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L’euro sfiderà il dollaro?

La folle sfida di Trump all’Iran sposta sul piano militare la contesa espressa prima in dazi e sanzioni: le scosse della transizione verso un mondo polarizzato ad Oriente. E l’euro potrebbe giocare le sue carte uscendo dal cono d’ombra del dollaro.

 Le possibili conseguenze delle decisioni di Trump

Come ha scritto The Economist nel suo numero del 7 giugno 2019,  gli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, stanno militarizzando i loro strumenti economici trasformandoli in armi,  un mezzo questo per riaffermare il loro potere nel mondo. L’imposizione di tariffe punitive, il collocamento nella lista nera di aziende tecnologiche cinesi, la minaccia di isolamento di imprese e di paesi dal sistema di pagamenti in dollari e la stretta sulle sanzioni, in particolare, ma non solo, verso l’Iran,  mostrano certamente la terribile forza della superpotenza; ma questa tattica, afferma il settimanale, può peraltro portare ad una crisi molto pesante e comunque essa sta erodendo il più valido asset  dell’America, la sua legittimazione agli occhi del mondo e la fiducia nel suo sistema. Ma se il paese abusa del suo potere, alla fine lo perderà. 

Fareed Zakaria, noto commentatore politico statunitense, ribadisce sostanzialmente lo stesso concetto, affermando, su di un’autorevole rivista statunitense, che stiamo assistendo all’autodistruzione del potere americano (Zakaria, 2019).

Cose molto simili a quelle dei due autori si ritrovano infine anche in uno scritto recente di un autorevole commentatore del Financial Times,  Gideon Rachmann (Rachmann, 2019). 

Tra l’altro, in effetti, le minacce di Trump sul fronte dei dazi, delle liste nere  e ancora di più su quello delle sanzioni, minacce rivolte ormai ad una fetta importante degli Stati del pianeta,  potrebbero avere l’effetto di  spingere alla lunga i paesi interessati a rafforzare i processi volti a rendersi  autonomi, sul fronte monetario come su quello della filiere di produzione, dalla presa americana; come ha scritto un altro commentatore, quale azienda al mondo, a parte ovviamente quelle cinesi, riflettendo sul caso  Huawei, non sta pensando di cercare di ridurre al massimo la sua dipendenza dalle forniture statunitensi, immaginando che, in futuro, per qualche ragione, potrebbe capitare anche a loro di essere boicottati? 

Anche il peso esorbitante del dollaro, che non deriva più dalle qualità proprie della moneta americana, ma dall’assenza ad oggi di un concorrente credibile (Artus, 2019),  spinge quelli almeno che se lo possono potenzialmente permettere verso l’internazionalizzazione della propria moneta. 

Si tratta di un processo innescato molto gradualmente dalla Cina già molti anni fa e che dovrebbe ora subire una rilevante accelerazione. In questo senso, tra l’altro, Cina e  Russia, nei loro incontri di giugno, hanno ribadito la loro volontà di rendere autonomi  progressivamente i loro scambi reciproci dalla presa del dollaro. Ma la Cina sta portando avanti intese di questo genere con molti altri paesi.

I problemi dell’Europa 

Trump ha previsto di bloccare l’accesso al sistema di pagamenti e valutari in dollari alle società europee che fanno degli affari con l’Iran,  ha brandito la minaccia di tariffe sulle auto sempre europee ed infine prevede delle potenziali sanzioni contro le imprese che partecipano alla costruzione del  Nord-Stream 2. 

Tutto questo indica come gli stessi paesi europei siano sotto scacco della potenza statunitense e come non abbiano strumenti per difendersi contro le loro sanzioni (Munchau, 2019). In effetti, nella situazione attuale, le imprese del nostro continente non possono permettersi di essere tagliate fuori dai mercati finanziari in dollari.

Per quanto riguarda le sanzioni agli scambi con l’Iran gli europei hanno escogitato una risposta tecnica (con la creazione dell’Instex) che risolve molto poco e che Trump può distruggere con un soffio.

Per altro verso, sino ad oggi l’Unione Europea non ha mostrato molti segni di voler mettere in campo gli strumenti necessari per aumentare il suo ruolo a livello globale, preferendo condannare soltanto a parole le azioni di Trump (Munchau, 2019).

Si può a questo punto ricordare che la composizione delle riserve valutarie delle banche centrali nel mondo alla fine del 2018 faceva riferimento alla presenza di un   20,7% del totale in euro, percentuale da qualche anno in leggera progressione, ma sempre molto lontana da quella in dollari, che raggiungeva alla stessa data il 60,7% del totale (contro peraltro il 65,6% del 2015). l’Unione Europea a tutt’oggi regola poi l’80% delle sue importazioni di energia in dollari, mentre soltanto il 2% di tali importazioni proviene dagli Stati Uniti (Charrel, 2019).

A livello di emissioni sui mercati mondiali degli strumenti di debito, quelli denominati in euro sono passati dal 20% al 22,7% tra il 2017 e il 2018, mentre quelli in dollari sono diminuiti dal 69% al 61% nello stesso periodo, indicando una tendenza ad un lento miglioramento della situazione per la moneta europea.

