Secondo alcune stime le necessità di ricapitalizzazione del sistema bancario europeo possono essere valutate tra 1,0 e 2,6 trilioni di euro, una somma colossale
Per valutare cosa si possa fare in concreto per risolvere la crisi dell’euro e dell’eurozona, bisogna analizzare le vere ragioni delle difficoltà presenti. L’analisi appare complessa ed a noi pare che le motivazioni della crisi debbano essere analizzate ad almeno cinque livelli contemporaneamente.
In sintesi e riferendosi al dibattito che si è svolto sul tema negli ultimi anni ci sembra che si possa dire che:
1) alla lunga è molto difficile che possa reggere una moneta senza il supporto di uno stato sovrano. Ora, a fronte dell’euro, non sta un’entità politica europea;
2) la costruzione dell’euro è messa poi sotto tensione dall’esistenza di grandi differenze di competitività tra i vari paesi, in particolare tra quelli del Nord Europa, con in testa la Germania, e quelli del Sud. Accanto alla differenze tra paesi, vanno sottolineate anche le disuguaglianze economiche crescenti rilevabili all’interno dei singoli stati;
3) sul piano ideologico si è poi affermata nell’eurozona l’egemonia della versione tedesca del neoliberismo, con il dogma dell’austerità. È un risultato che, come è noto, nasce dalla visione conservatrice dell’équipe al governo nel paese. Ricordiamo anche che, con il pretesto di ridurre l’indebitamento pubblico, si mira anche, a ridimensionare o a pressoché liquidare il ruolo dello stato nell’economia e, in particolare, il sistema del welfare;
4) il processo di costruzione dell’euro e, più in generale, tutto il processo decisionale dell’eurozona, è ancora marcato sin dall’origine dall’esistenza di un potere burocratico, in totale assenza di democrazia e di partecipazione alle decisioni da parte delle istituzioni elettive.
5) infine bisogna considerare il fronte finanziario, tema sul quale concentriamo oggi la nostra analisi.
La situazione finanziaria all’interno dell’eurozona
Il fronte finanziario è messo di solito in molto rilievo nelle analisi della crisi, ma spesso per le ragioni sbagliate. In effetti, è difficile dire che questa è una crisi del debito pubblico o prevalentemente del debito pubblico, come sostengono con accanimento Berlino e Bruxelles; essa è semmai, in generale, il frutto di un alto livello di indebitamento complessivo delle varie economie.
Essa comporta cioè un livello troppo elevato di debiti del sistema bancario, delle famiglie, delle imprese e del settore pubblico messi insieme. L’indebitamento del settore pubblico è diventato un rilevante problema sostanzialmente con la crisi, tranne che nel caso di Italia e Grecia, paesi nei quali la questione preesisteva.
Contemporaneamente, si è sviluppata una rilevante crisi bancaria.
Va segnalato in particolare, tra l’altro, come la tempesta del sub-prime, importata a suo tempo in Europa dagli Stati Uniti attraverso la cessione da parte del sistema finanziario americano alle banche del nostro continente di una fatta consistente dei titoli spazzatura, si è sommata in Europa con le difficoltà già in atto nel sistema bancario locale o in una parte di esso, in particolare in Spagna, Gran Bretagna, Germania, Irlanda, nonché con gli eccessi del debito pubblico presenti in Italia e in Grecia.
Gli Stati sono intervenuti per evitare il tracollo del sistema bancario e con questo essi hanno aumentato in maniera consistente il livello del loro indebitamento, messo in crisi peraltro anche dalla riduzione delle entrate fiscali, altro prodotto delle difficoltà dell’economia.
A loro volta le banche, che avevano ed hanno in portafoglio un livello elevato di titoli pubblici dei loro paesi, si sono ritrovate ancora di più esposte alla speculazione e alle paure dei mercati internazionali. Si è innescata così una spirale perversa tra sistema bancario e bilancio pubblico, che è uno degli aspetti salienti della crisi dell’eurozona. I due attori sono oggi strettamente interconnessi, come due fratelli siamesi (Soros, 2013).
Il debito privato
Le origini del disastro europeo stanno meno nella spesa troppo elevata dei governi che nell’eccessivo indebitamento privato. Le difficoltà di diversi paesi hanno fatto seguito all’elevato e irresponsabile livello dei prestiti privati presente già prima della crisi, in particolare ai debiti ipotecari in Irlanda ed in Spagna e a quelli delle imprese di nuovo in Spagna. In questi tre paesi i debiti dei privati e delle imprese superavano di molto il 200% del Pil già prima della crisi, ma oggi sono ben otto gli Stati dell’eurozona che si trovano in tale situazione. Oggi il problema dei debiti delle aziende è più grave in Portogallo, Spagna e Italia, dove il Fondo Monetario afferma che rispettivamente il 50%, il 40% e il 30% di essi è dovuto da società che hanno molte difficoltà a pagare gli interessi, ciò che impedisce loro, tra l’altro, di investire e di crescere (The Economist, 2013).
Una recente ricerca del Fondo Monetario Internazionale indica che un alto livello di debiti privati influenza più negativamente la crescita dell’economia di un paese rispetto a quanto faccia un elevato livello del debito pubblico (The Economist, 2013).
