiesta di sussidi di disoccupazione da parte di 22 milioni di persone, mentre in Francia avanza la prospettiva di 9 milioni di persone colpite da una disoccupazione almeno parziale; in Italia, apparentemente, un lavoratore su due ha ora bisogno di sostegno.
Su un altro piano, di fronte ai problemi di liquidità conseguenti alla crisi di mercato, da una parte c’è la corsa delle grandi imprese ad attingere ai fidi bancari che sino a ieri restavano largamente inutilizzati, dall’altra si registra un arresto nella vecchia pratica dell’acquisto di azioni proprie. Quest’ultima è una delle attività a cui i grandi gruppi si dedicavano con piacere, dal momento che tendeva a far aumentare il valore delle azioni con poco sforzo, segnalando del resto – in molti casi – l’incapacità, o almeno la scarsa volontà, da parte dei gruppi dirigenti delle imprese di trovare impieghi più nobili per i flussi di denaro disponibili. Inoltre, si riduce la distribuzione di dividendi, almeno là dove l’avidità degli azionisti non riesce a prevalere sul resto, mentre, per attirare gli investitori, si varano nuove emissioni azionarie a prezzi scontati. In generale, peraltro, i casi di aumenti di capitale appaiono scarsi; eppure, come ha scritto qualcuno, nessuno si è mai pentito di aver aumentato i mezzi propri in un’impresa.
Si portano avanti piani di ristrutturazione del debito. Chi si trova nella necessità di far ricorso al mercato finanziario per reperire denaro ha di fronte per lo meno un forte aumento dei tassi di interesse: così la Ford, mentre ancora in febbraio emetteva obbligazioni con un rendimento del 3,5%, è costretta ora, in quelle di aprile, ad accettare un tasso di interesse vicino al 10% (Bushey e altri, 2020). In ogni caso, tra il primo marzo e il dieci aprile c’è stata in Europa un’emissione di obbligazioni per 110 miliardi di euro, il 131% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (Cellino, 2020). Si registra comunque l’assenza da queste emissioni di imprese italiane.
Parallelamente si assiste anche a una brusca frenata degli investimenti, in particolare in quelli di espansione della capacità produttiva o di ingresso in nuovi territori – meno in quelli di riduzione dei costi –, ciò che purtroppo rallenterà una ripresa qualificata.
I soldi pubblici
Si chiede inoltre – ovviamente – l’aiuto dello Stato; ad esempio, il settore del trasporto aereo, uno dei più toccati dalla crisi, ha ottenuto negli Stati Uniti un sostegno pubblico per 25 miliardi di dollari. Negli anni d’oro, le compagne del settore hanno acquistato azioni proprie sul mercato per centinaia di miliardi di dollari, oltre a distribuire larghissimi dividendi agli azionisti e bonus ai manager, ma non hanno messo da parte adeguate riserve per i tempi cattivi. È interessante rilevare che, grazie anche alla spinta dei parlamentari democratici, si è ottenuto che a fronte del sostegno al trasporto aereo nessun dipendente venga licenziato, né che si arrivi a una riduzione degli stipendi; peraltro vengono proibiti l’acquisto di azioni proprie e la distribuzione di dividendi, e si congelano i possibili aumenti degli stipendi dei manager. Ma i soldi in passato buttati al vento non torneranno indietro e i manager responsabili di una gestione improvvida non perderanno il posto. Come al solito, i profitti sono privati e le perdite pubbliche.
Incidentalmente, in passato molte imprese italiane, come è noto, hanno trasferito clandestinamente all’estero enormi somme di denaro. Ora che tali risorse servirebbero in Italia è improbabile che almeno una parte di esse tornerà indietro. Parallelamente il nuovo presidente di Confindustria, mentre attacca governo e sindacati, chiede allo stesso governo soldi a fondo perduto e non prestiti. Molto comodo.