Accrescere il ruolo dell’euro 

Si porrebbe certamente a questo punto la necessità di potenziare fortemente il ruolo dell’euro come moneta internazionale, superando così, almeno in parte, anche la stagnazione del progetto della moneta unica e comunque riducendo di molto il potenziale di ricatto degli Stati Uniti. 

Cosa bisognerebbe fare per raggiungere tale obiettivo? 

Naturalmente ci vorrebbe una volontà politica, a livello di istituzioni europee e a quello dei singoli Stati, di percorrere tale strada, il che appare lontano dall’essere sicuro. 

Sul piano tecnico, da una parte bisognerebbe portare avanti un’unificazione dei mercati dei capitali e l’emissione di titoli pubblici a livello pan-euro, emissione oggi segmentata invece a livello nazionale; si perverrebbe così, tra l’altro, a mercati più profondi e più liquidi, esigenza importante per svilupparli.  D’altra parte, a questo punto, l’Europa dovrebbe spingere per una denominazione dei suoi acquisti di prodotti energetici in euro invece che in dollari e, più in generale, per una maggiore utilizzo dell’euro nelle transazioni commerciali internazionali. 

Mentre comunque in Europa si comincia a discutere di questo, gli  amabili governanti del nostro paese si trastullano ( o fanno finta di trastullarsi ) con la grottesca e provocatoria idea dei minibot.

Ora un filo di speranza che si possa forse in qualche modo procedere nella direzione auspicata viene, ad esempio, dalle dichiarazioni di Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia e tra i più autorevoli candidati a sostituire Mario Draghi in ottobre sulla poltrona di presidente della BCE. 

Il governatore ha dichiarato (Arnold, Jones, 2019), in una conferenza organizzata dal Financial Times, che l’uso internazionale dell’euro è una componente chiave della sovranità finanziaria europea e che, d’altro canto, un più esteso utilizzo globale della moneta unica europea aiuterebbe a proteggere le nostre imprese dai rischi di cambio e dalle dispute legali all’estero (chiara allusione ai processi intentati negli Usa).

Anche la BCE, per la bocca di Benoit Coeuré, membro del suo direttivo, si è negli ultimi tempi, sia pure con qualche distinguo, unita alla voci che chiedono di promuovere il ruolo internazionale dell’euro, dopo che lo aveva fatto la stessa Commissione di Bruxelles (Jones, 2019). 

In qualche modo significativa è anche la proposta francese, ora in discussione, di  dotare l’unione monetaria di un proprio bilancio, ciò che dovrebbe servire, a detta dei promotori, alla convergenza e alla competitività delle economie. Peraltro, le risorse da stanziare sul tema e di cui si discute appaiono molto modeste. 

Conclusioni

In un mondo che sta diventando sempre più complicato e caotico, in relazione anche al plausibile passaggio in atto dell’asse del potere economico e politico dall’Occidente all’Oriente (i periodi di transizione sono in genere difficili), nei prossimi mesi l’Europa, con il varo del nuovo assetto politico originato dai risultati delle recenti elezioni, deve affrontare una decisione esistenziale (Delattre, 2019): essa vuole continuare ad essere progressivamente emarginata ( diventando un’appendice non solo geografica dell’Asia, o una colonia statunitense) o vuole invece cercare di giocare un ruolo di protagonista della scena economica e politica mondiale? 

Per perseguire tale secondo obiettivo sarebbe necessaria una sterzata sul fronte dell’euro, oltre che anche della politica industriale e  di quella ambientale. Alcune sezioni delle classi dirigenti europee, ma solo alcune, sembrano rendersene conto. Ma è possibile portare avanti scelte di questo tipo senza che l’Europa abbia rafforzato le sue istituzioni e la sua integrazione (Charrel, 2019)? La crescita dell’Euro potrebbe per altro verso servire allo scopo?

Alla fine temiamo che l’unica politica di integrazione che andrà avanti sarà quella militare.  

Testi citati nell’articolo

*-Arnold M., Jones C., France’s central banker calls for euro to challenge US dollar, www.ft.com, 4 giugno 2019

*-Artus P., Le nouveau paradoxe du dollar, Le Monde, 23-24 giugno 2019

*-Charrel M., L’euro gagne un peu de terrain face au dollar sans pervenir à le detroner, Le Monde, 15 giugno 2019

*-Delattre F., The world is growing more dangerous, The New York Times International, 15-16 giugno 2019  

*-Jones C., ECB pushes euro in move against dollar’s dominance, www.ft.com, 13 giugno 2019

*-Munchau W., America’s “exorbitant privilege” is Europe’s sin of omission, www.ft.com, 26 maggio 2019

*-Rachmann G., Donald Trump is making America scary again, www.ft.com, 10 giugno 2019

*-Zakaria F., The self-destruction of american power, www.foreign affairs.com, 11 giugno 2019