Molti paesi dell’eurozona non sono riusciti negli ultimi anni a ridurre in maniera significativa tali debiti a causa dell’austerità che ha approfondito la recessione, mentre le banche sono state riluttanti a riconoscere nei loro bilanci tutti i bad loans in cui erano incappate.
Ormai il sistema bancario europeo, tra l’altro, fa fatica a continuare a finanziare in particolare le piccole e medie imprese, specialmente nei paesi del Sud, ciò che aggrava la crisi; e questo dal momento, in particolare, che le istituzioni finanziarie risultano largamente e drammaticamente sottocapitalizzate, mentre esse temono anche di prestare soldi ad un sistema delle imprese chiaramente in difficoltà.
Secondo un’analisi della PwC (Fleming, 2013), i crediti dubbi del sistema bancario europeo avevano raggiunto alla fine del 2012 il livello di 1,2 trilioni di euro, contro i 514 miliardi di euro della fine del 2008. La previsione era per un ulteriore aumento nei prossimi anni.
Inoltre, è noto come le aziende italiane e spagnole, pur quando esse riescono ad ottenere degli affidamenti bancari, pagano per tali prestiti tassi di interesse ben più elevati di quelli delle concorrenti imprese tedesche o francesi, per l’esistenza di uno spread molto rilevante.
Oggi si stima che le necessità di ricapitalizzazione del sistema bancario europeo possano essere molto sommariamente valutate, secondo alcuni esperti, tra 1,0 e 2,6 trilioni di euro, una somma colossale.
Alla fine e sommariamente, si può dire che i responsabili politici cercano di risolvere la crisi del debito pubblico, mentre si trovano di fronte in realtà soprattutto ad una crisi bancaria. Ricordiamo incidentalmente che il sistema bancario europeo è tre volte più grande come dimensioni e due volte più indebitato di quello statunitense (Blyth, 2013).
Per altro verso, senza interventi adeguati ci ritroveremo con delle banche zombie, incapaci o non desiderose di fornire il credito necessario all’economia, frenando così ogni possibile ripresa (Das, 2013).
Verso uno scenario depresso e deflazionistico come in Giappone?
Lo scenario delle difficoltà bancarie appare simile a quello a suo tempo consolidatosi in Giappone, dove la ristrutturazione del sistema bancario è stata a suo tempo rimandata per l’assenza di consenso politico, ma anche per la mancanza delle grandi risorse necessarie alla bisogna, cosa che ha prodotto un ambiente stabilmente deflazionistico (Bini Smaghi, 2013), da cui non si riesce ad uscire.
Il confronto con il Giappone è ripreso da numerosi studiosi ed operatori. Così Mansoor Mohl-uddin, dirigente dell’Ubs (Mohl-uddin, 2013), sottolinea con forza le similarità delle due situazioni, quella cioè tra le banche dei due paesi. Una prolungata debolezza del settore finanziario in Giappone, con una molto lenta ricapitalizzazione delle banche e una ridotta espansione del credito, ha portato a suo tempo e alla fine ad una prolungata deflazione, al blocco dello sviluppo, ad importazioni limitate e rilevanti surplus commerciali. Questo ha comportato una sopravalutazione dello yen importante e di lunga durata.
Bisogna peraltro aggiungere che a suo tempo il Giappone, pur con tutte le difficoltà, era riuscito a mantenere uno stato di virtuale piena occupazione e una società civile abbastanza forte. Nell’eurozona assistiamo invece ad un approfondirsi dei livelli di disoccupazione, con il rischio ormai evidente della perdita di un’intera generazione e ad uno sfaldamento progressivo della società civile.
Conclusioni
C’è il rischio che qualcosa di simile alla situazione giapponese possa andare avanti nei paesi dell’euro. Bisogna che la Bce segua con convinzione una politica monetaria espansiva e bisogna anche che i governi dell’eurozona rafforzino le banche dell’area, ciò che richiede il varo effettivo di un’unione bancaria, varo cui si oppone peraltro nella sostanza la Germania, che non vuole, tra l’altro, alcuna mutualizzazione dei rischi e delle perdite bancarie.
Più in generale, sarebbe necessario affrontare a livello di eurozona e di unione europea il grande problema dell’indebitamento complessivo del nostro continente, di quello pubblico e di quello privato; ma appare difficile trovare delle soluzioni sino a quando non si sarà stabilito chi dovrà sostenere i costi della necessaria e, prima o poi, inevitabile ristrutturazione dello stesso.
Un quadro non molto brillante.
Naturalmente sarebbe interessante ricordare le ragioni per cui si è creato nel tempo questo grande indebitamento dei privati, delle imprese e delle banche. Ma ci vorrebbe un altro articolo.
Testi citati nell’articolo
-Bini Smaghi L., Bank capital is Europe big problem, www.ft.com, 31 maggio 2013
-Blith M., La reprise est une illusion, Le Monde, 24 agosto 2013
-Das S., Europe is heading for a relapse back into crisis, www.ft.com, 28 agosto 2013
-Fleming S., Troubled loans at Europe’a banks double in value, The Financial Times, 29 ottobre 2013
-Mohl-uddin M., ECB must act to prevent euro aping strong yen, www.ft.com, 11 novembre 2013
-Soros G., How to save the EU from the euro-crisis, www.guardian.co.uk, 9 aprile 2013
–The Economist, Debtor’s prison, 26 ottobre 2013