Non è semplice, in un periodo di attacco agli atenei e al pensiero non mainstream, trovare studi sulla Cina sottratti al paradigma “noi e loro”. Ancora più importante perciò è il lavoro collettivo a cura di Marco Fumian “Leggere la Cina, Capire il Mondo: Narrazioni dominanti e discorso critico in un’era di competizione” Mimesis Edizioni.
In questo presente polarizzante e bellicista, trovare delle coordinate per studiare, insegnare, e raccontare criticamente la Repubblica Popolare Cinese sottraendosi dai ranghi del “noi e loro” 1 è impresa complessa. Eppure, il futuro prossimo promette di rendere il compito della sinologia e delle scienziate e degli scienziati sociali impegnati nello studio della Rpc ancor più arduo. Se fino a qualche tempo fa, ci si lamentava a buon diritto di una narrazione mainstream della Cina drogata dal rinnovato “scontro di civiltà” à la Rampini 2, oggi si deve fare i conti con le “Nuove Indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione”. Queste si aprono con l’apodittico “Solo l’Occidente conosce la Storia”. Tra le levate di scudi contro questa bieca strumentalizzazione della nota frase di Marc Bloch 3, è qui necessario citare quella dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (AISC). Preoccupata e sorpresa da tale circolare, l’AISC propone tre sintetiche riflessioni 4, nelle quali definisce questo approccio allo studio della storia “una provocazione che alimenta la polarizzazione di identità culturali contrapposte (…) isolando artificiosamente narrazioni nazionali, funzionali a una contrapposizione identitaria”. Si sottolinea, inoltre, che la circoscrizione dello studio dell’Asia orientale alla sola Cina comunista evoca “di fatto solo l’immagine di quel Paese come parte del blocco nemico dell’Occidente” tralasciando “la storia millenaria delle relazioni tra Europa e Cina”. Se da novizio socio dell’AISC non posso che far mie queste riflessioni, credo sia necessario porre questa ristretta e negativa narrazione della Cina nell’attuale e più ampio disciplinamento della libertà d’insegnamento e d’opinione. L’attacco al sapere critico e all’autonomia universitaria nel suo complesso va infatti ben oltre il perimetro della Grande Muraglia. Si pensi ai tagli imposti da Trump agli atenei rei di promuovere proteste e insegnamenti contro l’interesse statunitense, o alla Germania di Scholz (socialdem!) dove il Professor Hage è stato licenziato dalla Max Planck Society per aver definito sui social Israele come un progetto sionista 5. Alle nostre latitudini non tira aria migliore, con il “commissario” per la riforma universitaria Galli Della Loggia che, tra le altre, vorrebbe reintrodurre la nomina governativa dei rettori 6. Da Washington a Roma, quell’Occidente” unico custode della storia, della democrazia, e dei diritti civili sta rapidamente restringendo quelle stesse libertà che lo renderebbero intrinsecamente migliore di un non ben definito “Oriente”.
Questo lungo preambolo sembrerebbe mal sposarsi con la recensione di un saggio sulla Cina contemporanea. Tuttavia, “Leggere la Cina, Capire il Mondo: narrazioni dominanti e discorso critico in un’era di competizione”, volume collettaneo curato da Marco Fumian 7, credo rappresenti un prezioso antidoto all’avvelenato dibattito pubblico sulla Cina. Una risposta metodologica alle crescenti difficoltà e alle sfide strutturali che la sinologia, ma il sapere critico in generale, si trovano davanti. A partire da un ciclo di seminari patrocinati dalla già citata AISC 8 (“Gli studi cinesi e il discorso pubblico sulla Cina oggi”), e riprendendo le fila di un proficuo dibattito sulla maggiore centralità e responsabilità dei “Sinologi nella Nuova Era” lanciato dal sito “Sinosfere” 9 , il testo vuol proporre la costruzione di una “sinologia critica”. Questa mira ad unire il “rigoroso specialismo accademico” con la necessità “di uscire dai compartimenti stagni di quest’ultimo per indagare in modo aperto e critico la compartecipazione della Cina alle trasformazioni in atto nel mondo di oggi, integrando quindi lo studio della Cina nel novero dei saperi pubblici condivisi che coinvolgono noi e i nostri lettori come cittadini di una comunità democratica.” (pp.25-26). Tale ambizioso quanto necessario obiettivo viene realizzato chiedendo ad autorevoli sinologhe e sinologi di declinare da diverse angolazioni la relazione competitiva tra la Cina e gli Stati Uniti, condividere esperienze e metodologie di ricerca, saldando efficacemente un’analisi di ampio respiro su questo dualismo internazionale con riflessioni e studi sulla sfera nazionale della Rpc.
