Il gruppo italiano appare come sostanzialmente marginale nel suo settore di riferimento, senza un azionariato stabile, con un forte livello di indebitamento che frena le sue possibilità di investimenti, mentre esso appare sempre alla ricerca di un approdo strategico ed organizzativo che ne possa assicurare un dignitoso sviluppo.
Il progressivo scivolamento verso il basso
Povera Telecom Italia. Da quando in anni ormai lontani gli illuminati governi di centro sinistra ebbero, insieme a quella di avviare la stagione della flessibilità del lavoro, la sciagurata idea di privatizzare, insieme a tante altre cose, il gruppo di telecomunicazioni nazionale, esso non sembra aver più goduto di un attimo di pace.
Quella che per molti versi era un’azienda piuttosto all’avanguardia sul piano tecnologico, è diventata da allora in poi, sempre con la complicità dei governi, questa volta sia di centro-sinistra che di centro-destra, preda di successive improbabili e sciagurate cordate, nazionali ed estere; esse ne hanno bloccato lo sviluppo e compromesso le finanze, sballottando contemporaneamente in tutte le direzioni un management da allora in poi sempre in difficoltà.
Nel frattempo e per aggravare la situazione tutto il settore è stato violentemente toccato da grandi trasformazioni e turbolenze di mercato, tecnologiche, legislative, che ne hanno radicalmente cambiato il quadro di riferimento.
Così oggi il gruppo italiano appare come sostanzialmente marginale nel suo settore di riferimento, senza un azionariato stabile, con un forte livello di indebitamento che frena le sue possibilità di investimenti, mentre esso appare sempre alla ricerca di un approdo strategico ed organizzativo che ne possa assicurare un dignitoso sviluppo.
Le turbolenze di queste ultime settimane intorno all’azienda fanno riferimento, intanto, ad un certo interessamento per una possibile integrazione manifestato dall’amministratore delegato di Orange (ex France Telecom ), Stephane Richard, interessamento sia pure circondato di grande prudenza; egli ha parlato a questo proposito di una grande opportunità per il consolidamento del settore in Europa. D’altro canto, si stanno dispiegando in pieno, nel più recente periodo, alcune volontà del nostro amabile capo del governo che sta studiando, come al solito con grande agitazione e con qualche confusione di idee e di propositi, come sviluppare la banda larga nel nostro paese, obiettivo peraltro condivisibile.
In effetti, per la verità, i nostri ritardi nell’introduzione di tale tecnologia sono tra i fattori che frenano le opportunità di sviluppo del paese.
La progressiva cessione delle nostre imprese
Che dire di un possibile intervento di Orange? Prima di entrare nel merito specifico della questione, bisogna ricordare che da qualche anno le nostre imprese vengono, una ad una, con un ritmo che negli ultimi mesi sembra accelerare, acquisite da capitali esteri della più varia origine, senza che quasi mai degli imprenditori nostrani mostrino qualche interesse ad intervenire seriamente sulle varie partite, se non, in qualche raro caso, a fare da foglia di fico all’intervento straniero –vedi ad esempio, in proposito, la recente ipotesi dell’intervento dell’italiana Marcegaglia, azienda notoriamente priva di grandi liquidità, a fianco di Arcelor Mittal, nell’acquisizione dell’Ilva di Taranto.
Né sembra mostrare sullo stesso tema, con qualche ridotta eccezione, alcun interesse attivo il nostro governo.
D’altro canto, i casi di imprese italiane che acquisiscono complessi stranieri si fanno sempre più rari. Sono più frequenti, semmai, i disinvestimenti.
In ogni caso, gli esempi di fusione-acquisizione nel settore delle telecomunicazioni, di fronte all’intensificarsi dei problemi, sono stati negli ultimi anni numerosi in Europa; questo con gli obiettivi da parte delle varie imprese di liberarsi delle attività non strategiche, di ridurre i costi, di fondere i servizi di telefonia fissa e mobile, di aggredire più agevolmente l’evoluzione tecnologica e di mercato del settore, che vede, tra l’altro, la progressiva integrazione tra telecomunicazioni, internet, televisione ed altri media.
Un’integrazione Orange-Telecom Italia?
L’idea di sposare l’azienda francese, suggerita di recente dal patron della stessa, con la nostra Telecom, non appare per la verità per diversi aspetti molto brillante. Gli osservatori sottolineano, accanto ai difficili problemi finanziari, la mancanza quasi assoluta di sinergie tra i due operatori.
Ricordiamo intanto le differenze nelle dimensioni rispettive delle due imprese. La società francese ha ottenuto nel 2014 un fatturato di poco meno 40 miliardi di euro, quella italiana di poco più di 21; la prima occupa circa 156.000 persone, la seconda 82.000 (Lex, 2015).