Anche l’Unione europea ha deciso comunque che le imprese che riceveranno iniezioni di capitale da Bruxelles non potranno distribuire dividendi, comprare azioni proprie, distribuire gratifiche ai dirigenti, né peraltro portare avanti politiche aggressive, come ad esempio l’acquisto di imprese rivali. Intanto, sempre nella Ue, in Francia 15-20 grandi imprese – da Air France a Renault – per ottenere finanziamenti sul mercato stanno ormai avendo bisogno della garanzia dello Stato.
I comportamenti opportunistici
Gli aiuti finanziari che i governi dei vari paesi stanno indirizzando verso le imprese principalmente tramite i canali bancari rischiano di scatenare comportamenti opportunistici. Intanto le banche potrebbero cercare di privilegiare nella concessione dei finanziamenti non tanto le imprese che ne hanno più bisogno, ma quelle che appaiono in migliore salute e che sono paradossalmente meno bisognose.
Ma anche dal lato delle imprese si possono riscontrare comportamenti non molto corretti. Così, viene segnalato che in Cina (Somasundaram, 2020) le banche stanno facendo la loro parte, ma che molte imprese che non avrebbero bisogno di finanziamenti comunque li chiedono, ottenendoli a tassi di interesse molto bassi, e impiegando poi tali risorse sui mercati finanziari, dove guadagnano rendimenti molto superiori al costo della raccolta.
Un altro rischio da segnalare è ovviamente quello che i poteri pubblici forniscano denaro soprattutto alle imprese amiche. Così, ad esempio, negli Stati Uniti l’ipotesi di un intervento legislativo per rimpinguare il fondo per le piccole imprese, già esaurito in pochi giorni, insieme al rifinanziamento delle casse degli Stati, degli altri enti locali e del servizio postale, è ad oggi ferma in Parlamento perché i repubblicani chiedono come contropartita che si finanzino ancora a valanga le grandi imprese cui essi sono maggiormente legati (Krugman, 2020).
L’organizzazione del lavoro in fabbrica e negli uffici
Spingendo anche sui governi, i proprietari e i manager delle imprese cercano di accelerare la riapertura delle fabbriche e degli uffici, in Italia come altrove. Il caso cinese sembra mostrare che una ripresa del lavoro può essere gestita mantenendo alti i livelli di sicurezza, come indicano ad esempio due articoli di Financial Times (Samuelsson, 2020) e The Economist (The Economist, 2020b). Quest’ultimo contributo offre un quadro abbastanza preciso di come il coronavirus stia modificando l’organizzazione del lavoro nel paese. Già nel 2018 la Cina aveva introdotto nelle sue fabbriche più robot rispetto alla Ue e agli Stati Uniti messi insieme (Coco Lin, Chen, 2020). Ora, mentre le officine e gli uffici lavorano di nuovo a pieno ritmo (con qualche eccezione), si stanno ancora accelerando gli investimenti in automazione e messa a punto di sistemi per svolgere molte operazioni con controllo remoto. Si registra, in effetti, un forte aumento nella produzione di robot nel paese.
Questo significa alla fine meno persone nelle fabbriche e negli uffici, mentre, nel processo di riavviamento della macchina produttiva, si è passati ove possibile all’impiego del lavoro a distanza, nonché all’instaurazione di turni per ridurre l’affollamento degli spazi; si sono parallelamente rivisti i lay-out degli stabilimenti, arrivando tra l’altro a un maggiore distanziamento tra le varie postazioni e al collocamento di barriere fisiche tra i lavoratori. Sono state previste maggiori misure di igiene, un continuo controllo della situazione sanitaria dei dipendenti, anche mediante un utilizzo delle apparecchiature numeriche, nonché una disinfestazione preventiva dei componenti che devono essere maneggiati dalle persone. Sembra che tale strategia stia funzionando, dal momento che, a distanza di diverse settimane dalla ripresa del lavoro, nel paese non si segnala una qualche significativa recrudescenza del virus.