Una suddivisione artificiale del volume che aiuti il lettore ad approcciarsi ad un testo che, nella sua vocazione divulgativa e pubblica non risparmia certamente complessità e profondità d’analisi, credo possa essere la seguente. I primi sei saggi si dipanano attraverso un gioco di specchi in cui Cina e Stati Uniti, con le loro rispettive propagande, narrazioni ed élite si guardano, contendendosi i “sogni”, la Storia, lo sviluppo economico, e, credo aspetto meno noto, anche il primato democratico. Sin dal primo saggio a firma del curatore, “Fra democrazia e autocrazia: leggere la propaganda sulla Cina in un’epoca di competizione” (pp. 31-68), la democrazia con le sue conflittuali interpretazioni diviene il trait d’union della prima metà del volume. Trattando la democrazia, si deve tuttavia discutere quella che dovrebbe essere una sua nemesi, la propaganda.
Nella “Propaganda verso l’estero della Repubblica Popolare” (pp 69-94), Sapio offre una puntuale ricostruzione storica della comunicazione politica di Pechino, concludendo che“molte delle narrazioni sulla Cina che ormai fanno parte del sentire comune abbiano avuto origine a Pechino, e siano state convogliate da mass-media cinesi che sono parte integrante dell’apparato di propaganda” (p.70). In qualche modo specchio del saggio di Sapio, segue quello di Lanza, che gode della posizione “privilegiata” di chi conduce studi storici sulla Cina moderna nell’accademia statunitense da oltre vent’anni. Il suo saggio “What does ‘China’ mean? la doxa americana e la ‘nuova guerra fredda’?” (pp.95-114), si interroga sull’evoluzione della prospettiva statunitense sulla Cina, focalizzandosi sull’uniformità dello spettro politico nell’identificare l’ascesa cinese come minaccia sistemica10 .
Queste narrazioni e propagande a confronto lasciano spazio alla “democrazia con caratteristiche cinesi: le varie elaborazioni fino alla ‘nuova era’ di Xi Jinping” di Miranda (pp. 1115-138). In continuità con il contributo di Fumian, la sinologa della Sapienza ripercorre “l’importazione del concetto di democrazia” sin dal suo approdo sulle coste cinesi alla fine del XIX secolo. Uno studio granulare che permette sia di sottolineare come la decostruzione della presunzione universale della democrazia occidentale abbia soddisfatto i “bisogni della propaganda interna e internazionale” sia di comprendere come “la democrazia onniprocedurale” quan guocheng renmin minzhu (全过程人民民主) avanzata oggi da Xi non nasca dal nulla. Una “democrazia dei risultati”, una “democrazia che funziona” volta a “migliorare la sua posizione a livello mondiale”, accrescendo “il suo potere discorsivo” (huayuquan 话语权).
