Al via la campagna sui “climate jobs” in Italia, per una transizione che coniughi occupazione, giustizia sociale e sostenibilità ambientale. Online il primo report in sostegno della campagna: al centro dello studio la mobilità sostenibile e la creazione di lavoro nella produzione di autobus pubblici.
Il 19 e 20 aprile scorsi sono stati giorni di sciopero climatico chiamati da Fridays for Future Italia. La mobilitazione di quest’anno ha visto il coinvolgimento di altre realtà sociali, sindacali e transfemministe, come il collettivo di fabbrica ex-Gkn e movimenti pro Palestina. Lo slogan storico “Riprendiamoci il futuro”, in questa fase di incertezza per il futuro delle politiche europee di riduzione delle emissioni di CO2 e per l’industria italiana, assume certamente, tra le altre, la forma della richiesta di intervento pubblico nell’Economia in quanto timone politico della giusta transizione ecologica.
Qui e sulle piattaforme Fridays for Future Italia e Insorgiamo viene pubblicato il primo report in sostegno alla campagna italiana di “Impieghi per il Clima” (Climate Jobs), dal titolo La creazione di lavoro potenziando il trasporto pubblico locale: un’indagine esplorativa. La campagna si basa sull’idea che la transizione ecologica verso una mobilità carbon neutral sia una tappa imprescindibile per una transizione che sappia coniugare giustizia sociale e sostenibilità ambientale.
La mobilità pubblica del futuro
L’auto privata è e continua a essere centrale nel sistema di mobilità italiano. Tuttavia, l’automobile sta diventando sempre più un problema sociale in quanto fonte di emissioni, di rumore e di occupazione di spazio. E non tutti gli strati sociali possono permettersela. Va notato peraltro che la mobilità nasce all’interno di costellazioni socialmente e spazialmente strutturate e quindi non può derivare interamente dalle caratteristiche individuali. Pertanto, gli investimenti nel trasporto pubblico hanno una alta rilevanza associata alla disuguaglianza. Una campagna sui trasporti pubblici potrebbe promuovere guadagni di accessibilità sostanzialmente maggiori per i gruppi a basso reddito e ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle opportunità.
Tuttavia, il tema meriterebbe di essere posto sullo sfondo di un più ampio dibattito sulla mobilità: abbiamo bisogno di più treni e linee ferroviarie? Di più piste ciclabili? Oppure di un incremento del parco circolante? Com’è stato già detto qui, al netto del fallimento di una transizione ecologica imposta e progettata dall’alto, non rimane che spingere per una pianificazione dal basso, che coinvolga in prima persona chi è impegnato direttamente nella produzione. La classe lavoratrice dovrebbe essere al centro di una strategia di conversione ecologica: una trasformazione pensata “con le teste degli operai, non su di esse”.
L’esperienza della ex-Gkn e della Società Operaia di Mutuo Soccorso Insorgiamo dimostra come ciò sia possibile. La decisione dei lavoratori di opporsi alla chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio e i licenziamenti di 421 dipendenti ha segnato l’inizio di una campagna di lotta e mobilitazione. Circa 2 anni di lotta hanno dimostrato che la contrapposizione tra ambiente e lavoro può essere superata coinvolgendo direttamente gli operai e il territorio, con una visione integrata del processo produttivo. Il Collettivo ha restituito al paese il potere dell’immaginazione, sfidando la narrazione della chiusura come inevitabile conseguenza della transizione verde.
Impieghi per il clima e riconversione produttiva
Prima della chiusura di fabbrica nel 2021, l’ex-Gkn operava nella produzione di semiassi per il trasporto individuale, auto con motore a combustione. Oggi, la Soms Insorgiamo sta orientando i suoi investimenti verso la produzione di pannelli solari e cargo-bike, puntando alla riconversione ecologica. Questa transizione non solo mira a ridurre l’impatto ambientale, ma rappresenta anche un’opportunità per creare nuovi “climate jobs” e riqualificare le competenze dei lavoratori.
Notiamo che le alleanze tra movimenti ecologisti e sindacati sono fondamentali per contrastare il cosiddetto ricatto occupazionale, che spesso costringe i lavoratori a scegliere tra il proprio impiego e la salvaguardia dell’ambiente. L’idea di creazione di climate jobs, quindi, non solo permette di non separare la prospettiva della difesa dell’occupazione dalla transizione ecologica, ma può indicare una via di uscita da problemi ormai endemici del tessuto produttivo italiano, come la stagnazione economica e la speculazione finanziaria sugli asset manifatturieri.
La campagna italiana per i climate jobs
Nel contesto dello sciopero globale per il clima di aprile, è stata lanciata la prima campagna italiana dedicata alla creazione degli impieghi per il clima. Nell’ambito della piattaforma internazionale Global Climate Jobs, viene dunque pubblicato un documento con un focus particolare sul trasporto pubblico locale, dando priorità ai servizi autobus. Si tratta di un primo sforzo per esplorare l’effetto sul mercato del lavoro di una potenziale espansione del trasporto pubblico.