Orange ottiene il 50% circa del fatturato in Francia, mentre il resto appare frammentato in vari paesi, europei e non, con una certa presenza in particolare in Spagna ed in Polonia; il gruppo italiano registra il 71% del suo fatturato in Italia e il 29% in Brasile (Lex, 2015).
Ambedue le società hanno manifestano nel corso degli ultimi anni una rilevante caduta nella loro redditività, oltre che nel fatturato, sia in relazione alla crisi in atto che a problemi di accentuata concorrenza. In particolare in Francia da qualche anno si va affermando la società Free che offre tra l’altro ai suoi clienti dei prezzi particolarmente convenienti.
L’azienda francese presenta un rapporto debiti netti su ebitda (reddito operativo prima degli ammortamenti) pari a 2,2 volte, la seconda a 3,1 volte, ciò che comincia ad essere piuttosto pesante. In valori assoluti, in effetti, il debito di TI è oggi pari a 26,7 miliardi di euro, circa un quarto in più della sua capitalizzazione, che è intorno ai 20 miliardi.
Viste le rispettive dimensioni delle due imprese, appare evidente come Orange sia naturalmente candidata ad assorbire l’altra, mentre una integrazione alla pari, quale che sia la forma che potrebbe prendere il processo, sembra molto improbabile.
Data comunque la situazione sul piano patrimoniale dei due gruppi, il finanziamento dell’acquisizione sarebbe comunque problematico.
Il 27% del capitale della società francese è ancora oggi dello stato francese, che ha privatizzato la stessa con una più grande prudenza di quanto abbiamo fatto noi con TI. Il capitale di quest’ultima è invece interamente in mani private, mentre Generali, Mediobanca, Intesa, che sino ad oggi rappresentavano il punto di riferimento nel governo della società, insieme alla spagnola Telefonica, hanno manifestato la volontà di uscirne.
Contemporaneamente l’8% circa del capitale in mano alla compagnia iberica è in corso di cessione alla francese Vivendi nell’ambito di una operazione più vasta.
Probabilmente c’è un’intesa di larga massima dei due governi per andare avanti con l’operazione. Appare plausibile che il progetto, sia pure forse con qualche lentezza, venga progressivamente portato a compimento.
Attendiamo comunque lo sviluppo degli eventi.
La banda larga in Italia
Come è noto, sono ormai molti anni che si parla di progetti per lo sviluppo nel nostro paese della banda larga, mentre siamo ormai largamente in ritardo in tale processo rispetto alla media dei paesi europei, ciò che rappresenta uno dei tanti handicap competitivi in essere.
Il fatto è che TI, come abbiamo già riferito, appare carente di risorse, mentre le altre imprese del settore, Vodafone, Wind, Fastweb, sono anch’esse abbastanza impedite per le più ridotte dimensioni ed anche per la scarsa volontà-possibilità di mettere in campo dei denari in misura adeguata.
Ecco che allora il consiglio dei ministri annuncia un piano per la banda larga ultraveloce, per il quale dovrebbe stanziare circa 6,0 miliardi di euro, sperando, secondo le sue dichiarazioni, che le imprese private ne investano poi altrettanti.
Ma il progetto appare per la gran parte un bluff, dal momento che 4 dei 6 miliardi previsti dovrebbero venire dai fondi europei, mentre non si sa se e quando potrebbero realmente arrivare e soltanto 2 miliardi, forse, da risorse pubbliche nazionali.
Comunque la Telecom, dopo molto tergiversare, ha avviato un piano di sviluppo che prevede lo stanziamento di 14,5 miliardi di euro di investimenti per il triennio 2015-2017, di cui 10 in Italia e dei quali 3 destinati alla banda larga.
Il governo, coinvolgendo nel progetto anche la Cassa Depositi e Prestiti, vorrebbe invece riunire le forze di tutte le principali società del settore nello stesso veicolo societario, rappresentato da Metroweb. Le altre imprese sembrano interessate alla cosa, ma la Telecom non vorrebbe avere il ruolo di semplice attor giovane nella commedia, sia pure con promesse di avanzamenti di carriera in futuro e fa quindi resistenza alle ipotesi dei poteri pubblici, mentre Matteo Renzi minaccia pesanti ritorsioni.
Alla fine sembrerebbe plausibile che la Telecom vada avanti per conto suo e che gli altri produttori si muovano forse insieme attraverso la Metroweb. Ma in realtà, alla fine, i soldi li metterà per la gran parte la Cassa Depositi e Prestiti, il grande conglomerato in cui soldi pubblici ed interessi privati si mescolano ormai in maniera inestricabile.
Avremo così, alla fine, una duplicazione di reti. Troppa grazia, sant’Antonio.
Testo citato nell’articolo
Lex, Wrong number, Financial Times, 3 marzo 2015