Una figura incastonata tra la propaganda e l’appena descritta esigenza del partito-Stato di rilanciarsi come modello altro, concorrente e migliore di quello occidentale, è quella del protagonista del saggio di Brusadelli “Lo specchio americano di Wang Huning: il disincanto della democrazia e la guerra dei sogni” (pp.139-166). Membro del Comitato Centrale Permanente del Pcc dal XIX Congresso (2017), Wang può vantare “una continuità della sua influenza sull’intera leadership post-denghista” (p.142). Da Jiang a Xi, gli ultimi 30 anni della politologia ufficiale del Partito hanno visto spesso la regia dell’attuale Presidente della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese. In sintesi, Brusadelli non solo ci spiega come il pensiero di Wang sia imprescindibile per decifrare la strategia discorsiva odierna del Pcc ma fornisce elementi per comprendere come “Democrazia”, “sovranità”, o “diritti”, siano diventanti “il campo immateriale su cui si svolge una competizione intellettuale per una egemonia parallela a quella geopolitica” (p.162).
L’ultimo saggio di questa sezione “democratica” è a firma di Gabusi. “La fortuna del capitalismo e il vantaggio delle democrazie: perché è sbagliato parlare di Modello Cina” (pp. 167-188) sfida sin dal titolo uno dei leitmotiv più diffusi circa l’alterità intrinseca del modello di sviluppo politico-economico della Rpc. Senza eccessive perifrasi, l’autore afferma “che non esiste un vero e proprio “modello Cina” poiché l’esperienza della Rpc degli ultimi quarantacinque anni si colloca a pieno titolo all’interno del paradigma dello Stato sviluppista in Asia Orientale” (p.167). Partendo da una critica al “The China Model” di Bell, passando per una rassegna del fortunato “Capitalism Alone” di Milanovic, anche Gabusi usa un gioco di specchi per descrivere il modello di sviluppo cinese guardando alla “presunta crisi delle democrazie” e alle “camaleontiche” doti del capitalismo che ne fanno la sua fortuna. Non nega che le democrazie siano in crisi, soffrendo queste di una evidente “legittimità da output”, ma inchiodando la Rpc alle sue contraddizioni “socialiste” più esplicite, quali l’assenza di democrazia sindacale e diritto di sciopero, riafferma il “vantaggio delle democrazie”. Questo “risiede nell’alternanza al potere di personale politico diverso: nessun errore, nessuna incompetenza è per sempre.”
I successivi due capitoli possono essere inquadrati come un ponte tra la competizione USA-Cina con la sua guerra di narrazioni e gioco di specchi ed una conclusiva sezione “metodologica”. Dalla relazione tra il “soft power” e teoria e pratica della traduzione (Pesaro, pp.189-220), al rinnovato controllo del Pcc sulla diaspora d’oltremare (Brigadoi Cologna, pp.221-248). Da un lato, l’autorevole traduttrice e sinologa conclude che le sfide attuali sono “antiche dinamiche dei processi traduttivi (…) entrate in una nuova fase con l’ingresso di Xi nella scena politica cinese”.
Dall’altro, Brigadoi Cologna ci parla delle politiche verso la diaspora cinese nella Repubblica Popolare. Ripercorrendo la peculiare storia migratoria dei cosiddetti “cinesi d’oltremare”, l’autore sottolinea come il loro ruolo nella realizzazione del progetto politico del moderno Stato cinese non rappresenti un carattere innovativo della guida comunista stabilita nel 1949 ma affondi le sue radici nella tarda storia imperiale quanto nella più recente Repubblica di Cina. Gli odierni 40 milioni appartenenti alla diaspora, nonostante abbiano “genealogie, storie famigliari, esperienze migratorie e biografie personali (…) difficilmente riassumibili in una descrizione univoca e monocorde della ‘cinesità’” (p.222), condividono certamente “l’intensificazione del controllo sociale e ideologico”, che il sociologo e sinologo esplora specificatamente nel caso italiano.