Allo stesso tempo, questo permette di continuare a portare avanti le fondamentali riflessioni emerse nel corso della vertenza ex-Gkn, in particolare sulla necessità di riconvertire stabilimenti in liquidazione appartenenti alle filiere dell’automobile verso filiere della mobilità pubblica e sostenibile. La campagna cerca di colmare la mancanza di piani operativi concreti per i termini “transizione ecologica” e “climate jobs”. Da un punto di vista empirico l’analisi è stata condotta utilizzando diverse banche dati, partendo da una prospettiva più generale per poi restringere progressivamente l’attenzione alle singole realtà produttive (sia aziende per la produzione di autobus che società di trasporto pubblico locale). L’evidenza ottenuta conferma il preoccupante arretramento dell’industria italiana anche nel settore della produzione di autobus.
Da un valore di poco inferiore ai 7.000 veicoli nel 1980, il settore si ferma a quota 271 mezzi prodotti nel 2021 (dati Anfia). Tale ridimensionamento comporta corrispondenti perdite nel tessuto occupazionale. La ristrutturazione del settore si è verificata parallelamente all’incremento della quota di autobus importati dall’estero. In particolare, i dati del 2021 evidenziano come l’Italia dipenda da altri paesi europei (Repubblica Ceca, Francia, Germania e Polonia) e dalla Turchia per l’approvvigionamento e il rinnovo delle flotte di autobus. Inoltre, si tratta prevalentemente di veicoli a combustione interna (dati UN Comtrade).
Ciononostante, guardando alla capacità produttiva e alle competenze per la produzione di autobus, nel tessuto nazionale sono presenti realtà produttive che potrebbero dare un contributo chiave nell’ottica di una transizione ecologica socialmente sostenibile. Tra gli altri, il caso di Industria Italiana Autobus (Iia, ex-BredaMenarinibus) manifesta apertamente le criticità derivanti dall’assenza di una pianificazione pubblica.
La società Tper, il servizio bolognese di trasporto pubblico locale, sta infatti procedendo nel quadriennio 2023-2026 al rinnovo della flotta di autobus presso produttori esteri, mentre IIA, con stabilimenti nella stessa Bologna e a Flumeri, si trova in crisi di liquidità e fa spesso ricorso alla cassa integrazione. La compagine societaria a maggioranza pubblica (Invitalia detiene il 42,7% del capitale sociale) sconta infatti il disinteresse per la produzione nel civile degli altri due principali soci, Leonardo Spa e la turca Karshan, con la prima più concentrata più al business delle armi.
Il principale strumento analitico proposto per riflettere sul potenziale aumento dell’occupazione derivante dall’investimento nella produzione di autobus è quello dei moltiplicatori di lavoro. Calcolato come rapporto tra il numero di occupati coinvolti nella produzione e il valore della produzione, è una misura di quanti occupati sono necessari per produrre una unità di prodotto (cioè un autobus). In questo modo, si può calcolare facilmente quanta nuova occupazione sarebbe necessaria per aumentare la produzione di autobus di un determinato target.
Un esempio emblematico si evince guardando i moltiplicatori calcolati su tre imprese produttrici dei mezzi: Industria Italiana Autobus, Rampini e Tecnobus. La prima è, insieme a IVECO, il principale produttore in Italia; Rampini e Tecnobus invece producono modelli elettrici di dimensioni ridotte, principalmente per i centri storici. Il moltiplicatore calcolato su questi stabilimenti è di 1,6: di conseguenza, produrre 1.000 autobus vorrebbe dire portare il livello dell’occupazione in questi stabilimenti a 1.600 con 1.035 lavori climatici netti creati. Per quanto riguarda invece i fornitori di servizi, prendendo in esame le principali aziende di trasporto pubblico in Italia (come ad esempio Azienda Trasporti Milano o Gruppo Torinese Trasporti), aumentare la produzione di servizi del 20% attiverebbe 25.390 occupati.
Questo lavoro nasce quindi dal desiderio di riflettere e coniugare le dinamiche produttive dell’industria degli autobus con le esigenze delle società di trasporto pubblico locale. Tramite lo studio dei moltiplicatori dell’occupazione, siamo quindi capaci di stimare quanti posti di lavoro sarebbero attivati dalla rivitalizzazione del settore produttivo e delle società erogatrici dei servizi locali. Capacità produttiva già presente sul territorio e urgenza di realizzare la transizione ecologica uscendo dal paradigma della mobilità privata verso una mobilità pubblica sostenibile sono i due pilastri che hanno guidato questo lavoro di ricerca collettiva.
Una prospettiva sistemica che accolga la complessità della transizione ecologica e rilanci il binomio della giustizia ambientale e sociale è ciò che ci appare indispensabile oggi per progettare immaginari di trasformazione strutturale.