Misure analoghe a quelle delle fabbriche cinesi sono in via di introduzione progressiva anche altrove. Così, un articolo de Il Sole 24 Ore (De Forcade, 2020) segnala, ad esempio, la firma di un protocollo tra la Ferretti, importante gruppo operante nel settore della nautica, e le organizzazioni sindacali che prevede un piano di riapertura dei cantieri per alcuni versi simile a quanto accaduto nei cantieri cinesi. Va infine ricordato, sempre da noi, che alcune grandi imprese, a partire da FCA e dalla consorella Cnh, a Leonardo, Whirlpool, Hitachi, hanno siglato accordi con i sindacati per la riapertura “sicura” dei luoghi di lavoro.
I processi di concentrazione
Come è noto, gli ultimi anni hanno registrato un’impressionante ascesa di alcuni grandi gruppi operanti originariamente nel settore dell’economia numerica, sia negli Stati Uniti che in Cina. Poche società dei due paesi sono diventate le protagoniste principali dell’economia del mondo, soppiantando come importanza quelle operanti nei settori tradizionali, nell’auto come nel petrolio. In questi giorni anche Netflix ha superato come valore Exxon, una volta impresa regina della Borsa.
Le società del digitale, essendo cresciute da tempo in dimensioni e potenza finanziaria, hanno cominciato a estendere la loro presa su altri comparti dell’economia, e hanno anche cercato, con le buone e con le cattive, di impadronirsi delle start-up più promettenti nei loro settori di origine. Consideriamo ad esempio le cinesi Tencent e Alibaba: si tratta ormai di due grandi imperi tecnologici e finanziari, che controllano molte centinaia di società ciascuna in molti comparti dell’economia, ponendo con la loro enorme articolazione inediti problemi di gestione e di controllo. Tanto più che questi due gruppi da qualche tempo hanno avviato una politica di forte intervento all’estero.
Negli ultimi decenni i processi di concentrazione sono fortemente avanzati negli Stati Uniti. Oggi due terzi dei settori economici sono diventati più concentrati rispetto agli anni Novanta del Novecento, minando tra l’altro la vitalità dell’economia. Con la crescita della forza dei soggetti sopra citati sono cresciute anche le preoccupazioni del mondo rispetto al loro potere. In questo momento essi si ritrovano con grandi liquidità, mentre gran parte del resto dell’economia soffre terribilmente della mancanza di risorse. È facile quindi pensare che esse approfitteranno di tale situazione per accrescere ancora la loro presa sul mondo.
Ma c’è un altro aspetto dei processi di concentrazione che non appare così negativo. Si spera che molte piccole e medie imprese, se da un lato riusciranno a competere ancora di meno di prima con quelle grandi, dall’altro, riconoscendo le loro debolezze, tenderanno a formare delle unità più forti attraverso processi di fusione o comunque di più stretta collaborazione con altre entità: un evento in molti casi, come in quello italiano, da tempo e di certo auspicabile.
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Testi citati
Bushey, C., e altri, “Ford to pay nearly 10% on new debt to plug losses”, Financial Times, 17 aprile 2020.
Cellino, M., “Boom di bond aziendali Ue, ma mercato chiuso per l’Italia”, Il Sole 24 Ore, 19 aprile 2020.
Coco Lin, Chen M., “Robots help China to manage the coronavirus pandemic”, www.asia.nikkei.com, 6 aprile 2020.
Comito, V., L’economia digitale, il lavoro, la politica, Ediesse, Roma 2020.
De Forcade, R., “Ferretti sigla l’intesa per rientrare in attività”, Il Sole 24 Ore, 16 aprile 2020.
Krugman, P., “Starve the beast, feed the depression”, The New York Times, 16 aprile 2020.
Samuelsson, H., “Europe and the US need a date for a soft restart of the economy”, Financial Times, 14 aprile 2020.
Somasundaram, N., “China companies defy stimulus efforts by borrowing to save”, www.asia.nikkei.com, 16 aprile 2020.
The Economist, “The economic crisis will espose a decade’s worth of swindling and aggressive accounting”, 18-24 aprile 2020 (citato come 2020a).
The Economist, “Still made in China”, 11-17 aprile 2020 (citato come 2020b).
Venzon, C., “Coronavirus a threat to vital Philippine call centers”, www.asia.nikkei.com, 13 aprile 2020.