Infine, come si diceva, gli ultimi tre saggi potrebbero risultare maggiormente specialistici avendo come loro nucleo la metodologia con il quale guardare all’interno del vasto universo cinese. Partendo dalle narrazioni contrapposte e polarizzanti sull’odierno ruolo della Cina nell’Africa, focalizzandosi in particolare sul tema dei lavoratori transnazionali cinesi nel continente, la sociologa Ceccagno, espone come l’adozione di un metodo interdisciplinare possa essere “antidoto all’uniformazione acritica e al posizionamento binario” (p.268).
Segue il contributo di Gullotta che offre la sua “danza etnografica nella Cina post-pandemica”. Un saggio che pone al centro limiti e potenzialità della ricerca sul campo nella Cina di Xi, esplorando i rapporti di potere e le molteplici forme di autorità che non si esauriscono nel ruolo pervasivo del partito-Stato. Se infatti “il controllo totale è impossibile, il partito-Stato sembra accontentarsi d voler dare l’idea, a creare l’idea che ci sia un potere in grado di controllare” (p. 282). Chiude questa “sezione” metodologica, la traduzione per mano del curatore del testo di Sinan Chu, che parafrasando la campagna Maoista “che cento fiori sboccino” discute e riassume “il dibattito sulla politica etnica della Cina tra il 2004 e il 2015” (pp.301-328). Criticando la semplicistica, e mi permetto di aggiungere spesso “orientalista”, visione monolitica dell’autoritarismo del partito-Stato, l’autore evidenzia come la “svolta assimilazionista” intrapresa da Xi unita ad “un’evidente stretta negli spazi di discussione pubblica a livello nazionale” (p.326) fosse stata anticipata da una vivace e vasto dibattito sulla natura multietnica del Paese e sulle politiche gestionali di tale eterogeneità.
Conclude questo volume poliedrico, un’intervista a tre noti giornalist* impegnati nella comunicazione sulla Cina: Alessandra Colarizi, Simone Pieranni e Lorenzo Lamperti. La selezione non è casuale, avendo questi l’indubbio merito ad aver contribuito ad un parziale quanto fondamentale miglioramento dell’informazione sulla Repubblica Popolare. Tutti e tre condividono l’esperienza presente o passata presso il sito d’informazione “China Files”, collettivo di giornalisti specializzati in affari asiatici. Sito che è divenuto un riferimento e che credo, come me, gli autori e le autrici di questo volume consiglino a studenti e studentesse spesso disorientati sul dove ricercare un’informazione “sana” e indipendente sulla Cina e l’Asia. Fumian gli interroga sulla crisi complessiva dell’informazione sugli esteri sia nella sua natura “finanziaria” sia di “contenuti”, giungendo chiaramente a sollecitarli sul “caso cinese”.
In conclusione, se come propriamente affermato da Savina 11 nella sua recensione del medesimo testo, questo rappresenta “un punto di arrivo metodologico di grande rilievo” reso possibile dalla partecipazione di “autorevoli sinologi”, mi permetto retoricamente di aggiungere che esso non può che essere un punto di partenza. Come si è tentato di mettere in risalto all’inizio del contributo, le difficoltà che si incontrano nello studio contemporaneo della Cina rappresentano un’esasperazione e condensazione delle molteplici difficoltà legate allo sviluppo di un complessivo sapere critico, pubblico e accessibile. La “sinologia critica” sapientemente delineata in “Leggere la Cina: capire il mondo” deve essere un tassello di un progetto più ampio per il rilancio di una conoscenza autonoma che scavalchi le mura di quel perimetro che gli esecutivi vogliono restringere.
