Cresce l’occupazione, ma diminuisce la produzione industriale. Stenta la produttività del lavoro mentre crollano i salari reali. Un bel rompicapo. Secondo il governo buone notizie, segnali di vita nell’economia italiana. Per le opposizioni, indice di un’economia in affanno. Cosa pensare? Guardiamo meglio ai dati.
Come fotografato dall’Istat, nel mese di agosto l’occupazione ha raggiunto in Italia il record di oltre 24 milioni di occupati, trascinando al massimo storico anche il tasso di occupazione (62,3%). Un dato da ‘boom’ economico se non fosse associato al crollo della produzione industriale che si protrae ormai da oltre sedici mesi.
Nota. Indice della produzione industriale nell’industria (escluse le costruzioni) e tasso di occupazione (15-64 anni). Elaborazioni degli autori su dati ISTAT.
Un segnale netto di arretramento dell’intero sistema industriale italiano considerato che a rallentare è in prima linea l’industria manifatturiera e la grande impresa come il comparto dell’automotive (-13,4% le immatricolazioni auto nel mese di agosto) dove storicamente più elevati sono produttività, salari, investimenti e innovazione.
Dove si dirige quindi questa ondata di nuova occupazione? Verso il settore terziario dei servizi. Ai flussi migratori del secondo dopoguerra – dall’agricoltura all’industria – si contrappone oggi un flusso di occupazione dall’industria ai servizi. Deindustrializzazione e terziarizzazione. Una trasformazione epocale del sistema produttivo italiano che si sposta verso i settori terziari, ma meno efficienti e innovativi. Un’involuzione che vede il ritorno della piccola e microimpresa nei servizi, nuovi sì, ma a basso valore aggiunto, come quelli del food delivery dell’housing, del turismo mordi-e-fuggi. Con una presenza marginale del terziario avanzato come l’informatica, l’intelligenza artificiale, la robotica, le comunicazioni, le tecnologie verdi, la formazione e i servizi finanziari. Un fenomeno controverso, che alimenta la bassa crescita e la precarizzazione del lavoro contribuendo a svilire produttività e qualità dell’occupazione. Come indicato dal CNEL (XXV Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva) sono cresciuti, in questi ultimi anni, i contratti atipici e quelli “pirata”, particolarmente diffusi tra le microimprese del commercio, dell’edilizia e dei trasporti, con retribuzioni e tutele minori rispetto ai contratti collettivi.
È questa una chiave di lettura per interpretare il rebus dell’economia italiana: oggi l’occupazione cresce nei settori a bassa produttività, a ridotto valore aggiunto e a basso salario, dove più intenso è l’uso della manodopera precaria. I dati dell’Inps (Osservatorio sul mercato del lavoro), indicano che il part-time involontario, i contratti a termine e le partite IVA rappresentano le tipologie contrattuali più comuni per le nuove assunzioni in questi settori. Correlativamente, i dati Istat mostrano che l’aumento dell’occupazione è stato accompagnato da una costante diminuzione delle ore medie lavorate per occupato.
Nota. Ore lavorate per occupato (totale attività economiche). Valore medio giornaliero. Elaborazione degli autori su dati ISTAT.
Meno di cinque ore giornaliere per comporre il salario quotidiano del lavoratore medio italiano. Poche ore lavorate con retribuzioni non compatibili con il costo della vita.
Insomma, “lo strano caso” di un’occupazione senza crescita. Una luna nel pozzo, un’illusione riflessa che non ha sostanza.
Alessandro Bellocchi e Giuseppe Travaglini, Università degli studi di Urbino (Dipartimento di Economia Società Politica)