NOTE:
1 Su questa contrapposizione tra noi e la Cina si veda il contributo dello storico Guido Samarani (Ca’ Foscari) “Noi e la Cina: né filocinesi né anticinesi” pubblicato nella rassegna ‘Sinologi nella Nuova Era’, disponibile online sul sito di ‘Sinosfere’ al seguente link https://sinosfere.com/category/sinologi-nella-nuova-era/
2 L’ultimo libro di questo indomito saggista d’assalto (nel vero senso della parola) alla ricerca di verità scomode si intitola “Grazie Occidente: tutto il bene che abbiamo fatto”. Ne riporto una frase della sovracopertina per far capire l’aria che tira. «Tutto il bene che abbiamo fatto, a noi stessi e agli altri, è il supremo tabù di questa epoca. Nelle scuole non si insegna più la storia vera del progresso, che è nato a casa nostra […]. Invece nelle piazze e nella cultura contemporanea siamo sotto un processo permanente. È ora di ribellarsi, in nome della verità. Cinesi o indiani, brasiliani o africani, il mondo è popolato da miliardi di persone che devono la nostra esistenza… a noi».
3 Tra i principali innovatori della storiografia contemporanea, insieme al gruppo della rivista «Annales», March Bloch, francese di origini ebraiche, morì da partigiano, giustiziato dalla Gestapo Nazista a Lione il 16 giugno del 1944. In relazione alla strumentalizzazione di Bloch e al concetto di ‘Occidente’, mi permetto di segnalare il contributo di un grande storico come A. Portelli “Alle Ardeatine: ovvero di cosa parliamo dicendo Occidente” https://ilmanifesto.it/socrate-alle-ardeatine-ovvero-di-cosa-parliamo-dicendo-occidente
4 1) «La Cina conosce la Storia» 2) «Perché usare la categoria di “Occidente?”», 3) «Estrapolare citazioni di Marc Bloch per affermare un nuovo concetto di storia è arbitrario e fuorviante». Il testo completo è disponibile online presso il sito dell’Associazione https://aisc-org.it/lettera-aperta-sulle-nuove-indicazioni-della-scuola/
5 Per una rassegna più dettagliata delle fonti, si veda l’intervento della Professoressa Donatella Della Porta nella giornata Il Futuro dell’Università in Italia del 18 marzo 2025. Intervento integrale disponibile su YouTube al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=c4b35debqCo&t=2332s
6 Galli Della Loggia è stato messo a capo dalla Ministra Bernini del gruppo di studio incaricato di redigere la Riforma dell’Università e del reclutamento. In un suo recente articolo parla del processo di nomina dei rettori chiedendosi se «non è forse giunto il momento di rivedere qualcosa di tutta questa materia, magari restituendo un po’ di competenze al tanto vilipeso potere centrale di una volta?» Ah, quei bei tempi di una volta (pre-costituzionali) quando i rettori li nominava il governo fascista o regio previo giuramento. E. Galli Della Loggia “I poteri delle nostre università” Corriere della Sera, 10 aprile 2024. Per una critica più adeguata si veda T. Montanari “Libera Università”, Einaudi 2025.
7 Professore Associato di Lingua e Letteratura Cinese presso l’Università Orientale di Napoli.
8 Il ciclo di seminari Gli studi cinesi e il discorso pubblico sulla Cina oggi è stato organizzato dall’AISC con il sostegno dell’Università Orientale di Napoli. Alcune delle lezioni sono disponibili online sul sito dell’AISC al seguente link https://aisc-org.it/ciclo-di-seminari-sulla-cina-contemporanea/
9 La rassegna Sinologi nella Nuova Era è disponibile online sul sito di Sinosfere al seguente link https://sinosfere.com/category/sinologi-nella-nuova-era/
10 L’autore della recensione ha intervistato radiofonicamente Lanza su questo suo contributo. Podcast disponibile al seguente link https://www.radiondadurto.org/2025/05/21/levante-le-relazioni-cina-usa-nella-contemporaneita-conversazione-con-fabio-lanza-e-dario-di-conzo/
11 Pubblicata sul sito di ‘China Files’ e sul già citato ‘Sinosfere’, https://www.china-files.com/leggere-la-cina-capire-il-mondo/ .Tonio Savina è Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Siena, Dip. Di filologia e critica delle letterature moderne.
